22 gruppi chiedono all’UE di bandire i prodotti dei coloni israeliani

Bruxelles -Reuters/Ma’an. Di Claire Davenport. Ventidue associazioni religiose e caritative hanno chiesto all’Unione europea di vietare i prodotti dei coloni israeliani dei territori occupati palestinesi, dicendo che il boicottaggio potrebbe ridurre la ragione economica per rimanere là.

Martedì, un gruppo di 22 organizzazioni non governative ha dichiarato che l’Unione Europea è il principale partner commerciale di Israele, ma importa 15 volte di più dai coloni israeliani della Cisgiordania che dai palestinesi.

“I consumatori europei sostengono inconsapevolmente egli insediamenti israeliani e le violazioni dei diritti umani”, ha affermato il gruppo in un report che chiede la messa al bando, o per lo meno, rigide regole di etichettatura.

I palestinesi vogliono creare uno stato in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e affermano che gli insediamenti negano loro una unità  territoriale valida. 311.000 coloni israeliani e 2,5 milioni di palestinesi vivono in Cisgiordania.

La Ue afferma che gli insediamenti costruiti da Israele sulla terra catturata durante la guerra in Medio Oriente del 1967 sono illegali secondo il diritto internazionale.

Ma le Ong dicono che il consumo europeo di cosmetici israeliani, datteri, erbe e altri prodotti degli insediamenti, mina l’integrità della posizione della Ue.

Delle 22 Ong fanno parte anche Christian Aid, Trocaire dell’Irlanda, la Chiesa metodista della Gran Bretagna, la Chiesa della Svezia, Terre Solidaire della Francia e Medici internazionali della Germania.

Hanno partecipato anche Ong religiose in Finlandia, Norvegia, Olanda, Danimarca, Belgio e Svizzera.

La relazione ha esortato a rendere più chiare le norme dell’etichettatura per aiutare i consumatori a identificare l’origine del prodotto. Tali norme esistono già in Danimarca e in Gran Bretagna.

Ma le Ong hanno affermato che una soluzione più efficace sarebbe quella di imporre un divieto su tutti i prodotti dei coloni, azione che solo uno stato membro della Ue, l’Irlanda, ha finora chiesto.

Un funzionario del ministero degli Esteri israeliano ha affermato che i dati del rapporto sono stati una “ciliegina sulla torta “per servire un programma politico”. “Non ci sono statistiche ufficiali sulle esportazioni provenienti dagli insediamenti”, ha detto Yigal Palmor, portavoce del ministero degli Esteri. “Sono solo approssimazioni”.

Il ministero del commercio israeliano ha dichiarato che le esportazioni dei prodotti della Cisgiordania rappresentano solo l’1 per cento del totale delle esportazioni della Ue, che sono circa 70 milioni di dollari l’anno.

Etichettatura

I prodotti dei coloni israeliani hanno già diviso gli Stati Uniti e le Nazioni Unite.

Il 25 ottobre, il relatore speciale delle Nazioni Unite Richard Falk ha chiesto un boicottaggio delle aziende collegate agli insediamenti israeliani, ma un rappresentante americano alle Nazioni Unite ha giudicato la dichiarazione “irresponsabile”.

I critici dicono che l’etichettatura e il boicottaggio non aiuteranno i palestinesi a superare le barriere importanti che devono affrontare quando cercano di esportare i loro prodotti.

I prodotti palestinesi della Cisgiordania destinati a Israele o all’esportazione devono passare attraverso check-point  israeliani e sono soggetti a lunghi controlli e procedure.

Israele dice che tali controlli sono necessari per ragioni di sicurezza, ma le Ong affermano che così aumentano i costi e diminuiscono la redditività.

Le Ong hanno inoltre criticato il divieto israeliano sull’uso dei fertilizzanti – apparentemente perché possono essere usati negli esplosivi – e hanno spiegato che i palestinesi avevano un accesso inadeguato all’acqua.

Il valore delle esportazioni palestinesi ha generato la metà del prodotto interno lordo dei territori nel 1980, ma ha rappresentato meno del 15 per cento nel 2010, secondo i dati del Fondo monetario internazionale.

Tuttavia, l’associazione dei produttori di Israele sostiene che gli scambi commerciali della Ue con le loro società negli insediamenti sono superiori a quelli della controparte palestinese perché le imprese israeliane sono più attive.

Palmor, il portavoce del ministero degli Esteri, ha affermato che Israele aveva offerto ai palestinesi l’accesso alla  rete idrica, ma molti hanno rifiutato perché volevano essere autosufficienti (tali affermazioni fanno parte della consolidata propaganda israeliana, ndr).

“In un’economia moderna non ci può essere in ogni villaggio una trivellazione”, ha detto.

La Ue ha accusato Israele di aver deliberatamente frenato lo sviluppo economico della Cisgiordania occupata. Nel mese di maggio, i ministri degli Esteri dell’Ue hanno dichiarato che una tale politica ha reso impossibile la creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele.

Lunedì, in una email, l portavoce degli Affari esteri dell’Unione europea, Catherine Ashton, ha affermato: “Le restrizioni israeliane restano uno dei principali ostacoli per una crescita economica sostenibile”.

Gli insediamenti costruiti sul territorio che Israele ha catturato nella guerra del 1967 costituiscono un importante ostacolo alla ripresa dei colloqui di pace israelo-palestinesi.

I colloqui sono bloccati dalla fine del 2010 sulla questione della costruzione degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

Visitando Israele la settimana scorsa, Ashton ha detto che gli insediamenti “minacciano di rendere  impossibile la soluzione a due stati”.

Israele cita legami storici e biblici per la Cisgiordania e Gerusalemme, sostenendo che il futuro degli insediamenti dovrebbe essere deciso nei negoziati di pace. Ma il presidente Mahmoud Abbas è alla ricerca di un pieno riconoscimento statuale alle Nazioni Unite, rivendicando che la terra che Israele ha occupato nella guerra del 1967 è territorio palestinese. Vuole che Gerusalemme Est sia la capitale di un nuovo stato (quello palestinese, ndr).