Attivisti di Fb nel mirino del governo israeliano (5a parte)

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A ottobre dello scorso anno, lo stato di sorveglianza adottato da Israele ha dovuto far fronte ad un nuovo problema. Giorno dopo giorno, giovani palestinesi hanno iniziato ad attaccare soldati e civili israeliani servendosi di automobili o, più spesso, di coltelli. A differenza della prima Intifada, però, i giovani palestinesi – sia uomini che donne – che hanno fatto ricorso ai coltelli, non appartenevano ad un gruppo organizzato, né avevano discusso il loro piano con le proprie famiglie o con gli altri membri della loro comunità. Questa strategia mirava principalmente ad impedire che i servizi segreti israeliani potessero ricevere una soffiata.

I leader israeliani hanno incolpato il social media americano di contenere troppi video che ritraevano soldati o ufficiali di polizia israeliani mentre uccidevano giovani palestinesi che, nella maggior parte dei casi, avevano tentato di accoltellarli. A ottobre 2015, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu definì questa situazione “un momento in cui Osama bin Laden incontra Mark Zuckerberg”.

Le forze di sicurezza ed il sistema giudiziario israeliani stanno ampliando le proprie tattiche. A partire dallo scorso ottobre, l’esercito israeliano ha arrestato 71 Palestinesi per i post pubblicati sui social media.

Un drastico aumento nel numero di detenzioni.

I controlli sono diventati persino più rigidi nell’altra parte della Linea Verde, all’interno dei territori amministrati da Israele. Invece che arrestare i Palestinesi per la loro attività su Facebook e rilasciarli alcuni giorni dopo, Israele ha iniziato ad accusare i Palestinesi che risultano cittadini di Israele; l’attesa del processo è un ottimo pretesto affinché questi Palestinesi trascorrano più tempo in carcere.

Micky Rosenfeld, un portavoce della polizia israeliana, ha riportato che l’azione preventiva basata sul monitoraggio dei social media ha assunto sempre più importanza a partire proprio dall’ottobre 2015. “Abbiamo osservato potenziali sospetti o terroristi estinguere o modificare i propri profili sui social network, le loro pagine Facebook, alle 9 di mattina e un attentato verificarsi nel pomeriggio”, ha detto.  “È assolutamente prioritario per noi cercare di rintracciare i potenziali terroristi prima che agiscano”.

Il 16 ottobre 2015, la polizia israeliana ha arrestato un diciannovenne palestinese, Anas Khateeb, e sei giorni dopo il pubblico ministero lo ha accusato di istigazione (alla violenza o al terrore, ndr), diventando il primo cittadino palestinese di Israele a ricevere un’accusa per quanto pubblicato sui social media (il primo accusato e condannato per via dei suoi post su Facebook era stato un Palestinese residente a Gerusalemme Est, ma non cittadino di Israele). Il crimine commesso dal giovane Anas è stato quello di scrivere su Facebook “Lunga vita all’Intifada” nel 2015, “Gerusalemme è araba” e “Sono sulla lista d’attesa”.

Quattro giorni dopo l’arresto di Khateeb un giudice israeliano ha citato in giudizio Facebook per il suo indirizzo IP, invitando a fornire “tutte le informazioni o documenti relativi al nome utente Anas Khateeb, utili alla cattura del sospettato”. Secondo l’avocato di Khateeb, l’azienda ha acconsentito alla richiesta. Facebook non ha risposto alle svariate richieste di fornire commenti al riguardo.

Quanto a Zahda, promuove ancora l’azione di “Youth AgainstSettlements” e continua a pubblicare post a sfondo politico sulla sua pagina Facebook, nonostante sia caduto precedentemente nel mirino delle forze dell’ordine israeliane ed infine arrestato, proprio a causa della sua attività sul social media. In tribunale, i procuratori militari israeliani hanno sostenuto che Zahda avrebbe minacciato e insultato Alian, comandante della Brigata Golani; avrebbe incitato alcune persone a manifestare, cosa che risulta essere illegale in Cisgiordania; avrebbe pubblicato un messaggio a sfondo politico; e, infine, avrebbe incitato al lancio di Molotov.

Sotto l’ordine militare israeliano 101, è fatto divieto ai Palestinesi sottoposti alla legge marziale di manifestare e di pubblicare qualsiasi cosa relativa a “questioni politiche”.

Zahda fu rilasciato circa una settimana dopo il suo primo arresto, nell’agosto 2014. Ma il 1° giugno 2016, un tribunale militare israeliano lo ha nuovamente tirato in causa con due accuse derivanti dalla detenzione avvenuta nel 2014: invito alla partecipazione ad una manifestazione illegale e tentata minaccia ad un ufficiale dell’esercito. Il giudice militare lo ha assolto dalle accuse restanti. L’accusa secondo la quale Zahda avrebbe minacciato un ufficiale è stata trasformata in un’accusa di “tentata minaccia”, quando si sono resi conto che non c’era modo di provare che il comandate Alian abbia effettivamente letto il post di Zahda.

La sentenza di Zahda era attesa per la fine di luglio. Il suo avvocato, Nery Ramati, ha riportato a The Intercept che dopo la sentenza, ricorrerà in appello.

Zahda è ancora ampiamente indignato per essere stato arrestato in seguito a quanto pubblicato su Facebook. “Non ho fatto nulla per meritarmelo. Non ho lanciato una molotov, non ho tirato pietre”, ha detto.

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Traduzione per InfoPal di M.D.F.