A caccia di kamikaze.

Media e Questione palestinese…

I soliti argomenti. I soliti tagli. Le solite carriere.

Migliaia e migliaia di persone ridotte a vivere in un banthustan non interessano ai "grandi media".

Da www.lastampa.it

23/4/2007 (8:46) – REPORTAGE

Sull’autobus con Avi
a caccia di kamikaze
Così si fermano i terroristi
FRANCESCA PACI
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME
La stazione dei pullman di Jaffa road, davanti al suk Mahane Yehuda, è sempre affollata. Casalinghe, giovani coppie con tre o quattro bambini, studenti che vengono a far la spesa al mercato più economico della città, dove un chilo di mele costa 4 shekel, circa 80 centesimi. Avi, 23 anni, scarpe da trekking, jeans, giubbino blu, sale sul 30, paga il biglietto al conducente e si sistema a metà della vettura. Dopo tre fermate scende, aspetta il bus successivo e ricomincia. Avi è un cacciatore di kamikaze. Ogni giorno, da cinque anni, dopo il terrore scatenato dalla seconda Intifada, migliaia di giovanissimi «agenti speciali» controllano gli autobus israeliani per identificare le persone sospette. Alcuni indossano la divisa, una giacca blu con un anello bianco sulla manica, ma la maggior parte lavora in borghese, mimetizzata tra i pendolari come quelli che cercano. A Gerusalemme, la città più colpita dalle bombe del 2001 e 2002, ce ne sono almeno 1.500, uno ogni 450 abitanti.

Come distinguere un passeggero un po’ pingue da uno imbottito di esplosivo? L’universitario stressato da un esame dal killer in corsa contro il timer? Il borseggiatore dal terrorista? Per capirci qualcosa bisogna trascorrere una mattina con Avi, invisibili all’ombra dell’invisibile, sali e scendi zigzagando lungo la rete urbana, 40 linee, 400 autobus, 55 mila passeggeri al giorno.

Alla stazione centrale entra un ragazzo magro, la carnagione scura, la barba corta che incornicia il volto. Ha lo zaino sulle spalle. Sarà che siamo sul 18, la linea più bersagliata dai kamikaze, cinque volte in meno di due anni, sarà che siamo qui per questo. Sospetti? Avi sorride, s’aspettava di passare per un cacciatore di palestinesi: «Sono un cacciatore di terroristi. E comunque quello è un israeliano». Impossibile da queste parti distinguere al volo un popolo dall’altro. Lui per esempio, biondo, alto, occhi azzurri, è figlio di madre algerina e padre tunisino.

La fisiognomica di Lombroso non c’entra. Certo, Avi diffida meno dei suoi connazionali. Non perderebbe tempo neppure con un turista italiano: «Perché mai dovrebbe venire a fare un attentato qui? Manca il movente». Si va per esclusione e colpo d’occhio.Gli istruttori l’hanno addestrato a riconoscere la psicologia del terrorista. Non pare ce ne siano a bordo ora. Nessuno che sudi molto, indossi abiti larghi, abbia l’aria smarrita o non abbia risposto allo «shalom» dal conducente che stacca il biglietto. Il mese scorso è stato bloccato un aspirante kamikaze munito di borsa esplosiva in piazza Safra, davanti al Municipio.

Il contenuto del corso di formazione è top secret, ma fonti interne rivelano che gli allievi imparano a sparare al centro della fronte in caso sia troppo tardi per qualsiasi altra soluzione: uccidere sul colpo l’attentatore è il solo modo per impedire che azioni il detonatore.

«È un lavoro pagato meglio di altri e più gratificante», spiega, nell’attesa tra il 7 e il 31. Guadagna 6.500 shekel al mese, circa 1.300 euro. Quando avrà messo da parte abbastanza denaro partirà per un anno sabbatico in Sudamerica. I genitori, originari di Bet Shean, stanno in pena, ma lui non ha paura: «Sono un combattente. Undici mesi fa mi sono congedato dopo 4 anni di servizio a Gaza. La cosa più dolorosa è stata l’evacuazione dei coloni, una guerra tra ebrei».

Arriva il 9, direzione monte Scopus, l’università ebraica. Una studentessa legge «Vedi alla voce: amore», il romanzo di David Grossman. Avi non lo conosce. preferisce lo sport («mi piace il calcio, tifo Lazio») e sul comodino tiene «Shafui be Damesek», «Sobrio a Damasco», la storia di un soldato israeliano catturato dai siriani e poi liberato, «un eroe».

Le donne sono «wanted» come gli uomini? «La percentuale è la stessa. Come tra noi vigilantes: metà sono ragazzi e metà ragazze». I kamikaze del fast food Sbarro, nel 2002, erano due fidanzati, normalissimi in apparenza, lui portava sulle spalle la chitarra con dentro l’esplosivo. «L’unità autobus è una componente fondamentale della sicurezza preventiva del Paese come la barriera», nota il portavoce della polizia israeliana Micky Rosenfeld. Non precisa il numero di attentati evitati, per quanto riguarda il muro si parla del 95 per cento. Alle 13 Avi si ferma a mangiare un kebab. I primi cacciatori di terroristi pendolari non avevano tempo per la pausa pranzo: esplodeva una bomba ogni settimana.

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