A Gaza guerra di posizione tra Hamas e al Fatah.

da www.ilmanifesto.it del 7 aprile 2006

A Gaza guerra di posizione tra Hamas e al Fatah
Il nodo dei servizi di sicurezza e gli assassini politici rendono difficile la gestione del potere nella Striscia.

MICHELE GIORGIO
INVIATO A GAZA
Mohammed Abdul Al, più noto come Abu Abir, da una settimana si sposta solo con una scorta di quattro uomini dei Comitati di resistenza popolare (Cpr), l’organizzazione armata nata nei campi profughi di Rafah e Khan Yunis e che di fatto controlla i distretti meridionali di Gaza. «Vogliono farmela pagare perché ho denunciato le spie di Israele nei servizi di sicurezza palestinesi che hanno collaborato all’assassinio di Abu Yusef (Khaled Abu Qoqa)», afferma con tono deciso mentre sorseggia il caffè. Il suo volto non tradisce la tensione che da giorni lo consuma ma il portavoce del Cpr teme per la sua vita. «A favorire l’omicidio sono stati agenti segreti palestinesi», disse il 31 marzo poco dopo l’esplosione dell’autobomba che alle 12.20 di quello stesso giorno aveva fatto a pezzi Abu Qoqa, ricercato da 20 anni da Israele, capo militare dei Crp e ideatore di attacchi in cui sono rimasti distrutti tre carri armati israeliani, tra cui un Merkava, uno dei mezzi corazzati più potenti. Abu Abir si riferiva ai comandanti dell’intelligence legati all’«uomo forte» di Gaza, Mohammed Dahlan, e a uno degli attivisti più influenti di Al-Fatah, Samir Masharawi, che controlla centinaia di uomini nella Striscia. Non è peraltro sfuggita la presenza ai funerali di Abu Qoqa del premier di Hamas Ismail Haniyeh, alla testa di un corteo che scandiva slogan contro Dahlan e Mashrawi e non contro Israele.
«L’assassinio di Abu Qoqa si è inserito alla perfezione nello scontro politico in atto dal giorno elezioni (del 25 gennaio) tra il governo di Hamas da un lato e Al-Fatah e il presidente Abu Mazen dall’altro. Le due parti sino ad oggi hanno fatto uso abbondante di fair-play in nome dell’unità dei palestinesi ma le cose stanno in modo diverso e Abu Qoqa ha pagato con la vita l’aver scelto di schierarsi dalla parte di Hamas», spiega Fares (non è il vero nome) un giornalista di Gaza, sottolineando che parlare in pubblico di questa vicenda è «rischioso». Non si fa fatica a credergli, viste le sparatorie – con tre morti (tra cui un bambino) e 25 feriti – seguite alle dichiarazioni di Abu Abir e durante le esequie di Abu Qoqa. Così, mentre la Cisgiordania rimane sotto occupazione, il muro israeliano avanza inesorabilmente e Gaza è stretta nella morsa dell’isolamento decretato dal governo di Ehud Olmert, Al-Fatah e Hamas si fanno una guerra che ha per protagonisti ancora una volta i servizi di sicurezza, o almeno quelli più importanti: il controspionaggio (amen wakai), l’intelligence civile (mukhabarat) e l’intelligence militare (istikhbarat). «La confusione è eccezionale mentre rimane ambiguo il cui ruolo delle forze di sicurezza – si lamenta Basem Eid, un noto attivista dei diritti umani – neanche chi lavora nei servizi di sicurezza sa esattamente i campi di interesse di ciascun agenzia e la disorganizzazione si riflette sulla popolazione che deve fare i conti anche con le milizie di ciascuna fazione politica. Cifre non ufficiali dicono che il 90% delle bande armate può essere rintracciato proprio nei registri di paga dei servizi di sicurezza».
Abu Qoqa rappresentava l’anima islamica dei Cpr (l’altro capo Jamal Abu Samadana, invece è vicino ad Al-Fatah) e la sera prima di essere ucciso aveva partecipato ad una riunione sulla formazione di un nuovo partito – politico ed armato allo stesso tempo – che si sarebbe dovuto schierare accanto alle Brigate Ezzedin Al-Qassam, il braccio armato di Hamas, allo scopo di bilanciare lo strapotere militare dei servizi di sicurezza ancora legati ad Al-Fatah e delle milizie agli ordini dei potenti locali. Un «complotto» bloccato da qualcuno che non ha perdonato ad Abu Qoqa di aver scelto di sventolare una nuova bandiera.
Appena qualche mese fa, lo scorso settembre, Abu Abir, a nome dei Cpr e del leader Abu Qoqa aveva annunciato con tono soddisfatto l’eliminazione di Musa Arafat, l’ex comandante dell’intelligence militare (e parente stretto di Yasser Arafat), «giustiziato» di fronte alla sua abitazione a Gaza city, con un colpo alla testa, «perché aveva sulla sua coscienza corruzione, ruberie e uccisioni». Un omicidio in grande stile per un uomo notoriamente corrotto, compiuto con l’impiego di decine di uomini armati, sul quale però la magistratura finge di brancolare nel buio e molti tacciono, a cominciare dalla famiglia dell’assassinato fino ad Abu Mazen. Tutti i palestinesi invece lo attribuiscono ai vertici dei servizi di sicurezza, controllati da personaggi legati a Mohammed Dahlan, decisi ad eliminare un capo militare che non accettava di farsi da parte e, soprattutto, di non opporsi al «nuovo corso» cominciato dopo la morte di Yasser Arafat.
La lotta per il potere in Al-Fatah che ha gettato nel caos Gaza negli ultimi due anni si è trasformata dopo il 25 gennaio in un conflitto tra Hamas e Al-Fatah dalle conseguenze al momento imprevedibili per la stabilità dell’Anp mentre l’occupazione continua e la popolazione vive in condizioni sempre più penose. Ieri Abu Mazen ha nominato il generale Rashid Abu Shbak, suo uomo di fiducia e membro di Al Fatah (ma anche amico di Dahlan), a capo di diversi servizi di sicurezza. Abu Shbak, che è già capo del servizio di controspionaggio, sarà ugualmente responsabile della polizia e della difesa civile. I tre servizi rientrano formalmente nelle competenze del ministro dell’interno, Said Siyam (Hamas), ma il loro capo è nominato dal presidente d’intesa col governo. Un nuovo motivo di frizione con Ismail Haniyeh che ha respinto la decisione di Abu Mazen di assumersi la responsabilità per la sicurezza nei valichi di confine della striscia di Gaza. «Il governo – ha dichiarato Haniyeh – non accetta la creazione di organi paralleli che possano diminuire la sua autorità». La decisione di Abu Mazen sarebbe la conseguenza delle pressioni dell’Ue che avrebbe minacciato di ritirare i suoi controllori dal valico di Rafah, al confine di Gaza con l’Egitto, in seguito alla salita al potere di Hamas che, da parte sua, ha annullato le nomine fatte dalla passata amministrazione negli ultimi mesi. Nel frattempo girano sempre più insistenti le indiscrezioni sulla prossima formazione da parte dei vertici di Al-Fatah di un «governo ombra» parallelo a quello ufficiale del movimento islamico, incaricato di preparare il terreno a elezioni politiche quando «i fatti dimostreranno l’impossibilità di Hamas di governare».

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