A ricordo di Hilarion Capucci, il prete della resistenza palestinese

Hilarion_CapucciPalestine Chronicle. Hilarion Capucci, l’illustre ex arcivescovo di Gerusalemme, è morto a Roma l’1 gennaio, all’età di 94 anni, come annunciato dal Vaticano in un comunicato ufficiale.

Ne piangono la scomparsa sia il governo di Hamas a Gaza che il presidente palestinese Mahmoud Abbas, il quale lo ha descritto come “martire di Gerusalemme”. Il patriarca della Chiesa cattolica Greco-Melchita di Antiochia e di tutto l’Oriente, Gregorio III Laham, ha omaggiato Capucci descrivendolo come un “eroe” della causa palestinese.

Capucci nacque ad Aleppo durante gli anni del colonialismo francese, nel marzo 1922. A quel tempo la città era la capitale industriale della Siria, mentre adesso, dopo sei anni di guerra civile, è ridotta ad un cumulo di macerie. Capucci fu investito della carica sacerdotale cattolica dall’Ordine basiliano aleppino nell’estate del 1947. Nove anni più tardi divenne arcivescovo e nel 1965 Vicario Patriarcale di Gerusalemme.

Un amico della resistenza

Negli anni 60’ Capucci iniziò ad essere considerato un intellettuale pubblico e un informale ambasciatore per la causa palestinese, grazie alla scrittura, ai discorsi e alle lezioni tenute sulla giustizia per questo popolo, sulle atrocità di Israele e gli abusi dei diritti umani. “Gesù Cristo fu il primo fidayyin tra i combattenti della resistenza. Io sto solo seguendo il suo esempio”, aveva affermato.

Quando l’1 gennaio 1965 venne dichiarata la “rivoluzione palestinese”, Capucci se ne fece immediatamente promotore, stringendo un’amicizia con Yasser Arafat che sarebbe durata per tutta la vita.

“Ha avuto un ottimo rapporto con Abu Ammar”, ha ricordato l’ex first lady Suha Arafat, cristiana convertita all’islam, e ha aggiunto, poi, che Arafat nutriva una “profonda ammirazione” per Capucci, tanto che insieme partecipavano spesso a convention internazionali, unitamente al muftì di Gerusalemme, al fine di consolidare la presa di posizione cristiano-musulmana contro l’occupazione di Israele.

Al Gulf News ha dichiarato: “Il suo crocifisso era la sua spada – non ha mai impugnato un’arma in vita sua. È stato un grande uomo, ha vissuto secondo i suoi ideali, nonostante le non indifferenti pressioni psicologiche e fisiche che Israele gli ha inferto. Il Presidente Arafat teneva molto a lui, e anch’io, sin dal primo momento in cui l’ho incontrato a Nablus, a quel tempo ero ancora una bambina”.

L’arresto e il carcere in Israele

L’8 agosto 1974 il prete siriano fu arrestato dalla polizia israeliana per contrabbando di armi in Cisgiordania a bordo di una Mercedes Benz. Fu trovato in possesso di granate, fucili e oltre 90 kg di materiale esplosivo che avrebbero dovuto raggiungere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Fu portato a processo nella Gerusalemme occupata, ironicamente su via Salah Al Din Al Ayyubi, che prende il nome dal sultano musulmano che combatté contro le Crociate a Gerusalemme. L’aula di tribunale era gremita di avvocati rinomati a livello internazionale, tutti schierati in sua difesa.

Furono installati degli altoparlanti e, essendo diventato l’icona simbolo della resistenza per i palestinesi, in migliaia si accinsero ad ascoltare il suo destino. Fu accusato di sfruttare la sua posizione sia sacerdotale che diplomatica per favorire il “terrorismo” e fu condannato a 12 anni di carcere da scontare nella prigione di Ramle, una città dominata dagli israeliani nella Palestina centrale, nel punto in cui il porto di Giaffa incontra Gerusalemme.

Massimo V, il patriarca della Chiesa Malechita, parlò in sua difesa, dicendo: “Se potessimo tornare indietro nella storia vedremmo anche altri vescovi trafficare armi, sacrificare la vita e commettere crimini al fine di salvare gli ebrei dal giogo nazista. Non capisco perché un uomo deciso a salvare gli arabi debba, invece, essere condannato”.

Per tutta risposta, numerosi gruppi di palestinesi lanciarono una serie di attacchi contro Israele, il primo ebbe luogo nel villaggio di Kfar Yuval, a nord del Paese. Era il giugno 1975 quando alcuni uomini furono presi in ostaggio e non sarebbero stati rilasciati fino alla liberazione di Capucci.

Ad ogni modo, l’allora Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin si rifiutò di adempiere alla richiesta fattagli. Altri attacchi, allora, iniziarono velocemente a susseguirsi, come quello del 27 giugno 1976, quando dei commando palestinesi, appartenenti al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), dirottarono il volo 139 dell’Air France, che da Tel Aviv era diretto a Parigi con a bordo 248 passeggeri. L’aereo fu fatto deviare a Entebbe, vicino Kampala, la capitale dell’Uganda. Furono accolti dal Presidente ugandese Idi Amin, che chiese il rilascio dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, nella fattispecie Hilarion Capucci. La loro missione fu, però, sventata dal contrattacco delle forze israeliane.

Un critico della guerra in Iraq

Tra il 2000 e il 2003 emerse come fermo critico della guerra irachena e attivo sostenitore della seconda insurrezione palestinese (intifada), scoppiata a Gerusalemme nel 2000.

Nel 2009 Capucci salì a bordo di una nave libanese diretta a Gaza. Questa venne sequestrata dalle forze israeliane subito dopo aver tentato di violare il blocco navale imposto da Israele.

Nel maggio 2010 Capucci partecipò alla Freedom Flotilla per Gaza, una flotta organizzata dal Free Gaza Movement. Era uno dei passeggeri sull’imbarcazione turca MV Mavi Marmara, che nelle prime ore del 31 maggio fu assaltata dalle forze israeliane. Nove persone furono uccise e molte altre ferite.

All’età di 88 anni Capucci fu arrestato per la seconda volta, trattenuto nella prigione di Beersheba e poi deportato, tra le numerose proteste internazionali.

Fadi Esber, l’editore di Dimashq, storico giornale, in una dichiarazione a Gulf News ha affermato: “La vita e le opere di Hilarion Capucci, la sua cieca devozione alla Palestina, per la quale ha pagato un caro prezzo, sono una prova di come gli arabi cristiani si siano sempre identificati con la loro terra d’origine. Oggi, dal momento che molti cristiani sono costretti all’esilio, a lasciare le loro case in Iraq, Siria e Palestina, la vita di Capucci rappresenta un’inestimabile lezione per tutti. Sebbene le circostanze possano forzare molti a lasciare le proprie terre, la distanza da queste non si trasformerà mai in dimenticanza”.

Traduzione di Giusy Preziusi