Affrontare l’espansione coloniale a Gerusalemme est.

Di Joel Beinin (*)

14 febbraio, 2010

Il quartiere di Sheikh Jarrah è situato su una collina a venti minuti di strada dalla porta di Damasco, verso la città vecchia di Gerusalemme. Il quartiere è diventato il punto cruciale nella lotta per l’espansione coloniale ebraica a Gerusalemme est e in Cisgiordania.  

Proprio a Sheikh Jarrah, nella prima settimana di febbraio, un colono ha attaccato un giovane membro di una famiglia araba esplusa. La sua abitazione è stata poi occupata. La famiglia al-Ghawi è stata espulsa nell’agosto 2009 e, da allora, per protesta vive in una tenda di fronte all’abitazione. In più riprese, i  coloni si sono recati dalla famiglia al-Ghawi, dove hanno picchiato e minacciato con un fucile M-16 l’anziano Nasir mentre cercava di proteggere uno dei ragazzi. La polizia è arrivata sul posto ed ha sequestrato le armi ai coloni ma, allo stesso tempo, ha vietato a Nasir di recarsi nel quartiere di Sheikh Jarrah per 15 giorni. La polizia ha poi distrutto la tenda degli al-Ghawi che è stata rimontata una seconda volta andando incontro a nuove minaccie di smantellamento da parte della polizia e di ufficiali municipali.

Intimidazioni da parte della polizia

Sin da dicembre, ogni venerdì, manifestanti israeliani, palestinesi ed internazionali si ritrovano proprio a Sheikh Jarrah in segno di protesta contro l’avanzamento dei coloni e contro  l’occupazione delle abitazioni della famiglia al-Ghawi e di altre due famiglie palestinesi del quartiere, gli Hanoun e gli al-Kurd, anch’essi sistematisi in tende. Gli attivisti spesso cantano in ebraico e in arabo slogan accompagnati dai djambè: “La storia non si deruba. Fuori subito da Sheikh Jarrah”. “Sheikh Jarrah è Palestina. Evacuate i coloni”.

Le proteste sono del tutto pacifiche. Nonostante questo la polizia ha arrestato circa 100 attivisti, fino a condurli in tribunale. Tra questi detenuti vi è il direttore dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele, Hagai El-Ad, arrestato il 15 gennaio. Un’altra forma di intimidazione esercitata dalla polizia è quella di inviare sul posto ufficiali in borghese che prendono parte alle manifestazioni camuffandosi da giornalisti per scattare fotografie ai manifestanti.

Di solito i manifestanti marciano in direzione del quartiere di Sheikh Jarrah partendo dalla parte ovest della città vecchia. La polizia però non autorizza queste manifestazioni quando superano i 50 partecipanti e, nei raduni recenti, ha proibito a manifestanti e giornalisti di sfilare per le vie dove ora abitano i coloni. Se da un lato il numero di partecipanti cresce progressivamente, i palestinesi che vi prendono parte invece diminuiscono a causa delle conseguenze – come l’arresto – molto più severe se applicate nei loro confronti.   

La minaccia della polizia verso le famiglie espulse, le restrizioni sulle manifestazioni pacifiche, gli arresti e gli abusi nei confronti dei manifestanti, sono tutti aspetti dei crescenti sforzi d’Israele di reprimere la resistenza – non violenta e popolare – al progetto di colonizzazione della Cisgiordania occupata dove il processo sembra essere molto più aggressivo rispetto a Gerusalemme est. Rispondendo alle richieste del Presidente Barack Obama, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha escluso con determinazione Gerusalemme dalla sospensione, per dieci mesi, delle attività coloniali. Ora pare che Obama abbia abbandonato del tutto simile richiesta. 

A Sheikh Jarrah, Silwan, Ras al-‘Amud e ad altri quartieri arabi intorno la città vecchia, le organizzazioni religiose radicali di coloni come Ateret Cohanim ed Elad lavorano sull’aspetto demografico e su quello geografico della città, creando realtà de facto e rendendo vana la possibilità che la città un giorno diventi capitale dello stato palestinese. Inoltre, l’estensione ad est di Gerusalemme minaccia di tagliare in due la Cisgiordania, minando pure la possibilità di creare uno Stato palestinese che abbia continuità territoriale. Ateret Cohanim, Elad e il progetto coloniale a Ras al-‘Amud sono finanziati dal magnate del bingo e del gioco d’azzardo, ebreo Americano, Irving Moskowitz, ideologicamente legato al processo di “giudeizzazione” della parte est della città.

Le battaglie giudiziarie

I tribunali israeliani non lavorano di sabato. Pertanto, chiunque viene arrestato di venerdì – aldilà di quale sia la gravità dell’accusa – resta in prigione fino a sabato sera. Hagai El-Ad ed altri 16 sono stati rilasciati sabato sera dopo l’arresto avvenuto il 15 gennaio. Nel loro caso, la pretura di Gerusalemme ha respinto la richiesta di detenzione della polizia, giustificata dal fatto che i manifestanti avrebbero dovuto chiedere in anticipo un’autorizzazione, soprattutto perché si sono gridati slogan contro l’occupazione usando un megafono.  

Il venerdì successivo, un gruppo di 350 persone, tra cui Muhammad Barakeh, membro della Knesset e presidente del Fronte Democratico di Pace ed Uguaglianza, Uri Avnery, Avram Burg e Yossi Sarid, tutti ex membri del Parlamento israeliano, si è ritrovato a Sheikh Jarrah in difesa del diritto di manifestare pacificamente. La polizia ha dichiarato il raduno illegale, ha arrestato 22 dimostranti e li ha condotti nei furgoni con i loro cartelli che riportavano messaggi del tipo “Ebrei ed arabi non vogliono essere nemici”. Scrivendo sul quotidiano israeliano Ha’aretz, Sarid ha scritto “se la polizia considera la dimostrazione di venerdì un atto criminoso, allora il diritto democratico di dimostrare è stato distrutto e, la città di Gerusalemme è diventata simile a Teheran”.

Le dimostrazioni di Sheikh Jarrah hanno avuto luogo in seguito alla decisione emessa ad agosto dalla corte israeliana che disciplinava l’espulsione delle famiglie Hanoun e al-Ghawi – in totale 53 persone tra cui 20 bambini. Vestiario e beni di queste famiglie furono ammucchiati per strada e le loro abitazioni furono consegnate ad un'organizzazione di coloni che immediatamente ne prese possesso occupandole. La famiglia al-Kurd invece, era stata sfrattata nel novembre 2008. Tutte e tre le famiglie sono costituite da profughi che, assieme ad altre 20 famiglie (circa 450 persone) giunsero a Sheikh Jarrah nel 1956 in base ad un accordo tra le Nazioni Unite ed il governo giordano che all’epoca governava quella parte di territorio.  

Il Comitato della Comunità ebraica Sefardita e quello del Parlamento israeliano reclamano di avere il diritto su tali proprietà sin dal 1875. Dopo l’occupazione di Gerusalemme da parte di Israele, entrambe le comunità rivendicarono tale diritto ed ebbe inizio una lunga battaglia legale. Nel 1982, l’avvocato difensore dei residenti palestinesi raggiunse un accordo informale con cui veniva garantito ai suoi clienti lo status di “affittuari protetti”.  Tale riconoscimento implicava l’impossibilità di espellerli fino a che avessero pagato l’affitto. Nel 2002 invece, le famiglie Hanoun ed al-Ghawi sono state espluse.

Dopo che nel 2006 la Corte Suprema israeliana stabilì che le rivendicazioni ebraiche su queste proprietà non potessero considerarsi inconfutabili, questi poterono rientrare  nelle loro abitazioni.  Successivamente il palestinese Sulayman Darwish Hijazi presentò i suoi documenti attestanti la proprietà della sua famiglia su quegli edifici almeno dal 1927. Altri tribunali inferiori non riconobbero mai il possesso degli arabi e, di conseguenza, le due famiglie furono espulse una seconda volta nell’agosto 2009. 

Regolarmente, le organizzazioni di coloni rivendicano il possesso ebraico sulle proprietà confiscate a Gerusalemme est. Alcune di queste rivendicazioni sono legittime poiché migliaia di ebrei hanno sempre vissuto all’interno e nei pressi della Città Vecchia, quindi anche nel quartiere di Sheikh Jarrah, almeno fino alla divisione di Gerusalemme, avvenuta in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1948. Ma non sempre i tribunali israeliani hanno accolto le rivendicazioni avanzate da coloni. Nonostante questo, le autorità esecutive solo raramente emettono ordini di esplusione nei confronti di coloni ebrei aldilà dell’esistenza o meno di un loro diritto su queste proprietà. Inoltre sin dall’inizio dell’esodo nel 1948, nessuna corte israeliana ha riconosciuto i diritti di proprietà di nessuno delle centinaia di migliaia di palestinesi che risiedono a Gerusalemme est e in Cisgiordania, come nemmeno di coloro che hanno posseduto terreni ed edifici finiti entro i confini dello Stato di Israele.

“Stiamo solo facendo pulizia”

Un'altra questione riguarda il villaggio palestinese di Silwan (con una popolazione di 55.000 abitanti), a sud della Porta Dung della Città Vecchia. Qui sono motivi archeologici a fare da deterrente per l’espropriazione delle case degli arabi. L’associazione Elad , acronimo ebraico di “Alla città di Davide” sovvenziona i lavori di scavo condotti a Silwan dalle Autorità israeliane per le Antichità, sin dalla fine degli anni Novanta.  

Elad sostiene che Silwan sia il sito originale degli ebrei a Gerusalemme così come fu stabilito dal Re Davide sul pendio su cui suo figlio, Salomone, costruì il primo Tempio. Alcuni archeologi israeliani contestano la versione storico-biblica sull’area e ad oggi non esiste alcuna prova archeologica della presenza del Re Davide qui o dell’esistenza del Tempio così come descrive la Bibbia. Quindi, gli scavi finanziati da Elad sono giustificati dalle rivendicazioni sulle proprietà. Con questo progetto, Elad sta distruggendo i segni e le prove della presenza di molte altre popolazioni e culture sul sito – dai Cananei, che circa 5.000 anni fa fondarono la città, fino ai musulmani che la governarono dal settimo al ventesimo secolo.

Un video sugli scavi mostra come Elad ammetta di voler danneggiare l’integrità strutturale delle abitazioni dei residenti arabi di Silwan. Il fondatore di Elad, David Be’eri, spiega: “Siamo arrivati anche in tribunale. Rivolgendosi a me il giudice disse ‘state scavando sotto le loro abitazioni’, ed io risposi ‘Sto scavando sotto le loro abitazioni? Lo stesso Re Davide scavò sotto le loro case. Io sto soltanto ripulendo’. Il giudice mi rispose “Allora pulisci quanto più puoi”. Quindi da allora stiamo solo ripulendo e non scavando”.

L’epicentro delle attività di Elad a Silwan è un distretto conosciuto dai più con il nome di Wadi Hilwa. Il 2 gennaio, un tunnel di scavi eseguito da Elad, ha causato il crollo della principale strada del Wadi Hilwa, creando un'enorme fossa. Sebbene Silwan abbia fatto parte di quello che  i governi israeliani che si sono succeduti sin dal 1967 chiamavano “la capitale unificata ed eterna del popolo ebraico”, nessuna polizia o autorità municipale si è recata sul posto dopo l’accaduto. La polizia è arrivata solo poche ore dopo in soccorso ad un autobus di coloni che era precipitato nel fosso. Attraverso misure legali di dubbia natura o altri inganni, Elad ha occupato circa il 25% del  Wadi Hilwa.

Be’eri, in passato ufficiale dell’unità dell’esercito israeliano specializzata nel camuffarsi tra i residenti arabi, giunse nel Wadi Hilwa nel 1986 e, presentandosi come una guida turistica, strinse amicizia con un residente, Musa ‘Abbasi. Senza volerlo ‘Abbasi aiutò Be’eri nella raccolta di informazioni sullo status legale delle abitazioni nel villaggio e sui quei proprietari che vivevano all’estero. Be’eri poi utilizzò queste informazioni per appellarsi all’ufficio israeliano per la Custodia delle Proprietà degli Assenti al fine di poter dichiarare questi edifici “proprietà degli assenti”. Nell’ottobre 1991, Be’eri si impossessò dell’abitazione di ‘Abbasi.

Molte abitazioni arabe a Silwan furono costruite “illegalmente”. Dopo l’annessione israeliana di Gerusalemme est nel 1967, alcuni abitanti che erano anche proprietari di  terreni agricoli nell’area di Hebron fecero ritorno nelle loro proprietà a Silwan e, per poter mantenere la presenza, vi costruirono delle case. Questi edifici però non comparivano tra le foto aereografiche di Silwan scattate dalle Forze di Difesa Israeliane e pertanto furono dichiarate “illegali”. Altri ancora, tra coloro che avevano vissuto con continuità a Silwan, allargarono le proprie abitazioni e ne costruirono di nuove per adattarle al crescere dei nuclei familiari. Poiché il comune di Gerusalemme concede permessi di costruzione agli arabi solo di rado, questi non hanno altra scelta che quella di  costruire illegalmente. Nel quartiere di Bustan, gli ordini di demolizione emessi hanno riguardato 88 case con il conseguente sfollamento di 3.600 persone ed il tutto con lo scopo di far inserdiare i coloni.

Per acquistare le proprietà, Elad ha fatto anche ricorso all’uso di irregolarità ed acquisti fraudolenti grazie alla copertura di terzi. Nel 1992, un’indagine del governo israeliano ha scoperto che qui le organizzazioni di coloni ebrei avevano acquistato terra di arabi a Gerusalemme est usando falsi affidavit, applicando erroneamente la Legge sulle Proprietà degli Assenti, eseguendo trasferimenti illegali di proprietà pubblica verso associazioni private, motivate ideologicamente e trasferimenti illegali di decine di milioni di shekel di moneta pubblica a favore di organizzazioni di coloni. In un caso recente che ha ricevuto particolare attenzione, invece, il sindaco ‘falco’ di Gerusalemme, Nir Barkat, si è rifiutato di eseguire l’ordine della corte di evacuare “Beit Yonatan”, a Silwan, occupato da coloni affiliati a Ateret Cohanim.

Nel 2002, L’Autorità israeliana per la Protezione dei Parchi Naturali ha concesso ad Elad un contratto valido dieci anni per la gestione del “Parco Nazionale della Città di Davide” situato proprio nel Wadi Hilwa. Come pure molti archeologi professionisti, le Autorità israeliane per le Antichità si sono mostrate perplesse di fronte i metodi di scavo impiegati da Elad, senza però opporsi alla concessione di detto contratto.

Oltre a questo, Elad pianifica di avviare lavori di costruzione su un plotto di terreno a Gi’vati, riservato a parcheggi ad uso degli autobus di turisti che si recano al Muro del Pianto, al Monte del Tempio, alla Moschea di Al-Aqsa e alla Cupola della Roccia. Le Autorità israeliane per le Antichità si oppongono all’avvio del progetto senza che prima venga fatto un esame archeologico del sito. Quindi ora Elad sta finanziando gli scavi in modo selvaggio e lo sta facendo rapidamente per preservare le prove di una presenza ebraica. Questo vuole preparare la strada alla costruzione di un’ampia sala funzionale, un centro commerciale, alloggi per turisti ed un parcheggio sotterraneo. La presenza di Elad sul plotto di terra del parcheggio ha danneggiato lo standard di vita dei residenti arabi di Silwan che in passato lavoravano proprio lì. Tra essi, Jawad Siyam, vendeva souvenir e forniva servizi di ristoro ai turisti. Ora Elad tiene i turisti alla larga da questa località.

Miseria e solidarietà

Silwan è uno dei luoghi più poveri di Gerusalemme est. I suoi residenti pagano le stesse tasse dei cittadini israeliani contro scarsi servizi comunali. Non esistono campi da gioco, spazi verdi, librerie pubbliche, strutture sportive o cliniche mediche. La scarsità di servizi pubblici scoraggia gli investimenti privati. Non ci sono caffè, cinema o altro. La gestione delle attività turistiche da parte di coloni ha poi impoverito ulterioremene Silwan, dove il 75% dei bambini vive al di sotto della soglia di povertà.

Come risposta alla povertà economica e all’usurpazione da parte dei coloni, nel 2007, i residenti di Silwan hanno inaugurato Madaa (Orizzonti), un Centro per la Comunità. Qui Danny Felsteiner, studente israeliano al conservatorio musicale tedesco e la moglie Fabienne van Eck insegnano, su base volontaria, musica durante le loro visite estive a Gerusalemme. Quando Danny concluse gli studi all’Aja, si trasferì con Fabienne a Gerusalemme per insegnare musica nel centro per un lungo periodo. In una sua e-mail, Danny spiega i motivi della sua scelta: “Per 42 anni il comune di Gerusalemme ha totalmente trascurato Silwan. Madaa Silwan è stata la risposta a questa discriminazione. Io tengo molto a questo paese e a questa città, ed è per questo che mi impegno per dare ai  bambini di Silwan quello che il mio paese, Israele, nega loro: il diritto ad essere bambini, a giocare, ad imparare, a crescere, in particolare con la musica. I bambini sono il futuro di questa regione, e se noi li priviamo della loro infanzia, temo che il futuro possa essere più nero del presente”.

Danny e Fabienne hanno fondato un’organizzazione no-profit in Olanda per dare un sostegno alla ricerca dei fondi per il Centro e per seguire il suo staff nella preparazione di una proposta di finanziamento (per dieci mesi) di una libreria. La delegazione tedesca a  Ramallah ha accolto la proposta e sta finanziando l’acquisto di libri e computer per la libreria. Nel finanziamento è prevista l’assunzione di una giovane donna palestinese, Muna Hasan, per la gestione della libreria. Attualmente, oltre alle lezioni di musica, il Centro offre anche lezioni di arte, danza, teatro, sport, computer e lingue. Qui si promuovono metodi non violenti per la conquista e per assicurare diritti civili e sociali ai residenti di Silwan. Il Centro collabora con altre organizzazioni israelo-palestinesi come Ta‘ayyush (Coesistenza).

Il lavoro di questo Centro ha contribuito fortemente a trasformare Silwan da centro di povertà, droga ed attività criminali in un polo importante nella rete della resistenza popolare palestinese. Riyad faceva uso di droghe ed oggi è un volontario del Centro. Di recente ha creato un giardino all’entrata della sede.

Jawad Siyam, il venditore di souvenir di cui sopra, e tra i leader del Centro, afferma “qui non stiamo reclamando la libertà per la Palestina. Ogni quartiere ha i suoi problemi”. Per i residenti di Silwan, i travagli quotidiani non sono legati unicamente alla perdita delle proprietà, ma hanno a che fare con la discriminazione in ogni aspetto delle loro vite: dalle multe imposte sui parcheggi alla rimozione delle scritte in lingua araba dalle strade con la sostituzione di insegne unicamente in lingua ebraica. Per fare un esempio, Wadi Hilwa è diventato Ma‘alot ‘Ir David, vale a dire Alture della Città di Davide.

L’aspetto locale della lotta a Silwan e la stretta collaborazione tra israeliani – molti dei quali come Danny Felsteiner, hanno imparato l’arabo – e palestinesi è una caratteristica comune alle altre lotte popolari che si sono sviluppate per la Cisgiordania sin da quando Israele ha avviato la costruzione della barriera di separazione nel 2002. Villaggi in lotta come Bil‘in e Budrus, situati lungo il muro in Cisgiordania, sono conosciuti internazionalmente come centri di resistenza non violenta all’occupazione che coinvolge palestinesi, israeliani ed internazionali. Tra i residenti arabi dei quartieri di Gerusalemme est è stato più difficile però avviare una resistenza ed istituire un coordinamento interno rispetto ai villaggi della Cisgiordania. Gerusalemme è il centro del potere israeliano in Cisgiordania. La dipendenza economica della città dal turismo mina qualunque tipo di militanza su base più ampia.  

Pertanto Silwan rappresenta un’eccezione nell’area di Gerusalemme. Il Centro della comunità di Silwan ha creato sul campo dei legami sufficienti a motivare i suoi residenti ad organizzarsi nella difesa dei propri diritti. Questo senso di solidarietà rinvigorito ha portato all’istituzione del Centro Informativo di Silwan, che ha l’obiettivo di “raccontare le storie dei nostri antenati… a tutti coloro che non hanno riserve, esitazioni, che non sono  intolleranti o razzisti”. Facendo conoscere “tutte le civiltà che sono passate da questo villaggio”, il sito internet del Centro Informativo proclama “il diritto storico ed umanitario” dei residenti arabi di Silwan a restarvi.

Per ultimo, il Centro Informativo di Silwan ha fatto uso del sistema di legge civile israeliano per affrontare alcune questioni legate al diritto di proprietà di fronte alle rivendicazioni dei coloni, ed ha ottenuto qualche successo come l’ordine di evacuazione di Beit Yonatan emesso dal tribunale. Come afferma Siyam: “Ci accusano di essere radicali per esserci rivolti alla corte nel nome dei nostri diritti. Noi però non ci siamo appellati ad una corte iraniana ma ad una israeliana”. 

Tuttavia, i casi delle famiglie al-Ghawi, Hanoun ed al-Kurd dimostrano che i tribunali israeliani non sono altro che protettori inaffidabili per la garanzia dei diritti dei residenti  arabi di Gerusalemme est. Di fronte all’inflessibilità del progetto coloniale che avanza strisciante, i manifestanti continuano a radunarsi ogni venerdì per chiedere “da Sheikh Jarrah fino a Silwan, ferma la colonizzazione [ebraica]”.

(Joel Beinin, Donald J. McLachlan – docente di Storia all’Università di Stanford e redattore di Middle East Report)

(Traduzione per Infopal a cura di Elisa Gennaro)

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