Analisi: a Gaza le cose non possono non cambiare

Ma’an. Di Ramzy Baroud. Dopo ogni episodio sanguinoso di violenza perpetrata da Israele, gli spin doctor si danno in genere da fare in una sola, grande missione: assolvere Israele da ogni responsabilità nei suoi massacri.
Tali apologeti non solo demonizzano i palestinesi, ma chiunque osi schierarsi dalla loro parte. La base di questa strategia israeliana sta nell’incolpare la vittima.
Tale tattica non è una novità nel modo in cui il cosiddetto «conflitto arabo-israeliano» viene presentato dai media occidentali, la cui narrativa è sempre stata molto più vicina a quella dei funzionari e dei media israeliani piuttosto che a quella dei palestinesi. Ciò è continuato nonostante l’occupazione militare lunga decenni, le guerre conseguenti e i massacri infiniti.
Nello specifico, dall’assedio israeliano di Gaza, in seguito alle elezioni democratiche che hanno portato Hamas al potere nel gennaio 2006, Israele ha avuto bisogno di tutti i suoi esperti di propaganda (hasbara) e dei loro colleghi fiancheggiatori occidentali per spiegare come mai una popolazione sia stata brutalizzata per aver fatto una scelta democratica.
Il raggiro completo della storiella preparata ad arte che di proposito mescolava Hamas con al-Qa’eda (così come si era precedentemente accostato Yasser Arafat a Hitler), è stata una novità anche per gli standard stessi di Israele.
Mentre i media demonizzarono Hamas, la resistenza e tutti i palestinesi «cattivi» che lo avevano votato, essi ignorarono intenzionalmente la fascistizzazione in atto nella società israeliana.
I palestinesi cattivi -«radicali», «estremisti», contrari alla pace-, avevano bisogno dei loro antagonisti, i palestinesi buoni rappresentati dal presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas, e da ogni fazione, persona o leader disposto in poche parole a convivere con l’occupazione israeliana.
L’Autorità palestinese andò anche oltre, collaborando con Israele alla sconfitta dei palestinesi «radicali» e di coloro che continuavano a resistere all’occupazione.
Grazie all’Autorità palestinese, il prezzo dell’occupazione israeliana non è mai stato tanto basso. Nonostante i reiterati sforzi di riattivare il cosiddetto processo di pace, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sempre trovato il modo di abbattere tali sforzi, anche quelli promossi dai suoi più stretti alleati a Washington.
La «pace» è un grande rischio per Netanyahu, il cui governo è sostenuto da ebrei nazionalisti ed estremisti, che non sentono particolare bisogno di porre termine alla colonizzazione della Cisgiordania. Abbas ce l’ha messa tutta per evitare a Israele pressioni nei negoziati.
Ogni tentativo di resistenza, anche le pacifiche dimostrazioni con striscioni e manifesti in piazza al-Manara, a Ramallah, è stato schiacciato, spesso brutalmente.
Ma Gaza è rimasto un caso a sé. La brutalità israeliana, lì, ha raggiunto livelli senza precedenti, soprattutto dopo l’operazione Piombo Fuso, che ha ucciso e ferito migliaia di persone. In molti predissero che i crimini a Gaza si sarebbero rivoltati contro Israele, ma ciò non accadde.
L’influenza israeliana dei media era ancora abbastanza forte da riuscire, in qualche modo, a neutralizzare l’impatto di Piombo Fuso. L’avvento della Primavera araba e le perdite di vite umane in Siria, Libia ed Egitto, in un modo o nell’altro affossarono i crimini israeliani a Gaza, seppur temporaneamente.
Ma l’ultima guerra su Gaza è stata un genocidio.
La scusa di Israele di agire per autodifesa non regge più. Tutta l’hasbara possibile non può spiegare le sepolture da vivi di famiglie intere, le esecuzioni sommarie di civili, la polverizzazione di quartieri completi, l’abbattimento di bambini in fuga, colti a giocare in spiaggia in un attimo di ingannevole calma, la distruzione di decine di moschee e chiese, l’assassinio di civili rifugiatisi nelle scuole delle Nazioni Unite, trasformate in rifugi.
E’ stata particolarmente imbarazzante, ma significativa, per Israele, la resistenza di Gaza contro decine di migliaia di invasori ben armati provenienti da tunnel, che è costata la vita a 64 israeliani, di cui solo 3 soldati, in gran parte uccisi entro i confini di Gaza.
Come il mondo si è svegliato di fronte al livello di devastazione creato da Israele a Gaza, così molti hanno acquisito consapevolezza che tale collera non è indipendente dal fascismo che ha attecchito da anni nella società israeliana. In Israele non c’è più spazio per il dissenso, e chi occupa alte posizioni di potere è chi apertamente e liberamente divulga il genocidio.
Scott McConnel, nel suo ottimo articolo pubblicato dall’American Conservative il 6 agosto scorso, ha scritto: «Tutte le società hanno i loro gruppi dell’odio e i loro estremisti, ma da nessuna parte essi sono più vicini ai centri di potere come in Israele».
E ancora: «Negli anni Ottanta Meir Kahane aveva pochi seguaci in Israele, ma il suo partito in difesa della pulizia etnica venne dichiarato illegale. Ora i kahanisti sono al centro dell’ideologia che governa il Paese».
Di ciò si è discusso riguardo alle dichiarazioni rilasciate da Moshe Feiglin, il vice presidente del Parlamento israeliano e «punta del partito al governo in Israele, il Likud».
Feiglin ha chiesto la risistemazione dei palestinesi di Gaza in campi di concentramento, e l’«annientamento» di Hamas e di tutti i suoi sostenitori. Come si può, in coscienza, contraddire chi paragona al nazismo ciò che sta succedendo in Palestina?
Nel frattempo, in quest’era dei social media in cui i media ufficiali non hanno più il comando completo della narrativa, nessun intellettuale, giornalista, funzionario o semplice cittadino che si rispetti può far finta di non sapere, e dichiararsi neutrale.
Gaza ha davvero cambiato tutto. La criminalità di Israele e il suo fascismo non devono più essere oggetto di dibattiti accesi sui media, essi devono essere riconosciti come dati di fatto incontestabili. Anche il nostro linguaggio deve cambiare per adattarsi a questa realtà evidente.
Per porre fine al genocidio e all’occupazione israeliani si devono intraprendere azioni continue. Chi appoggia Israele dev’essere indicato, e coloro che aiutano l’occupazione israeliana e che sostengono la sua macchina da guerra sono complici dei crimini di guerra commessi quotidianamente a Gaza e nel resto della Palestina. Essi devono essere boicottati. Il movimento del Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) deve crescere e diventare una piattaforma di solidarietà internazionale.
Sono finiti i tempi dei bei discorsi e dell’inazione, e chi continua ad essere «docile» con Israele, per qualsiasi motivo, non deve trovare spazio in ciò che sta diventando un movimento globale senza compromessi, che chiede la fine dell’occupazione, la punizione di chi la sostiene, la fine della pulizia etnica e del genocidio, la fine dell’assedio e di portare Israele e altri colpevoli davanti al Tribunale criminale internazionale per i loro enormi crimini di guerra e contro l’umanità.
Traduzione di Stefano Di Felice
Ramzy Baroud è un editorialista internazionale ed editore di PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è «Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non raccontata di Gaza»