Analisi: l’attivismo Usa del Bds raggiunge il terzo binario

Ma’an. Di Heike Schotten. Di solito i treni viaggiano su due binari, ma può esserci un terzo binario che fornisce l’energia elettrica. Per la loro efficienza essi vengono di solito utilizzati per il trasporto di massa. Il terzo binario, però, è pericoloso. Se lo si tocca si può morire fulminati.

Israele viene spesso paragonato al terzo binario della politica Usa. Questo significa sia che l’aiuto a Israele rafforza la politica degli Stati Uniti, sia che chiunque osi contrapporsi ne pagherà il prezzo.
Significa pure che il sacrosanto status di Israele rappresenta un mezzo per mantenere lo status quo nella gestione politica degli Stati Uniti, anche se, con le sue macchinazioni invisibili, ne allontana le interferenze.
Lo status del terzo binario di Israele nella politica statunitense è il motivo per cui il movimento del Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds), negli Stati Uniti, non si è sviluppato come in molti Paese europei. Non c’è solo il peso della lobby israeliana, o l’agenda di politica estera imperialista condivisa da Usa e Israele, che protegge Israele da ogni controllo.
C’è anche l’automatico ricorso all’”antisemitismo”, c’è l’ostracismo e la demonizzazione delle critiche di Israele in famiglia, nei posti di lavoro e nelle comunità; ci sono le minacce, le intimidazioni, le retrocessioni e i licenziamenti in caso di critiche pubbliche nei confronti di Israele. Ciascuna di queste funzioni equivale a un cartello di metropolitana sul quale ci sia scritto: “Terzo binario: non toccare”.
Ma le recenti e significative vittorie del Bds negli Stati Uniti rappresentano degli enormi passi avanti verso lo smantellamento dello status del terzo binario di Israele nella politica statunitense, in particolare per i luoghi in cui si sono verificate: presso il campus Hillel (un’organizzazione studentesca nazionale ebraica), e presso la cosiddetta torre d’avorio del mondo accademico.
Nel mondo accademico la vittoria è ormai nota: l’Associazione americana di studi (Asa) ha deliberato – con una significativa maggioranza di votanti – il boicottaggio delle università israeliane. E lo Swarthmore College, in una dichiarazione non molto nota ma molto significativa, ha definito il suo Hillel House un “Open Hillel”, volendo indicare che gli studenti ebrei critici verso Israele, o che abbracciano il Bds, non saranno esclusi dall’associazione (come invece richiede Hillel International).
L’Asa non è stata la prima associazione accademica ad approvare il boicottaggio accademico – onore che va all’Associazione asiatico-americana di studi. Tuttavia, l’ondata di risoluzioni accademiche nei confronti di Israele (una più moderata si è registrata all’incontro di quest’anno dell’Associazione americana di salute pubblica) è davvero ragguardevole.
Inoltre, l’ondata di discussioni generata dal voto dell’Asa – impossibile qui riassumere o indicizzare – significa che l’evento ha superato le aspettative dei suoi organizzatori, e si è esteso ben al di fuori delle sacre sale accademiche. Ovvero: storie e articoli di condanna del voto Asa sono apparsi sui quotidiani nazionali che contano, tra i quali il New York Times e il Washington Post.
I soliti sospetti (tra i quali l’infaticabile Alan Dershowitz e il costantemente sciatto neocon Charles Krauthammer) sono ricorsi alle solite tirate di condanna dell’”antisemitismo” del Bds, mentre i sionisti irriducibili sono impegnati a proporre una legislazione che punisca le università e le organizzazioni coinvolte nel boicottaggio. Intanto, il resto del Paese sta venendo a conoscenza delle associazioni accademiche professionali, di ciò che fanno e del perché possono essere interessate a schierarsi per una questione politica.
Le difese del voto dell’Asa sono state sorprendenti – commoventi, erudite e profonde nell’affrontare con serietà il significato di “pubblico” e “intellettuale” (vedasi ad esempio Robin Kelly e i campioni di discorsi dal voto dell’Asa stesso).
Intanto, nei campus universitari, mentre le università, da Brandeis a Penn State (Harrisburg), hanno rotto con l’Asa, facoltà e studenti hanno subito pressioni. Facoltà del Trinity ed altre dell’Indiana hanno coraggiosamente sfidato la condanna pubblica del boicottaggio espressa dai loro presidenti.
Poi, chiaramente, sulla scia del voto Asa ci sono state, a cascata, altre decisioni accademiche di boicottaggio: il Consiglio dei governatori dei nativi americani e l’Associazione di studi indigeni hanno dichiarato il proprio appoggio al boicottaggio, così come il Dipartimento di studi etnici dell’Università delle Hawaii – il primo dipartimento accademico universitario in assoluto ad aver agito in tal modo. A seguire: l’Associazione di lingue moderne. State sintonizzati.
Perché la vittoria dell’Asa è stata una vittoria di così alto profilo? Anche se Norman Finkelstein ha recentemente liquidato la vittoria dell’Asa come una distrazione dissennata di attivisti mal informati, il voto all’Asa è stato giustamente considerato un punto di svolta dal Pacbi e da David Lloyd, uno dei fondatori dell’Usacbi.
Steven Salaita ipotizza che l’alto profilo dell’Asa e alcuni dei principali organizzatori del voto hanno portato a un maggior controllo dei media, e hanno dato all’opposizione più tempo e maggior motivazione alla spinta. La mia ipotesi è che l’identità dell’Asa e dell’Associazione americana di studi (piuttosto che l’Associazione asiatico-americana di studi o l’Associazione dei nativi americani e di studi indigeni) abbia contato molto.
Chi non ne sa molto di Studi americani potrebbe immaginarselo come un inno ai Padri fondatori, alla costituzione e al sensazionalismo in genere degli Stati Uniti. In realtà, Studi americani è un settore molto critico, influenzato tra le altre cose dal femminismo, dal marxismo, dal post-colonialismo e dall’antirazzismo, ed è profondamente critico rispetto al sensazionalismo americano. Il suo supporto al boicottaggio accademico, pertanto, può essere collocato dai sionisti e da altri conservatori in una più vasta “guerra culturale” Usa, ed essere visto come un tradimento dei “valori americani”.
Naturalmente, il fatto che le critiche pubbliche a Israele fatte da un’Associazione di studi “americana” vengano considerate come un tradimento dei “valori americani” la dice lunga su quanto il sostegno incrollabile a Israele sia intrinseco agli stessi valori americani, e la messa in discussione dei valori americani è considerata dalla critica un attacco diretto a sé stessa, e, perciò, la significativa sovrapposizione di valori americani e valori sionisti è data per scontata.
Come chiarisce J. Kehaulani Kauanui, considerare lo status di Israele un progetto coloniale sionista significa sfidare le fondamenta stesse degli Stati Uniti.
Così, le critiche a Israele non possono essere tollerate per il timore che i fondamenti del progetto coloniale degli Stati Uniti possano essere oggetto di esame critico.
Una simile frantumazione di tabù accadde quando gli studenti dello Swarthmore College dichiararono la loro Casa Hillel una “Hillel aperta”, dando il benvenuto a membri di idee diverse riguardo a Israele. Questo è solo il più recente sviluppo nella sfida all’ortodosso Hillel International, e all’establishment ebraico più in generale, da parte del Movimento studentesco Open Hillel negli Stati Uniti.
Che l’Hillel sia un attore dell’establishment ebraico e un delegato sionista – e non semplicemente un campus dedito alla promozione della vita universitaria degli studenti ebrei – è ancora più esplicito da quando, di recente, si è associato all’Aipac, chiarendo gli sforzi congiunti dei gruppi nel “rafforzare, allenare e preparare gli studenti ebrei americani nell’essere attivisti partecipi pro-Israele dentro e fuori dal campus”.
Ognuna di queste vittorie rappresenta un grande passo avanti ber il Bds negli Stati Uniti. Esse sono significative in sé, ma lo sono ancor di più per i luoghi in cui sono accadute. L’Hillel, un’istituzione dell’establishment ebraico negli Stati Uniti, e il mondo accademico, un posto che, come chiarito in numerosi post sul proprio blog da Stanley Fish, gli americani preferirebbero restasse neutrale e libero da quheike schottenalsivoglia posizione politica.
L’appoggio a Israele sta sempre più diventando una posizione di parte, negli Stati Uniti. La combinazione di ebraicità e sionismo diventa sempre più una posizione di parte all’interno del giudaismo. Questi sono segni di cambiamento, e di una necessaria fondazione di una reale revisione del discorso politico su Israele degli Stati Uniti.
Lungi dall’essere “di culto”, come considerato da Finkelstein, il Bds è sempre più mainstream e vicino al grande pubblico. I media appoggiano sempre più le dichiarazioni e le posizioni degli attivisti Bds (vedasi i recenti editoriali sul Financial Times e, a firma di Omar Barghouti, sul New York Times).
L’intensificazione degli sforzi imbarazzanti della propaganda in luoghi pubblici come le stazioni di metropolitana suggerisce che Israele sa fin troppo bene di poter perdere la battaglia delle relazioni pubbliche negli Stati Uniti, e dimostra che il terzo binario potrebbe diventare sempre meno pericoloso al tatto, e sempre più una forza elettrizzante per il cambiamento nella politica degli Stati Uniti.
Heike Schotten è professore associato di Scienze politiche presso l’università del Massachusetts di Boston, dove insegna teoria politica, teoria femminista e queer theory. Heike Schotten è attiva nel movimento di solidarietà per la Palestina dal 2006.
Traduzione di Stefano Di Felice