Attacco alla Freedom Flotilla: i lavoratori portuali nel mondo reagiscono al massacro di Israele. Mobilitazioni contro l'assedio su Gaza.

di Greg Dropkin*.

Tre settimane dopo il massacro contro la Freedom Flottilla, avvennero i seguenti episodi: i lavoratori portuali (Ilwu) del porto dell’area di San Francisco Bay bloccarono una nave israeliana della Linea Zim per 24 ore, il sindacato svedese dei lavoratori portuali inaugurò un blocco settimanale su navi e container israeliani, lo stesso fecero gli operai del porto di Cochin (India) rifiutandosi di lavorare allo scarico di un cargo israeliano, mentre il sindacato turco dei lavoratori portuali Liman-Is invitò i propri membri a rifiutarsi di lavorare per qualunque nave israeliana.

Eventi simili erano accaduti in Sud Africa in concomitanza con la guerra israeliana contro la Striscia di Gaza tra il 2008 e il 2009.

In occasione del 5° anniversario dell’Appello dell’Unione palestinese per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, Israele si trova a dover affrontare altre possibili azioni di boicottaggio industriale.

Cosa è potuto accadere, quale è il significato di tutto questo e in che modo il movimento di solidarietà può proseguire e rispondere a questi appelli?

Oakland
Sono le 5 del mattino di domenica 20 giugno e 800 sindacati marciano insieme ad attivisti di solidarietà con la Palestina dall’area di San Francisco Bay fino al terminal SSA (Servizi di stivaggio americani) a Berths 57-58 nel porto di Oakland, dove era attesa la nave israeliana 'Zim Shenzhen'.

La Linea Zim è la principale compagnia navale israeliana che collega Israele al resto del mondo.

Parte da Haifa per attraversare il Pireo, Livorno, Genova, Tarragona, Halifax, New York, Savannah, Kingston, Canale di Panama, Los Angeles per poi raggiungere Oakland.
Nel punto in cui i lavoratori si radunano lungo la banchina, in attesa di iniziare il proprio turno di lavoro, parte una dimostrazione di massa nei pressi dei quattro ingressi.

Quel giorno, gli slogan sono: ‘Palestina libera! Non andate oltre il nostro picchetto’… ‘La ferita di uno è una ferita per tutti. Abbatti quel Muro di Apartheid’ … ‘Rompi l’assedio, chiudi il passaggio (alla nave israeliana, ndr), Israele è uno stato terrorista’…

Contemporaneamente, i membri del sindacato si rivolgevano agli autisti e fissavano i picchetti davanti le automobili.

Il Consiglio del Lavoro di San Francisco e quello della Contea di Alameda avevano approvato alcune risoluzioni interne e avevano mobilitato centinaia di sindacati del lavoro per aderire alle dimostrazioni promosse dal Comitato del Lavoro della comunità in solidarietà al popolo palestinese.

Si è trattato di un episodio senza precedenti a dimostrazione del potere, sia locale sia regionale, di AFL-CIO, come pure della forza dei sindacati affiliati. Tutti, affiancati da attivisti palestinesi e arabo-americani.

In origine, le navi per Gaza furono organizzate da Paul Larudee, di San Francisco, e dai residenti dell’area di S.F. Bay che con lui le avevano salpate.

Oggi in molti si uniscono all’appello e si ritrovano in azioni unificate. Tutto è accaduto in sole due settimane.  

Local 10 e Local 34 (gli impiegati) sono delle sezioni militanti del Sindacato dei lavoratori portuali.

‘Ilwu gestisce i porti ma anche altri settori industriali sulla costa ovest degli Stati Uniti e su quelle delle Hawaii.

Nella storia, Ilwu ha affrontato molte cause e rivendicazioni. Sin dal 1934 ha portato avanti come azioni di solidarietà a specifiche categorie di lavoratori, lotta al razzismo e ha adottato risoluzioni di condanna all’oppressione israeliana sui palestinesi definendo lo stato ebraico ‘uno stato che promuove il terrorismo’.

Il 1° maggio del 2008 inoltre, chiuse tutti i porti sulla costa ovest Usa in protesta alla guerra in ‘Iraq.

Similmente all’Atto Taft-Hartley (Legge federale Usa per il monitoraggio delle attività e dei poteri dei sindacati. La legge prende il nome dai due legislatori che la promossero e fu approvata il 23 giugno 1947, ndr), le leggi statunitensi sul lavoro considerano 'illegali' molte attività di solidarietà promosse dai sindacati. 

Arrivati in orario per prendere servizio, i lavoratori portuali di Oakland si rifiutarono di oltrepassare i picchetti nel nome di ‘salute e sicurezza’.

Nella speranza di ripristinare l'ordine e far rientrare tutti a lavoro
, l’Associazione Marittima del Pacifico (Pma) allora – per conto dei dipendenti di SSA – aveva invocato un arbitrio (ovvero una procedura sindacale per la gestione di controversie sorte sui porti).

L’arbitrio concluse che, di fronte alla richiesta della Pma, si richiedeva l'intervento della polizia la quale, con la forza, avrebbe aperto l’accesso oltre il picchetto e garantire così ai lavoratori di entrare in ‘sicurezza’ nel terminal.

Il sindacato sostenne che la polizia di Oakland avrebbe posto una minaccia alla sicurezza di lavoratori e dimostranti.

Nel 2003, mentre gli Usa attaccavano l’Iraq, la polizia di Oakland sparò con armi cosiddette ‘non letali’ contro lavoratori portuali e dimostranti pacifisti.

Molti furono feriti e portati in ospedale. 

Nel 2010, l’arbitrio ha dato il proprio sostegno al sindacato.

Nel rispetto del contratto, gli operai sono stati mandati a casa con una paga da 'sostituto'.

I datori di lavoro tuttavia, non rispettarono la decisione dell’arbitrio, non pagarono nulla a quegli operai e fecero ricadere l'intera responsabilità alla gestione della disputa.

La nave 'Zim Shenzen' partì da Los Angeles intorno le 2,30 di notte, era sabato e sarebbe dovuta arrivare alla stazione marittima principale di San Francisco dopo 18 ore.

Per il porto invece erano necessarie altre due ore di navigazione.

Il sistema di rotta fu rimosso da quello nautico GPS pertanto, i dimostranti avrebbero solo potuto immaginare quando la nave sarebbe arrivata.

Alle 5 del mattino erano già a centinaia e, in poche ore, si giunge ad essere 800.

La compagnia decise di bloccare il porto fino alle 6 della sera, dal terminal SSA si pensò che i dimostranti non si sarebbero dati per vinti ma che sarebbero ricomparsi in concomitanza con il cambio di turno serale e che l'arbitrio alla fine, ribadisse la sua precedente decisione.

Si decise così di lasciar perdere e di non richiamare al lavoro gli scaricatori di porto.

La nave restava presso la banchina e il fissaggio del picchetto – per impedire a scaricatori e impiegati di recarsi a lavorare in quel terminal – si rendeva fondamentale per la riuscita dell'iniziativa.

Si trattava della prima azione di boicottaggio di una nave israeliana da parte di operai statunitensi.

Negli Stati Uniti, il sionismo ha sempre esercitato una forte influenza su istanze e rivendicazioni del movimento dei lavoratori come anche sul meccanismo delle elezioni politiche.

'La ferita di uno è una ferita per tutti' è lo slogan di Ilwu utilizzato pure dai lavoratori del Sudafrica.

L'azione 'Zim' infatti, venne interpretata come un'eco della lotta condotta nel 1984, dai Local 10 contro l'apartheid, quando i suoi membri si rifiutarono di lavorare nelle fabbriche di acciaio e carbone per ben 11 giorni fino a quando il datore di lavoro non ricevette un'ingiunzione federale.

In un'intervista video condotta nel corso del picchetto della nave 'Zim', Clarence Thomas, membro del Consiglio Esecutivo dei Local 10 ha dichiarato: “Questa è un'occasione storica. Ricordiamo tutti le azioni promosse dalla Comunità del lavoro nel 1984 presso Pier 80, a San Francisco, quando si fece il picchetto della 'Nedlloyd Kimberley'.

Howard Keylor, uno scaricatore attualmente in pensione, membro di Local 10 era uno degli organizzatori di quell'azione e oggi ricorda: “Era il prodotto di oltre 10 anni di orrori del regime di apartheid del Sudafrica. Noi Local ne eravamo consapevoli. L'intera leadership del sindacato dei minatori neri (Sindacato nazionale dei minatori) fu arrestata in Sudafrica, accusata e condannata a morte.

Una mozione approvata all'unanimità dai Local 10 stabilì di non accogliere il cargo delle imbarcazioni che sarebbero arrivate nel porto. Si trattava di una presa di posizione coraggiosa perché stavamo violando – in modo deliberato – la legge Taft-Hartley e lo stesso contratto sindacale”.

A fissare le linee guida dell'attuale strategia, Clarence Thomas: “La gente non ha cibo, non riesce a ricostruire Gaza e i materiali di costruzione sono proibiti. Persino le gomme da masticare sono vietate a Gaza! L'unico aspetto che sta mettendo Israele e Stati Uniti di fronte alla consapevolezza di non poter continuare ad oltranza con questa politica, sono proprio il commercio e il lavoro.

E Israele è molto sensibile su questioni di questo genere.

Giust'appunto questi settori furono fondamentali per dare vita alla mobilitazione del 1984 contro l'apartheid, quando i motti erano tre: boicottaggio, sanzioni e disinvestimento”.

Thomas, anch'egli, membro del Consiglio esecutivo di Local 10, afferma: “Se gli scaricatori decideranno di non oltrepassare la linea del picchetto, vorrà dire che il cargo della nave 'Zim' in arrivo non verrà scaricato e che un'azione del genere si ripeterà anche in Norvegia, Svezia, Sudafrica. Credo che la gente stia cominciando a capire il peso di messaggi del genere. Inviare un forte e chiaro messaggio al governo israeliano e far sapere che le sue ingiuste politiche nei confronti del popolo palestinese avranno delle conseguenze. Non può considerarsi un business 'ordinario' quello con Israele, perché è responsabile di omicidi di cui noi siamo testimoni”.

Monadel Herzallah, membro del Consiglio del sindacato arabo americano riassume come segue: “E' un punto di svolta rilevante in ambiente lavorativo, è molto importante perché Ilwu ha onorato la nostra linea di picchetto, noi lo apprezziamo e siamo certi che gli effetti non si fermeranno negli Usa ma avranno un impatto pure nel resto del mondo. I Consigli del lavoro di Alameda e di San Francisco, hanno risposto all'appello incoraggiando sindacati, membri, affiliati e attivisti ad aderirvi insieme ad altre decine di organizzazioni di base che hanno contribuito al successo di questo picchetto.

La gente ha voluto comunicare al governo di Israele e a quello statunitense che lo stato ebraico non può considerarsi al di sopra della legge ma deve piuttosto rispondere dei propri crimini contro i civili delle navi della Freedom Flottilla”.

L'appello dei sindacati palestinesi

Il 7 giugno, il movimento sindacale palestinese ha stilato un appello rivolto ai sindacati dei lavoratori portuali nel mondo.

L'Appello è stato firmato dai seguenti gruppi: Federazione Generale palestinese dei sindacati (Gupw), Federazioni dei sindacati per il lavoro autonomo (Pgftu e Ifu), Sindacato generale dei lavoratori palestinesi (Gupw), 11 sindacati e organizzazioni palestinesi per il movimento operaio.

Nelle conclusioni dell'appello si legge: “Gaza oggi è diventato il test della nostra moralità universale e della nostra umanità. Durante la lotta contro l'apartheid sudafricana, il mondo si ispirò alle azioni coraggiose e moralmente salde promosse dai sindacati dei lavoratori portuali che si rifiutarono di lavorare sulle navi sudafricane.

In quel modo, si contribuì – significativamente – alla disfatta dell'apartheid. Oggi ci appelliamo a voi, sindacati dei lavoratori portuali nel mondo a fare lo stesso contro l'occupazione di Israele e contro la sua apartheid.

Questa sarà la più efficace forma di solidarietà per porre fine all'ingiustizia e per ripristinare i diritti umani fondamentali”.

L'appello svolge una duplice funzione.

Anzitutto, pone le basi perché gli operai possano rispondere, coscienti che la richiesta proviene da colleghi di altri paesi e, in seconda istanza, dimostra l'unità 'straordinaria' degli attori palestinesi come un importante sviluppo nella rivendicazione dei propri diritti.

L'appello congiunto dei sindacati trae origine da quello del Comitato nazionale palestinese per il boicottaggio (Bnc), emesso il 1° giugno e nel quale si specificava: “Ci appelliamo in particolare ai lavoratori portuali, a quelli che operano nel settore dei trasporti e ai sindacati nel mondo affinché si rifiutino di caricare/scaricare le merci dalle navi e dagli aeroplani israeliani seguendo in questo lo storico esempio dato dal Sindacato dei lavoratori del trasporto sudafricano (Satawu) a Durban nel febbraio del 2009, adottato in seguito dal Sindacato marittimo australiano (Western Australia).

Il Consiglio esecutivo dei Local 10 di Ilwu si è riunito l'8 giugno scorso, per discuterne con i membri del Consiglio per il Lavoro di San Francisco e incontrare un portavoce del gruppo di attivisti della solidarietà palestinese.

In quell'occasione, il Consiglio ha adottato all'unanimità una mozione esecutiva riprendendo i contenuti dell'appello del Sindacato palestinese che avevano ricevuto.

Nucleo dell'appello emerso l'8 giugno è la condanna del massacro contro la Freedom Flottilla.

I firmatari sono: Consiglio internazionale de lavoratori portuali (Idc), Federazione internazionale dei lavoratori del settore dei Trasporti (Itf), Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc), Confederazione sudafricana dei sindacati (Cosatu) e Sindacato britannico Unite.

La mozione esecutiva di condanna sottoscritta, si concludeva con un 'appello ai sindacati per avviare una protesta attraverso l'adozione di qualunque azione'.

'Ilwu' intanto, aveva appreso che, i lavoratori portuali svedesi stavano programmando alcune azioni, di cui la prossima sarebbe stata il 15 giugno.

Svezia

Ancor prima che i sindacati palestinesi lanciassero il loro appello, il Sindacato svedese dei lavoratori portuali aveva già annunciato un blocco – della durata di una settimana – di tutto il commercio che riguardasse il paese 'Israele'.

Il sindacato svedese è un membro del Consiglio internazionale dei lavoratori portuali e fu creato durante la lotta dei lavoratori del porto di Liverpool che durò dal 1995 al 1998.

All'epoca, i lavoratori protestavano per riappropriarsi del proprio posto di lavoro e, anch'essi, si rifiutarono di oltrepassare la linea di picchetto.

Ex lavoratori portuali di Liverpool e dalla Svezia avevano discusso sulle possibilità di intraprendere un'azione e, sin dai primi contatti tra la Bnc palestinese – avvenuti il 31 maggio tramite gli organizzatori di Bds di entrambi i paesi, a tal proposito, avevano allertato Idc e i sindacati affiliati.

Il sindacato dei lavoratori portuali svedese, mise in chiaro gli obiettivi del blocco e tutti discussero una strategia comune e dettagliata da inoltrare ai membri e alla stampa.

Il blocco fu stabilito per l'ultima settimana e fu considerato una misura temporanea dalla quale sarebbero dovute scaturire altre azioni.

Si mirava a fare pressioni sul governo israeliano:

  1. Per la rimozione dell'illegale e disumano assedio su Gaza che dura da oltre tre anni;

  2. Per avviare un'indagine internazionale indipendente sull'azione militare israeliana ai danni della Freedom Flottilla (di cui proprio una nave svedese faceva parte).

    L'episodio, condannato nell'appello, era avvenuto in piene acque internazionali; nove attivisti furono assassinati e almeno 48 feriti.

    Questa richiesta voleva aggregarsi alle istanze avanzate da Onu e Unione Europea (Ue).

    Dopo un primo appello, l'Associazione dei datori di lavoro 'Porti di Svezia' minacciò di intentare causa ai singoli membri del sindacato, procedendo alle deduzioni dai salari.

I lavoratori portuali allora posticiparono l'azione di una settimana per sincronizzarsi con l'azione del Sindacato del settore dei trasporti norvegese.

Giunto l'appello dei sindacati palestinesi, la Svezia decise che era giunto il momento di agire.

Alla fine, l'azione norvegese non ci fu mentre gli svedesi proseguirono.

“A partire dal 23 giugno, non lavoreremo sui container israeliani contenenti vini, verdura o frutta con il marchio Jaffa, Carmel, Top, altra verdura in scatola Tivall o Soda Stream.

Non lavoreremo nell'esportazione di autobus Volvo, utilizzati da Israele per trasportare centinaia di attivisti per i diritti umani della Freedom Flottilla verso le prigioni israeliane”.

Il sindacato era stato coinvolto direttamente nei piani originari per la preparazione della nave svedese in rotta verso la Striscia di Gaza. I lavoratori portuali vollero caricare gli aiuti umanitari senza alcuna retribuzione.

La nave svedese 'Sofia' entrò poi in contatto con un'organizzazione di solidarietà greca e da lì iniziarono anche le comunicazioni con il Sindacato greco dei lavoratori portuali che su 'Sofia' caricarono sedie a rotelle e cemento per i palestinesi di Gaza.

Nel porto del Pireo, anche i greci lo fecero a titolo gratuito.

I contatti tra la Svezia e Idc riguardavano anche richieste di vigilanza 'volontaria' su tutte le navi che contenevano del carico destinato a Gaza.

Björn Borg, presidente del Sindacato per lavoratori portuali svedese ed Erik Helgeson, difensore civico di Local 4 Gothenburg, così rimarcano l'importanza della missione della Freedom Flottilla.

“Abbiamo assistito all'attenzione del mondo verso Gaza e verso la sua popolazione assediata. Si è notato che, anche la notte prima dell'attacco omicida israeliano contro la Freedom Flottilla, la missione internazionale aveva già prodotto maggiori interesse e attenzione per la catastrofica situ
azione in cui è condannata Gaza rispetto a tutte le iniziative diplomatiche, dichiarazioni e risoluzioni degli ultimi anni. È stato proprio questo a darci lo slancio – a noi come ai nostri colleghi in altri paesi – ad avviare un'azione”.

Quando il blocco ha avuto inizio, i lavoratori individuarono – ed isolarono – ben 10 container carichi di merce verso o proveniente da Israele.

Erik Helgeson afferma: “Pensavamo che l'ammontare della merce fosse decisamente inferiore a quello rinvenuto sui container proprio perché il blocco era stato annunciato per ben 20 giorni.

La nostra ambizione era quella di fare – una sempre maggiore luce – sulla situazione di Gaza; sugli 800,000 bambini palestinesi che vivono nell'isolamento più assoluto a Gaza.

La popolazione civile palestinese deve avere la possibilità di ricostruire la propria economia, infrastrutture e deve ritornare ad integrarsi – liberamente – al resto del mondo.

La guerra contro Gaza e l'embargo imposto da Israele rendono impossibile una simile ripresa per il territorio palestinese”.

Turchia

Quanto più si diffondevano le notizie sull'azione svedese, anche in Turchia iniziarono le mobilitazioni.

Il sindacato turco 'Liman-Is' decise di unirsi alla Svezia e di farlo su tutti i livelli.

Erano tutte turche le nove vittime a bordo della nave 'Mavi Marmara', assaltata dai commando israeliani.

L'Associazione dei fisici turchi, la Camera per l'Ingegneria agricola e il Comitato Centrale del sindacato 'Liman-Is' rilasciarono la seguente dichiarazione congiunta:
“(…) Lo stesso attacco, condannato nel mondo come dall'Onu, è stato seguito da una mobilitazione popolare in tutte le strade della Turchia. Il governo turco intanto annuncia che saranno attivate altre sanzioni nei confronti di Israele. Una risposta ad Israele – per l'omicidio consumato contro gli attivisti internazionali – non deve giungere solo dalle istituzioni di governo ma anche da organizzazioni ed enti della società, Ong e sindacati.

Il nostro sindacato 'Liman-Is' ha optato per il boicottaggio delle navi di Israele, in quanto siamo di fronte ad una 'macchina della morte e di tortura'.

In questo contesto, nessun membro del nostro sindacato e nessun lavoratore lavoreranno per Israele in nessuno dei porti dove decideremo di promuovere le nostre azioni.

'Liman-Is' invita tutti i sindacati e le Ong ad organizzare in Turchia come altrove, azioni conformi alla nostra per il boicottaggio e, in generale, per una campagna di protesta”.

Concretizzare questa dichiarazione in azioni di boicottaggio reali richiederà il coinvolgimento attivo di altri sindacati nel resto dei porti turchi.

India

Pochi giorni prima dell'azione di Oakland, alcuni sindacati nel porto di Cochin, nello stato del Kerala, avevano già aderito al boicottaggio di navi e cargo israeliani.

Il 17 giugno giunse la notizia secondo la quale, una nave israeliana era stata scaricata nel porto di Colombo e che, il carico, avrebbe raggiunto Cochin a bordo di un'altra imbarcazione.

Il 23 giugno, il sindacato organizzò delle proteste proprio nel porto di Chochin presso gli uffici della compagnia israeliana 'Zim'.

B. Hamza, Segretario Generale del sindacato di Cochin (Citu) condannava il massacro israeliano contro la Freedom Flottilla e comunicava la solidarietà dei lavoratori portuali con la causa palestinese.

I leader di almeno 5 sindacati portuali e la Federazione dei lavoratori dei trasporto in mare dell'India si dimostrarono coesi con i lavoratori del porto di Cochin e con quelli nel resto del mondo.

Sudafrica

Il Congresso dei sindacati sudafricani (Cosatu) aveva già reagito in concomitanza alla guerra israeliana contro Gaza, tra il 2008 e il 2009.

In quelle tre settimane, Israele assassinò 1.400 palestinesi – di cui 300 erano bambini.

Israele proibì alla Croce Rossa Internazionale (Icrc) di procedere ad un im
mediato soccorso alle vittime, costringendola ad un'attesa di ben 4 giorni prima di riuscire ad inviare le proprie ambulanze a soccorrere i bambini rimasti sotto le macerie della propria casa – affianco al corpo, senza vita, della madre.

Un complesso edilizio dell'Onu fu bombardato con bombe al fosforo bianco mentre tutto; scuole, ospedali, ambulanze, sistemi fognari e idrici furono totalmente distrutti.

Ancor prima che l'Onu avviasse indagini su possibili crimini di guerra (Rapporto Goldstone), i lavoratori sudafricani già sembravano determinati su come reagire.

I Membri del sindacato sudafricano dei trasporti (Satawu), affiliato di Cosatu, si rifiutarono di lavorare sulle Linee israeliane Zim 'Johanna Russ' che, nelle ore dell'invasione israeliana aveva lasciato il porto di Haifa per giungere Durban nel febbraio 2009.

Scriveva Cosatu in quelle ore:

“L'azione di Satawu di domenica fa parte dell'orgogliosa storia di resistenza dei lavoratori contro l'apartheid.

Nel 1963, quattro anni dopo la costituzione del Movimento contro l'apartheid, i lavoratori portuali danesi si rifiutarono si caricare un cargo di merce proveniente dal Sudafrica e la stessa cosa accadde nei porti svedesi, in quelli dell'area di San Francisco Bay e di Liverpool.

I sudafricani e la classe operaia sudafricana saranno riconoscenti a questi lavoratori che si oppongono con fermezza all'apartheid. La scorsa settimana, Western Australian, membro del Sindacato marittimo australiano, ha aderito alla campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele e si è fatto personalmente promotore di un potenziamento della campagna.

Questi sono i frutti del legame e della tradizione ereditati dai lavoratori del Sudafrica e questi lavoratori garantiranno che i porti sudafricani non accolgano merce collegata – in nessun modo – a dittature o stati oppressori come Zimbabwe, Swaziland e Israele”.

Cinque ufficiali di Cosatu erano tra i 1.400 internazionali che, lo scorso dicembre, si sono ritrovati a Il Cairo, nella speranza di realizzare la Gaza Freedom March entrando nel territorio palestinese assediato.

Zico Tamela, Segretario internazionale di SATAWU, faceva parte della delegazione sudafricana e, intervistato fuori dalla sede Onu, lungo il fiume Nilo, aveva lanciato il suo appello ai lavoratori del settore dei trasporti del mondo:

“…contribuire alla lotta di liberazione di tutti i nostri fratelli e sorelle in Palestina. Sostenere e implementare attivamente boicottaggio, disinvestimento e sanzioni.

Isolare Israele in termini concreti con un embargo militare, economico, culturale, sociale ed di altro tipo.

Agire nei confronti di Israele proprio come fecero verso il Sudafrica, i colleghi sudafricani.

Questo significa pure che, il Movimento del lavoro israeliano – fulcro del sionismo – deve essere espulso dal Movimento internazionale dei sindacati del lavoro.

Non si tratta di opporsi ai lavoratori ebrei – tutt'altro!

Si tratta qui di isolare il Sionismo dal Movimento internazionale del lavoro.

Proprio come si fece nella nostra lotta; noi non combattevamo contro i lavoratori bianchi ma era una lotta al razzismo e nel nome del suo isolamento dal Movimento internazionale del lavoro.

A Durban, ci siamo rifiutati di scaricare merci israeliane come abbiamo fatto con le armi dalla Cina destinate allo Zimbabwe.

Noi, lavoratori nel settore dei trasporti dobbiamo essere in prima linea in questa campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni nei confronti dello stato di Israele”.

Il Consolato israeliano si rifiuta di prendere sul serio le azioni promosse dai Local 10 di Ilwu.
Lo scorso 6 luglio, Akiva Tor, Console israeliano per la regione nord-ovest del Pacifico, con sede a San Francisco, ha chiesto un incontro con il Comitato Esecutivo dei Local 10 di Ilwu.

Tor sperava di far cambiare idea e strategia al sindacato.

Il 2 luglio Pgftu scriveva in sostegno del boicottaggio e ripercorrendo la propria storia di solidarietà internazionale, ricordava i rischi corsi all'epoca dagli afro-americani del Movimento dei diritti civili.

Da quella lettera, è sorto un altro appello rivolto al sindacato a non cedere: “(…) anche se non viviamo negli Usa, troviamo alquanto inusuale che il
rappresentante estero di un regime razzista e d'apartheid possa chiedere un incontro con il Comitato esecutivo di un sindacato locale come Ilwu.

La nostra società civile ha preso una posizione e crede che la giustizia sia un valore universale.

Abbiamo sostenuto la lotta per porre fine all'apartheid in Sudafrica, abbiamo lottato in quella per i diritti civili negli Stati Uniti e nella lotta per la solidarietà internazionale.

Ricordiamo che, il 1° maggio, si celebra la lotta operaia di Chicago (Il) e che, il 1° maggio del 2008, il nostro sindacato, l'Ilwu, chiuse tutti i porti in protesta alle guerra in Afghanistan e in Iraq.

Quelle azioni non hanno avuto precedenti simili nel Movimento del lavoro statunitense.

Pertanto, affermiamo che, la richiesta di un incontro con il sindacato da parte di un emissario – commissionato dall'estero – non sia altro che ingerenza negli affari locali della comunità negli Stati Uniti.

Israele è uno stato di apartheid, conduce una guerra 'illegale' e va escluso dalla piattaforma sindacale, la stessa che va riservata a chi lotta per la giustizia e l'uguaglianza per tutti'.

Il Console israeliano avrà avuto il sentore di rischio e il 6 luglio, il suo vice, Gideon Lustig, comparì davanti alla delegazione.

Lustig può vantare 10 anni di esperienza al servizio delle Forze di Difesa Israeliane e, prima di avviarsi alla carriera diplomatica, è stato Maggiore nell'esercito israeliano.

Nella delegazione consolare si presentò anche Roberta Seid, una docente dell'Università californiana 'Irvine', la stessa che si opponeva alle tesi della responsabilità dell'esercito israeliano della morte di Rachel Corrie, volontaria dell'International Solidarity Movement (Ism).

Rachel Corrie fu schiacciata fino alla morte da un bulldozer israeliano il 16 marzo 2003 a Gaza mentre tentava di impedire la demolizione della casa di un medico palestinese.

Perché negare fino a questo punto?

Ma perché a negarlo è stata l'indagine israeliana!

Il quell'incontro, il Comitato esecutivo si è rifiutato di accogliere la delegazione consolare, in linea con l'appello di Pgftu.

Alla dott.ssa Seid è stato permesso di prendere parola e, senza mezzi termini, si è espressa contro ogni responsabilità israeliana dell'attacco alla Freedom Flottilla.

A conclusione dell'incontro, tra un discorso e l'altro, il sindacato ha ribadito le proprie posizioni di condanna e di opposizione al blocco israeliano su Gaza, al muro di apartheid in Cisgiordania, alla perpetua sanguinaria oppressione sionista contro il popolo palestinese e all'attacco omicida contro la Freedom Flottilla.

Cosa vuol dire?

Aldilà di poche eccezioni, in passato, i sindacati hanno sempre valutato varie opzioni per dimostrare la propria solidarietà alla Palestina; erogazione di fondi, invio di delegazioni in Cisgiordania – qualche volta a Gaza – invito dei colleghi palestinesi a tenere conferenze, senza tuttavia entrare così a fondo nella questione fino a creare un conflitto con i rispettivi datori di lavoro.

Sebbene i sindacati abbiano adottato politiche in sostegno di Bds – certo, superando forti opposizioni interne prima di raggiungere questi risultati positivi – politiche del genere restavano pure dichiarazioni su carta.

Oggi, ci si muove in passi, singoli ma, essenziali per la fase preparatoria.

Come specifica Howard Keylor: “Ci sono voluti anni di educazione e preparazione tra i Local 10 prima di decidere di boicottare 'Nedlloyd Kimberley'”.

Un altro segno, rilevante nella strategia, fu quello del 2006, quando
Israele invadeva il Libano e attaccava Gaza.

Gli autisti tranvieri di Dublino, avrebbero dovuto tenere dei 'training' a favore dei colleghi israeliani (destinati poi alla conduzione del treno che collega Gerusalemme alle colonie 'illegali' di Israele).

In linea con il proprio sindacato, 'Siptu' e con il Congresso irlandese dei sindacati, quei lavoratori irlandesi si rifiutarono di farlo, mettendo seriamente a rischio il proprio lavoro.

Contemporaneamente, si levava un appello dagli 'sfortunati' lavoratori di Liverpool dal titolo 'Sanzioni nei confronti di Israele: se non adesso, quando allora?' e concludeva 'Se sei coinvolto, agisci direttamente per porre fine al commercio e ai rapporti di lavoro con Israele, responsabile della carneficina in Libano e a Gaza'.

Qualche mese più tardi, a San Francisco, si discuteva la possibilità di promuovere azioni contro le Linee 'Zim'.

In Grecia, mentre Israele conduceva l'operazione militare 'Piombo Fuso' contro Gaza, i lavoratori portuali minacciarono di implementare il boicottaggio di una nave statunitense che trasportava armi destinate a Israele.

Solo a marzo la nave poté ripartire in direzione del porto israeliano di Ashdod.

Oggi, per la prima volta, Israele deve affrontare la reale prospettiva che i propri contatto e le relazioni di lavoro non siano più al sicuro perché i sindacati nel mondo stanno valutando ampiamente la strategia del boicottaggio.

Non è una questione riguardante i singoli lavoratori portuali quanto invece i sindacati che vogliano concretizzare la campagna Bds.

I lavoratori portuali piuttosto, saranno in grado di agire e di aderire proprio perché godranno di una base forte rappresentata dal vasto Movimento del lavoro nel mondo.

Questo è esattamente quanto accadde in Sudafrica a partire dal 1978. Le azioni di boicottaggio si estesero alla produzione di computer (l'impresa era la Icl, oggi Fujitsu) a Manchester.

I piloti di 'Air France' si rifiutarono di caricare 'illegalmente' sui propri voli l'uranio estratto a Rio Tinto Zinc, nella Namibia occupata dal Sudafrica.

Di fronte al rifiuto, si ripiegò in mare ma, dieci anni dopo i lavoratori del porto di Liverpool bloccarono i carichi di uranio ponendo fine alla sua esportazione e sollevando – tra le altre cose – la protesta del Giappone, dove l'uranio era destinato nel rispetto di alcuni contratti per la fornitura elettrica.

Ancora, i commercianti irlandesi si rifiutarono si vendere arance Outspan e le ritirarono dagli scaffali.

Allo stesso modo, i lavoratori portuali di Oakland si rifiutarono di scaricare acciaio e carbone dal Sudafrica.

L'azione doveva coincidere con un'altra emergenza.

I Sindacati autonomi sudafricani si dissero pronti a scioperare contro i datori di lavoro e contro il sistema di apartheid.

Nel 1985 nacque il Congresso dei sindacati sudafricani e, solo allora, la classe dominante del paese capì di non avere altra scelta che quella di avviarsi verso una soluzione all'apartheid.

Ad ogni modo, furono necessari altri 9 anni.

Questi non furono gli unici elementi a contribuire all'abbattimento del regime e – soprattutto – non ci si deve illudere che un blocco settimanale spazzi via l'apartheid imposta da Israele in Palestina o ponga fine all'assedio su Gaza.

I lavoratori portuali intanto, hanno incontrato l'appoggio dei sindacati e l'azione procede con l'adozione di risoluzioni, l'organizzazione di congressi sindacali, lavori educativi, di fundraising e altro, tutto molto importante per gettare le basi del boicottaggio.

La realtà del blocco, c
onduce la Palestina ad affrontare una lotta di classe che, in fondo, già viene vissuta quotidianamente dai lavoratori.

Ad Oakland, in Svezia, Turchia, India e in Sudafrica, un nuova generazione di lavoratori portuali si è unita alla lotta che riecheggia quella degli anni '80.

Di nuovo, le parole di Clarence Thomas:
“Quello a cui stiamo assistendo oggi, è la creazione di una giovane realtà d'appartenenza ai Local 10 di Ilwu sul modello dato dai fratelli e dalle sorelle che lo fecero prima di loro.

Sappiamo bene cosa vuol dire 'solidarietà internazionale'.

E non è affatto uno slogan privo di significato.

Dobbiamo saper rinunciare a qualcosa.

I nostri membri, ad esempio, hanno rinunciato alla paga di un giorno di lavoro.

Questo vuol dire 'solidarietà internazionale'.

Tutto questo si traduce in vittoria e, esattamente perché questa storia non possiamo leggerla sulla copertina di 'The New York Times' o apprenderla dagli schermi della 'Cnn', abbiamo il dovere di farlo noi, parlandone.

Non pretendiamo vittorie facili e non raccontiamo falsità.

Solidarietà ai palestinesi.

Solidarietà alla classe operaia nel mondo”.

Qualunque siano state le immediate conseguenze dell'attacco omicida di Israele contro la Freedom Flotilla, è certo che questa storia sta conducendo il regime sionista in 'acque molto pericolose'.

14 luglio 2010

*Greg Dropkin vive a Liverpool ed è attivista del gruppo labournet.net
http://www.counterpunch.org/dropkin07132010.html

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