Aumenta il numero di demolizioni delle proprietà private palestinesi da parte di Israele

Wafa. Durante la seconda metà del 2020, nei Territori palestinesi occupati da Israele, è stato registrato un elevato tasso di demolizioni di proprietà private palestinesi, secondo quanto reso noto dall’organizzazione per i diritti umani Al-Haq.

Le case e le proprietà palestinesi demolite nel primo semestre del 2020 sono state 31 ogni mese, mentre a luglio, agosto e settembre si è assistito all’abbattimento di 59 proprietà al mese. In totale, sono state 186 le proprietà private rase al suolo nel territorio palestinese occupato (OPT) durante la prima metà dell’anno, ed altre 177 proprietà sono state distrutte nei mesi di luglio, agosto e settembre.

È importante notare che nei tre mesi passati, 62 delle 177 demolizioni sono state realizzate nelle zone occupate di Gerusalemme.

Nel 2018 e nel 2019 il numero delle proprietà palestinesi demolite era di, rispettivamente, 22 e 30 al mese. L’aumento di questa media, osservato quest’anno dall’organizzazione Al-Haq, rivela tutto il disprezzo di Israele verso le leggi del diritto internazionale e conferma il desiderio israeliano di espandere le proprie colonie, annettendo nuove terre della Palestina al proprio territorio. Sullo sfondo, ancora una volta, l’incapacità della comunità internazionale di inchiodare Israele come responsabile di crimini di guerra contro i palestinesi, tra questi il costante abbattimento di proprietà private non giustificato da finalità militari.

Israele utilizza molti pretesti per giustificare la sua politica demolitrice. Tra questi, la tesi secondo la quale gli edifici che smantella sono costruiti senza permesso. Tuttavia, in quanto potenza occupante, gli è vietato demolire la proprietà del popolo palestinese, a meno che non si tratti di necessità militari giustificabili. L’estesa distruzione di proprietà privata, portata avanti da Israele senza alcuna necessità militare, costituisce una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra e può rappresentare un crimine di guerra, ha affermato Al-Haq.

Inoltre, questa politica di demolizione illegale di edifici e strutture palestinesi, considerata contestualmente a molte altre politiche e azioni altrettanto illegali, rivela l’intenzione di Israele di trasferire con la forza la comunità palestinese. La costruzione e l’espansione degli insediamenti, lo sfruttamento delle risorse naturali, la limitazione alla circolazione e all’accesso ad alcune aree, la pianificazione e l’applicazione di una politica discriminatoria e l’impossibilità effettiva di ottenere permessi di costruzione creano un ambiente coercitivo per i palestinesi, che equivale ad un’applicazione diretta o indiretta del trasferimento forzato, vietato ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra e che può costituire un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.

Inoltre, distruggendo e demolendo le proprietà del popolo palestinese, gli si nega il diritto di svilupparsi e realizzarsi e il diritto di esercitare l’autodeterminazione.

Al-Haq ha osservato che le demolizioni rivelano il coinvolgimento e la complicità di alcune imprese nella politica illegale di demolizione di Israele. Mentre, secondo le leggi, le aziende sono tenute a rispettare gli standard del diritto umanitario internazionale e a mantenere comportamenti rispettosi dei diritti umani, per evitare di causare o contribuire a gravi violazioni attraverso le proprie attività in aree di conflitto, società come Volvo, Caterpillar, Hyundai, e Hidromek continuano a vendere le loro attrezzature sapendo che verranno utilizzate per demolire illegalmente le proprietà palestinesi. Secondo quanto affermato da Al-Haq, queste imprese potrebbero quindi essere dichiarate complici di crimini di guerra perpetrati dalle forze israeliane.

Traduzione per InfoPal di Sara Origgio