Bambini palestinesi arrestati da Israele vittime di ‘confessioni forzate’

imageRamallah-Ma’an. I bambini palestinesi trattenuti nelle carceri militari israeliane dopo il loro arresto sono vittime di abusi progettati per costringerli a confessare, ha dichiarato  questa settimana un gruppo per i diritti dei bambini.

“Il sistema di detenzione militare israeliano sottopone i bambini palestinesi a diversi giorni di interrogatori prolungati e di isolamento con l’obiettivo apparente di ottenere una confessione a tutti i costi”, ha affermato lunedi Ayed Abu Eqtaish, direttore del Accountability Program presso il Defense for Children International Palestine.

“I tribunali militari ammettono queste confessioni estorte come prova per condannare questi bambini facendosi beffe del giusto processo e delle norme sull’equo processo”.

Il DCIP lunedì ha sostenuto che nel 2014 i bambini palestinesi hanno passato una media di 15 giorni in isolamento dopo il loro arresto.

In un caso, un bambino è stato tenuto in isolamento per 26 giorni ai fini dell’interrogatorio, dice il rapporto.

Oltre 54 ragazzini sono stati tenuti in isolamento tra il 2012 e il 2014; i minorenni palestinesi non hanno neanche il diritto di essere accompagnati da un adulto.

La ricerca da parte del gruppo ha dimostrato che i bambini arrivano nei centri di interrogatorio israeliani bendati, legati e privati del sonno e oltre il 75 per cento ha subito qualche forma di violenza fisica tra il periodo dell’arresto e quello dell’interrogatorio.

Nel 2014, oltre il 25 per cento dei ragazzini palestinesi ha firmato dichiarazioni in ebraico, una lingua che non capisce.

La maggior parte dei minorenni palestinesi è detenuta con l’accusa di aver lanciato pietre.

In un rapporto pubblicato nel febbraio 2013, l’ UNICEF, l’agenzia per l’infanzia dell’Onu, ha criticato Israele per il trattamento dei bambini palestinesi arrestati, dicendo che il loro interrogatorio mescola “intimidazione, minacce e violenza fisica, con il chiaro scopo di costringere il bambino a confessare”.

Traduzione di Edy Meroli