Biden, il trasformista guerrafondaio e pro-Israele

Di L.P. Biden non è un pacifista, non lo è mai stato e a confermarlo è quello che ha sostenuto in questi anni sulla corsa alle armi e invasioni militari. Dopo l’attentato di Oklahoma City del 19 aprile 1995, Biden redasse una legge antiterrorismo che non venne mai approvata. Nel 2001 fu un grande sostenitore del Patriot Act proprio perché, come lui stesso ha affermato più volte, era un duplicato della legislazione che aveva redatto sei anni prima. Il Patriot Act, redatto dopo gli attentati dell’11 dicembre, diede inizio ai sentimenti anti-islamici in Occidente prevedendo politiche di sorveglianza nei confronti delle comunità musulmane. Il 15 novembre 2007, durante un dibattito pubblico, Joe Biden ribadì il suo continuo sostegno al Patriot Act, pur opponendosi alla discriminazione razziale. Che è come dire “non voterò mai una legge contro il razzismo, ma non sono razzista”.

Negli anni ’90 votò a favore di più di trenta progetti militari, però al contempo sostenne gli sforzi per prevenire la proliferazione nucleare ma senza mai proporre o firmare un trattato di proibizione.

Nel 1990, dopo che l’Iraq sotto Saddam Hussein invase il Kuwait, Biden votò contro la Prima Guerra del Golfo, chiedendo: “Quali interessi vitali degli Stati Uniti giustificano l’invio di americani a morire nelle sabbie dell’Arabia Saudita?” A quanto pare l’opzione “petrolio” la capì senza tanti giri di parole e nel 1998, espresse sostegno per l’uso della forza contro l’Iraq e sollecitò uno sforzo per “detronizzare” Hussein nel lungo periodo. Biden voterà a favore dell’autorizzazione per l’uso della forza militare contro la risoluzione dell’Iraq del 2003, con il fine di deporre Saddam Hussein per la detenzione di armi chimiche che solo nel 2016 con il Rapporto Chilcot svelerà la loro inesistenza.

Nel 2007 Biden si oppose fermamente al potenziamento delle truppe in Iraq da parte di Bush, definendolo un “tragico errore”. Promosse quindi la legge per abrogare e sostituire la risoluzione del 2002, permettendo alle truppe statunitensi di “combattere il terrorismo” e addestrare le forze irachene, per poi avviare un “ritiro responsabile” delle truppe statunitensi. Sappiamo come andò a finire: continua ingerenza imperialista nei confronti dell’Iraq.

Nel marzo 1999 fu tra i promotori della Guerra in Kosovo contro Serbia e  Montenegro. L’operazione aerea della NATO durò 78 giorni e portò alla morte di centinaia di civili serbi. Nel maggio dello stesso anno chiese l’invio delle truppe di terra statunitensi sul suolo serbo. In un video del 5 gennaio 1998 si può ben vedere come Biden inneggiasse al bombardamento di Belgrado, incalzato dal senatore repubblicano di origini albanesi Joe Dioguardi ( https://www.youtube.com/watch?v=G7PPYpJBbh8&feature=emb_title ).

In quanto senatore Biden ha sviluppato relazioni per tutta la vita con i funzionari israeliani attraverso il suo lavoro nel Comitato per le relazioni estere, a partire da Golda Meir nel 1973 che, alla vigilia della guerra dello Yom Kippur, definì “uno degli incontri più significativi che abbia mai avuto nella mia vita”. Biden si è sempre dichiarato sionista considerando Israele un alleato strategico chiave degli Stati Uniti in Medio Oriente. Quando Obama scelse Biden come vicepresidente, il presidente del National Jewish Democratic Council Ira Form dichiarò che non c’è nessuno come Biden così impegnato per la sicurezza di Israele. Durante la campagna presidenziale del 2008 in Florida, Biden disse che lui ed Obama erano entrambi fortemente filo-israeliani, sottolineando che “Un’America forte è un Israele forte”.

Nel 2008 chiese all’amministrazione Bush maggior impegno militare sulla Siria, sulla disputa sulle alture del Golan, per il disarmo di Hezbollah e contro l’influenza siriana in Libano. Storici sono anche i suoi stretti rapporti con l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), parlando agli eventi e alle raccolte di fondi del gruppo. Se Trump è apertamente filo-israeliano e non tiene minimamente in considerazione la Palestina all’interno della sua agenda politica, Biden non tornerà nemmeno indietro sulla questione di Gerusalemme e il Golan, ma spingerà verso nuovi accordi di normalizzazione tra Paesi Arabi e Israele. Non a caso, tra i maggiori finanziatori della campagna elettorale di Biden nel 2020 figura Haim Saban, sostenitore acceso di Israele e dell’Accordo di Abramo.

Durante la seconda rielezione di Barack Obama, Biden diventò vicepresidente ed acconsentì ai bombardamenti su Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria. Sostenne anche le sanzioni contro il Venezuela, definito «minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale», l’armamento dei golpisti a Caracas così come dei controrivoluzionari a Managua nel tentativo fallito di rovesciare il governo sandinista guidato dal Daniel Ortega in Nicaragua. Sostenne tutte le operazioni di lawfare in America Latina che condussero al golpe parlamentare contro Dilma Rousseff in Brasile, contro Cristina Kirchner in Argentina.

Per non parlare dei fatti del 2014 che, con le rivolte colorate a Maidan in Ucraina, vennero scoperti legami tra la famiglia Biden e i neonazisti. Hunter Biden, suo figlio, entrò nel maggio 2014 nel consiglio d’amministrazione della Burisma Holdings, compagnia ucraina del gas, con uno stipendio di 50mila dollari al mese. Il figlio di Biden venne scelto pochi mesi dopo la decisione di Obama di affidare al suo vice il compito di seguire la “transizione politica in Ucraina”, ovvero la rivoluzione colorata che ha portato al potere in Ucraina i neonazisti contro il presidente Viktor Yanukovich.

Non è la prima volta che Biden si affida a clientelismi. Durante gli anni 2000, Biden su richiesta della MBNA Corporration, il più grande contributore di Biden alla fine degli anni ’90, spinse per una riforma sui fallimenti sostenuta dalla società, che, diventata legge, rese più difficile acquisire la protezione contro i fallimenti. Non a caso la MBNA Corporation assunse il figlio di Joe Biden durante gli anni in cui era un senatore, venendo definito dalla rivista politica conservatrice National Review come il “senatore dell’MBNA”.

Nel 2006 fu tra i sostenitori del Palestinian Anti-Terrorism Act del 2006 che espresse il sostegno degli Stati Uniti per una soluzione bi-nazionale, reprimendo però i movimenti resistenti palestinesi. Biden sostenne, in una intervista del 2007 che “la responsabilità ricade su coloro che non riconosceranno il diritto di Israele di esistere, non giocheranno lealmente, non tratteranno, non rinunceranno al terrore”. In un discorso del 2009 alla conferenza AIPAC, Biden invitò i palestinesi a “combattere il terrorismo e istigazione contro Israele”. Nel 2016 Biden criticò fortemente il primo ministro Benjamin Netanyahu per la promozione e l’espansione degli insediamenti illegali, ma anche gli “attacchi terroristici palestinesi” e il ricorso palestinese alla Corte penale internazionale, definendolo una “mossa dannosa”. Insomma, colpa dei palestinesi.

In un discorso nel dicembre 2019, Biden criticò Netanyahu per la sua deriva verso l’estrema destra, ma il premier israeliano sembra averla presa bene a tal punto che subito dopo la sua vittoria gli fece le sue congratulazioni.

Certo, Trump ha chiuso la sede diplomatica palestinese a Washington, ha tolto ogni aiuto, persino agli ospedali, ha regalato il Golan siriano, la Valle del Giordano ad Israele, ha spinto affinché Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan riconoscessero lo stato d’Israele senza nulla in cambio. Ha negato ogni diritto ed esistenza al popolo palestinese, violando le risoluzioni ONU e la legalità internazionale. Ciò che è sicuro è che Biden proseguirà su questa linea.

Negli USA vige il partito unico liberale che vede i democratici essere più progressisti e i repubblicani un po’ più conservatori, ma nulla potrà mai cambiare in politica estera e nell’assetto geopolitico.

(Foto: databaseitalia.it)