B’Tselem: Israele continua a sfruttare i lavoratori della Cisgiordania durante la pandemia

Gerusalemme-PIC. L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha accusato i datori di lavoro e le autorità delle aree israeliane di sfruttare gli operai palestinesi e di non tutelare i loro diritti.

Secondo un rapporto pubblicato da B’Tselem in occasione della Giornata internazionale dei Lavoratori, i palestinesi della Cisgiordania occupata che lavorano in Israele con o senza permesso non vedono i loro diritti protetti. Questo tipo di realtà li rende vulnerabili allo sfruttamento da parte dei datori di lavoro.

Da quanto emerge dal rapporto: “Coloro che hanno il permesso devono partire da casa la mattina presto, subire l’estenuante e degradante esperienza di attraversare affollati posti di blocco in Israele e tornare a casa dopo una lunga e massacrante giornata di lavoro. Molti devono, inoltre, pagare agli intermediari migliaia di shekel israeliani al mese per il permesso. Chi non possiede tale autorizzazione deve, invece, percorrere strade molto rischiose per entrare in Israele, mettendo spesso in pericolo la propria vita. Nessuno di questi lavoratori riceve i benefici sociali a cui ha veramente diritto e viene sfruttato dal datore di lavoro; lo Stato, nel frattempo, si astiene dal controllare le loro effettive condizioni di lavoro”.

“Dopo l’inizio della pandemia di Coronavirus, Israele ha annunciato che i palestinesi della Cisgiordania che volevano continuare a lavorare in Israele non sarebbero potuti tornare a casa per paura di un possibile contagio. Tuttavia, le autorità non hanno emanato alcuna direttiva al fine di accoglierli in Israele e alcuni hanno dovuto addirittura dormire nei cantieri stessi, in condizioni vergognose”.

“A marzo, Israele ha dichiarato che avrebbe permesso a circa 70.000 lavoratori di rimanere nel suo territorio, ma molti hanno scelto di tornare in Cisgiordania, principalmente per paura di essere contagiati e per non poter stare lontano dalle proprie famiglie. Circa 20.000 sono rimasti in Israele. Questi lavoratori non hanno ricevuto alcun risarcimento, come l’indennità di disoccupazione o un sussidio, e molti sono stati licenziati senza indennizzo. I lavoratori rimasti in Israele non hanno un’assicurazione medica e se dovessero tornare in Cisgiordania per le cure, rischierebbero di perdere il lavoro”.

In tre casi che B’Tselem ha documentato nel suo resoconto, “gli operai sospettati di aver contratto il virus sono stati portati ad un check-point in Cisgiordania e lasciati lì, senza assistenza medica o coordinamento con alcuna autorità locale”.

B’Tselem ha citato le notizie diffuse dai media che dichiarano che “a partire da domenica 3 maggio, circa 50.000 lavoratori della Cisgiordania saranno ammessi in Israele per lavorare nell’edilizia o nell’agricoltura. Essi riceveranno un permesso di ingresso una tantum e non potranno tornare a casa fino alla fine del Ramadan, tra circa tre settimane”.

“Il dovere di fornire loro una sistemazione adeguata spetta ancora ai loro datori di lavoro, senza alcun tipo di controllo da parte dello Stato. Se si ammalano durante questo periodo, saranno rispediti in Cisgiordania”, ha aggiunto l’organizzazione israeliana.

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna