CAMPIONI DI INFANTICIDIO
DI FULVIO GRIMALDI
Mondocane
E il Signore Jahvè disse a Giosuè di distruggere totalmente tutto ciò
che si trovava nella città, uomini e donne, giovani e anziani, e i
buoi, le pecore, gli asini, passati al filo della tua spada (Bibbia)
Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi
resterà da fare e darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una
bottiglia (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate
israeliane, “New York Times”, 14/4/1983).
Sul crimine che lo Stato psicopatico, sostenuto da una società
nazificata (85% a favore dello sterminio di Gaza), sta effettuando le
notizie, almeno in rete, si susseguono incalzanti e esaurienti.
Abbiamo visto e denunciato ancora una volta che Israele “dove coje,
coje”, basta che siano arabi e ogni superamento delle atrocità
nazifasciste, o del Ku Klux Klan, è giustificato.
Ma manca spesso la visione geopolitica e, quasi sempre, una precisa e
complessiva individuazione dei criminali, della loro storia e dei
loro sodali, camerati, opportunisti, utili idioti, cerchiobottisti e
muti.
Un amico e compagno, prestigioso accademico, mi ha rimproverato:”Non
si possono trattare allo stesso modo i vicini e i lontani,
Rifondazione e la Lega, Berlusconi e Bertinotti, Curzi e Vespa.” Non
so se ha ragione quando mi critica per “sparare a zero su tutti”.
Dico che non ci posso fare niente perché le cose stanno a mio avviso
così: non c’è quasi nessuno nell’empireo di cui questo amico cita
alcuni protagonisti che non faccia letteralmente schifo e che io
possa considerare a me “vicino”. Anzi, coloro che sarebbero i
“lontani”, non ci sono proprio. Cioè non si discutono. Lo facciano
altri. Li trascuro nelle mie intemperanze perché sono scontati.
Sappiamo tutti che sono l’arcinemico di classe. Lo manifestano e
confermano con ogni cinguettio o grugnito e in ogni tratto della
faccia e del corpo. Sparare su Berlusconi, la Lega o Vespa è come
sparare sui serpenti a sonagli. Perché devo aggiungere le mie alla
grandine di pallottole? A ognuno il suo target. Quanto ai “vicini”,
beh, non riesco a vedere un Bertinotti, un Curzi, una Rifondazione
bertinot-vendoliana se non alla lontananza che separa le scene di
Gaza dall’Isola dei famosi. Crede, il mio stimatissimo amico, che
alla classe in cui noi ci identifichiamo faccia più male il serpente
a sonagli che a distanza identifichi e di cui conosci il veleno, o la
mantide religiosa che ti seduce e poi ti divora? In altre parole, la
classe sa chi sono i nemici mortali, ma spesso, oggi perlopiù, non sa
chi sono coloro che al nemico evidente spianano la strada, mentre a
lei lisciano il pelo.
Faccio un esempio. Tale Gennaro Carotenuto, docente e giornalista di
sinistra, frequente presenza sulla rivista “Latinoamerica” di Gianni
Minà, dopo aver criminalizzato le FARC colombiane secondo i più
efficaci stereotipi di Condoleezza Rice, si avventura in Medioriente
e, sotto il titolo urlato “GAZA!”, dopo aver acconsentito a criticare
“l’impresentabile espansionismo colonialista” di Israele e definito
il sicario giornalistico di Israele alla Rai, Claudio Pagliara,
“guitto del giornalismo”, così accreditandosi a sinistra, impegna
metà della sua estrinsecazione a tirare melma addosso a Hamas,
“trogloditi razzisti e sessisti”, ai quali le forze di quello che
dovrebbe essere “il cuore del Medioriente” (Israele, nientemeno)
hanno proprio dovuto “reagire”. Reagire al “lancio pesante e forse
intollerabile” di Hamas! Razzi di latta e di cartone che non ti fanno
niente se proprio non ti prendono sul cranio. Fustigati i compagni
che rispettano l’intervento sociale di Hamas, unica salvaguardia di
quel che resta di vita nella Striscia, con l’accusa che essi
“scambiano le organizzazioni clientelar-caritatevoli di Hamas come
progressiste” (qualche dissenso con la sintassi), questa sofisticata
penna invita a “sforzarsi di capire le ragioni di Israele, dell’ebreo
di Masada”. Lo sconcio si conclude addebitando a Hamas “i peggiori
umori dei palestinesi” e, a conferma dell’approfondita conoscenza
della tematica, chiama col nome delle forze d’offesa israeliane,
Tsahal, i combattenti di Hamas Ezzedin Al Kassam E’ peggio Pagliara o
Carotenuto, il pornografo che si esibisce nella sua oscena nudità, o
il cialtrone mascherato che ti cogliona? Sono peggio i Tg, Paolo
Mieli, “la Repubblica”, “Libero”, che, leccandosi i baffi, cianciano
di “autodifesa di Israele”, o “l’Unità” che si barcamena, con il suo
lobbista ebraico Giovannangeli, tra estremisti israeliani e
“estremisti” palestinesi? E’ peggio Pagliara, o quel rettile di Zvi
Schuldiner del “manifesto”, funambolo in equilibrio tra “criminali di
Hamas” e “criminali del governo israeliano”? E’ peggio il serial
killer Olmert, o l’osceno quisling Abu Mazen, che finge di essere
capo del popolo palestinese occupato, predato e sterminato, e
concorda con i carnefici sionisti l’assalto genocida a metà di quel
suo popolo, attribuendo della macelleria la colpa a coloro che hanno
reagito, loro sì, con quattro bombe carta a un killeraggio di massa,
prima economico e poi militare? Si viene uccisi solo dai missili di
mentecatti sadici israeliani, o anche dalla negazione di farmaci,
pane, acqua, energia per le macchine salvavita, vie di fuga? Che
differenza c’è tra un missile bunkerbuster fornito dagli Usa e nel
cui cratere scompare un palazzo con dieci bambini e il blocco che fa
morire in sei mesi 250 persone cui è stata negato di curarsi
all’estero? Chi è che ha cominciato? Oggi e nel 1948? 52 palestinesi
assassinati durante 18 mesi di tregua senza un Kassam. 400 uccisi in
quattro giorni di massacri ad alta tecnologia contro tre vittime dei
razzi di Hamas, rapporto di uno a cento, uno dell’occupante razzista,
ladro e assassino, cento di chi ha tutte le ragioni più una. Il
nemico che non conosci è il più pericoloso. Una volta il mal nominato
Migliore, famiglio di Bertinotti, urlò paonazzo in assemblea di
partito: “Intifada fino alla vittoria non sarà mai uno slogan
accettabile per Rifondazione!”. Più nemico dei palestinesi di così. E
dunque anche nemico nostro.
Prima di andare avanti, sbarazziamoci una volta per tutte della
patacca “antisemita”, riflesso condizionato dell’universo vittimista
ebraico e annessi corifei, ma più strumentale del Lodo Alfano “che
garantisce la governabilità”. Di antisemita qui c’è soltanto il
secolare olocausto degli arabi, unici semiti di questo pianeta
insieme alla minoranza araba convertitasi all’ebraismo (sefarditi).
Gli stragisti e usurpatori ashkenazi sono in grandissima maggioranza
indoeuropei, discendenti di quei Kazari del Caucaso che si
convertirono e poi inondarono l’Occidente (vedi “Kazari” in Google).
Di questa vera e propria arma di distrazione-distruzione di massa che
è l’anatema “antisemita”va tagliata la mano che la brandisce. Semmai
ai fruitori dell’ “Industria dell’olocausto” (così intitola il suo
libro Norman Finkelstein, figlio di vittime dei Lager precedenti) e
ai terminator dell’antisemitismo va spiegato come, se il popolo ebreo
fosse anche semita, nessuno abbia inferto alla sua storia di
elevazione politica, culturale e scientifica, e all’etica del suo
abusivo Stato, ferite insanabili come coloro che impazzano nel sangue
altrui dietro lo schermo dell’ “antisemitismo”.
Era il 10 giugno del 1967 e per “Paese Sera” stavo raccontando la
Guerra dei sei giorni e il suo seguito. Erano quasi vent’anni da
quando poche migliaia di ebrei immigrati, attuando il piano secolare
di Hertzl, dei Rothschild e dello Judenrat (l’organismo ebreo
complice dei nazisti nelle deportazioni), si erano fatti regalare da
un’ONU, docile mandatario delle potenze imperialiste fin da allora,
il 72% della Palestina. Per la bisogna, gli emuli dei loro
persecutori avevano inventato una nuova forma di guerra contro
oppressi ed esclusi: il terrorismo. Ne fecero le spese 800mila
palestinesi espulsi su un milione – e da allora agonizzanti, ma
resistenti – e diverse centinaia di villaggi rasi al suolo, spesso
con dentro gli abitanti. Ma anche i negoziatori dell’ONU, i
diplomatici internazionali negli alberghi, i rappresentanti della
tragedia e lotta palestinese all’estero, i giornalisti troppo
occhiuti. Olocausto se mai ce ne fu uno, anche se così si chiamano
solo quelli dei vincitori. La buona riuscita dell’impresa guadagnò da
allora ai razzismi, ai fascismi e ai regimi oligarchici, sudafricani
e latinoamericani in testa, e a tutte le destre del mondo, l’ottima
carta dell’intelligence, delle forze di repressione, dei maestri di
tortura israeliani. Non per nulla Fini e Bush hanno un bungalow nel
giardino della camicia bruna Tzipi Livni.
Accompagnati i carri armati di Tsahal nella devastazione dei
territori rapinati, al termine del conflitto fui imbarcato con un
gruppo di giornalisti in una perlustrazione delle zone “liberate
giacché assegnate da Jahvé in perpueto al popolo eletto”. Scorremmo
lungo scritte su tutti i muri che definivano gli arabi “cani,
scimmie, scarafaggi”. Ai lati della strada verso Gaza stracci di
uniformi percuotevano i cadaveri in decomposizione di soldati
egiziani. “Non li restituite al loro paese, o non li seppellite, come
vorrebbe il diritto di guerra?” chiesi al capitano di Tsahal che
guidava la spedizione: Rispose con il lemma che mi era stato sbavato
addosso da mille bocche israeliane: “No, vogliamo che li vedano
tutti: l’unico arabo buono è l’arabo morto”. Così, più o meno, sta
scritto negli abbecedari delle scuole israeliane. A Rafah, in fondo
alla Striscia, l’ufficiale dell’ “esercito più etico del mondo” e in
procinto di rimpinguarsi di armi nucleari, convocò nell’aula
consigliare i vecchi governanti locali. Tra l’ilare compiacimento dei
nostri accompagnatori, sbattè questi austeri e dignitosi sconfitti
contro una parete, sprofondò nella poltrona del sindaco, schiaffò i
piedi sul tavolo e abbaiò:”Dite, bastardi, ai signori della stampa
internazionale chi è meglio, l’Egitto (c’era Nasser) o Israele, noi o
i lustrascarpe arabi” Azzardai l’invito agli anziani in jallabiah a
non rispondere. E non risposero. Ma tra me e il capitano finì in
rissa e il giorno dopo fui espulso dall’ “unico Stato democratico del
Medio Oriente”. Non meno di quanto accadde giorni fa a Richard Falk,
relatore ONU per i diritti umani. A dispetto del burattino suo
principale, Ban Ki Moon, si era permesso di definire la “democrazia”
israeliana a Gaza un genocidio, il blocco che, affamandoli, doveva
ammorbidire i palestinesi in vista della carneficina, un “crimine
contro l’umanità”, le operazioni in corso “atrocità disumane”, e
aveva sollecitato o sanzioni, o l’espulsione dello Stato ebraico
dalle Nazioni Unite. Roba che qualunque processo di Norimberga
avrebbe sancito con più facilità di quella occorsa per la condanna di
Goering, Keitl, o Hess. Gente le cui prodezze, quanto meno, sono
durate un sesto del tempo in cui Israele infierisce sulle sue
vittime. Alcuni lustri più tardi, quando Israele mi aveva finalmente
riammesso nell'”Unica democrazia mediorientale”, a Gaza vaste terre
ho visto desertificate perché la gente non avesse olive o farina, di
centinaia di case ho calpestato la polvere, abbattute a Rafah e Khan
Yunis perché la gente non avesse rifugi, il 60% della popolazione
attiva era senza lavoro, la metà viveva sotto il livello di povertà,
a pescatori palestinesi si sparava perché non ci fosse neanche pesce
sulle tavole di Gaza, i dirigenti della comunità, o democraticamente
eletti, o capi della legittima Resistenza venivano disintegrati da
missili insieme alle famiglie e ai vicini. E mentre guardavamo queste
cose, ci sparavano addosso gas tossico e pallottole di acciaio
gommato. Non è che Gaza sia successa adesso.
Appaiono sui muri qui da noi manifesti di “solidarietà” che invocano
“due Stati per due popoli”. Una formula razzista che ormai accontenta
solo gli israeliani terrorizzati dalla forza morale e demografica dei
palestinesi e la corrotta feccia di traditori di Ramallah, entrambe
consorterie che affidano il loro dominio e le loro ruberie a uno
“Stato” palestinese di scimmie addomesticate, rinchiuse in recinti
sparpagliati sul 12% di un paese che dagli inizi della storia è
palestinese. E arabo.
Il cerchiobottismo dei sinistri nel mondo, quelli che dovremmo
sentire “vicini”, pavimenta la strada per l’inferno in cui il “popolo
eletto” e i suoi sponsor Usa e UE hanno ridotto Gaza e, prima e
sempre, l’intera Palestina. Sono quelli che denunciano compunti e
addolorati gli “estremisti di entrambe le parti”. Estremista la volpe
sbranata che addenta nell’ultimo spasmo un polpaccio del segugio. E
estremista la muta di venti cavalieri e cento cani che dalla volpe “è
provocata”. Ci mette il bitume anche tutta quella gente che
verbalmente vola al cordoglio per lo strangolamento e poi per la
liquidazione dei palestinesi, invoca tregue e moderazione da tutti,
ma non evoca il parto mostruoso di uno Stato predatore, costruito su
basi antigiuridiche, antidemocratiche, militariste ed etnico-
confessionale e che, anziché accontentarsi del mal tolto e
riconosciuto, punta a escludere dalla comunità umana, perlopiù a
prezzo della vita, i disperati ma non rassegnati residui della più
colossale pulizia etnica della storia. Fanno l’effetto di uno sputo
al vento le recriminazioni dei dirittiumanisti per le “punizioni
collettive” con cui lo stato nazisionista defeca sulle convenzioni
internazionali a protezione dei civili. Sarebbero accettabili se
fossero “individuali”? E punizioni di che? Del delitto per cui un
popolo attua la Carta dell’Onu che sancisce “la lotta con tutti i
mezzi contro un’occupazione straniera”? I mortaretti lanciati da
Hamas contro i coloni che hanno eretto le loro confortevoli case
sulle macerie dei villaggi palestinesi sono legittimi. Ogni azione di
resistenza contro l’occupante è legittima. E se sono rivendicate da
Israele le stragi di bambini da zero anni in su, delle donne, insomma
dei palestinesi armati o non, ma tutti sotto occupazione, a maggior
diritto devono essere rivendicate le operazioni dei combattenti
suicidi che colpiscono occupanti militarizzati.
Per quanto ci occupiamo dei palestinesi, ci dimentichiamo del
contesto arabo di cui i palestinesi, insieme agli iracheni, sono i
primi attori. In Iraq i signori della guerra per la riconquista
coloniale hanno frantumato una nazione promuovendo, col terrore
indotto e manipolato, spaventose lotte intestine. In Libano lavorano
da anni al sabotaggio dell’unità di popolo contro aggressori e caste
di proconsoli imperiali, sostenendo, armando, foraggiando
contrapposizioni confessionali. In Sudan la creazione di fratture
etnico-confessionali e poi socioeconomiche ha demolito l’unità del
paese con la quasi secessione del Sud e il separatismo armato
dall’Occidente nel Darfur. In Palestina, concentrando i suoi attacchi
prima su Arafat, Fatah, l’Autorità Nazionale e poi, cooptata
quest’ultima nel disegno genocida ed espansionista, Israele,
confortato da un’opinione pubblica sotto ricatto da Shoah, sotto
minaccia di sacrilegio antisemita e sotto alterazione tossica da 11
settembre e “terrorismo islamico”, la divisone l’ha fatta tra “buoni”
e “cattivi”. Fuori crittografia, tra farabutti venduti e popolo
resistente (dopo quasi una settimana di orrori israeliani, a Gaza e
in Cisgiordania, Hamas ha un consenso e una militanza come mai prima:
segno anche dell’ottusità di chi, qui o in Iraq, pensa che a forza di
sofferenze e compravendite si raccatta qualcosa di più di una
screditata partita di zerbini). E’ la strategia elaborata da Israele
nei primi anni ’80 e poi pianificata sotto le ultime amministrazioni
Usa: il Nuovo Medio Oriente con il perno israelo-iraniano a
sovrastare una nazione araba triturata in segmenti confessionali e
tribali. Una strategia che cammina sui cingoli dei carri armati e
sulle ali nere della diffamazione e dell’inganno. E’ a quest’ultima
che la sinistra si è inchinata come un sol monaco tibetano,
eliminando dalla marcia razzista e imperialista l’ostacolo di una
consapevole e militante solidarietà politica e militare. Quanto
terreno ha tolto sotto ai piedi dei resistenti di Gaza la succube e
stolta sussunzione del paradigma del “terrorismo islamico”, del
Saddam “mostro sanguinario”, dei regimi arabi “moderati”, dell’Abu
Mazen ragionevole interlocutore, dei mascalzoni Oz, Jehoshua,
Grossman, grandi vindici di assalti al Libano e a Gaza, ospitati con
reverente stima per il loro “pacifismo” sul “manifesto”, dallo
scendiletto Fabio Fazio, ovunque. Quante bombe di F-16 hanno
agevolato, vuoi la sciagurata Fiera del libro di Torino dedicata allo
Stato genocida e difesa dal “manifesto” e da Bertinotti come
voltairiana libertà d’espressione, vuoi i muri dell’Apartheid
interpretati come autodifesa, la guerra ai palestinesi fatta passare
per guerra a Hamas o i partigiani iracheni calunniati come fanatici
tagliagole di Al Qaida, l’Islam visto solo sotto la specie
giulianasgreniana del velo e delle lapidazioni? Quante volte,
ripetendo il karma delle posizioni della “comunità internazionale”,
si sono legittimate le peggiori nefandezze dei potenti e degli
assassini? Altrettanti colpi di ruspa sullo scudo di verità che la
mobilitazione dei giusti nel mondo avrebbe dovuto sollevare a difesa
di Gaza.
E poi ci sono coloro che ancora guardano all’Iran come al baluardo
antimperialista e antisionista nel Medio Oriente. Per non aver
accettato questa definizione, qualcuno mi ha rimproverato la mancanza
di una visione di classe. Ma come, qui c’è un’oligarchia
feudalcapitalista, davvero oscurantista e repressiva, senza neanche
il merito della resistenza a un invasore, cui Israele ha fornito le
armi per disfare il vero nodo dell’opposizione antimperialista,
l’Iraq, i cui pagamenti hanno permesso agli Usa di scatenare i
contras contro il Nicaragua, che partecipa con gli Usa allo
squartamento dell’Iraq e alla pulizia etnica della metà sunnita, che
sostiene il regime-fantoccio in Afghanistan e, in combutta con gli
Usa, chiude a ovest il cerchio imperialista contro il Pakistan che
l’India serra a est. E a sinistra ci si precipita sereni nella
trappola di questo totale rovesciamento dei dati sociali e
geopolitici, al punto da chiudere gli occhi su un sodalizio Iran-Usa,
teso ad rifilare alle masse arabe, nauseate da Al Maliki, Mubarak,
Abu Mazen, il socio persiano quale vero e unico protagonista del
riscatto arabo e islamico. Dice, ma Hamas e Hezbollah sono sostenuti
da Tehran. Già, come lo sono i criminali del regime e delle milizie
scite irachene. Forse toccherebbe essere un po’ meno schematici e,
soprattutto meno succubi della retorica dei balconi di Teheran.
L’Iran, che con il consenso di Usa e Israele a un suo limitato ruolo
regionale, deve tenere a bada il bau-bau più grande, il risorgere
dell’elemento più temuto dallo stesso Iran e dall’imperialismo,
l’unità araba dall’Atlantico al Golfo, gioca con grande abilità su
più tavoli di quelli che il nostro schematismo possa figurarsi. Fa
parte della gara sui rapporti di forza all’interno di un disegno
condiviso, che si giochi contro a destra e a favore a sinistra. Non
so valutare l’integrità politica dei massimi dirigenti delle
organizzazioni di resistenza in Libano e in Palestina, ma penso che
siano più espressione diretta dei loro popoli che non degli
ayatollah. Conosco per esperienza diretta negli anni l’integrità
assoluta di quelle masse popolari e di quei combattenti e credo che
ci vorrà altro che degli Abu Mazen in turbante per distoglierli dal
loro obiettivo.
In tutto il mondo arabo, dalla Baghdad martoriata al Cairo sotto il
satrapo caro a Cia e Mossad, nelle capitali del mondo insanguinate da
un terrorismo detto islamico, ma che sempre più si percepisce come
opera degli stessi che trucidano a Gaza, nelle piazze non più
controllabili di emiri, sceicchi, fantocci, nelle carceri degli
11mila patrioti sequestrati di Palestina, con manifestazioni,
scioperi della fame e, dove occorre, giusta violenza di massa, si sta
con i palestinesi, si traccia sulla faccia del mondo l’orribile
profilo dei criminali di guerra, di dominio e di sfruttamento. Non
sarà l’ultimo spallata a regimi di pochi delinquenti in putrefazione
storica. Ma è una delle onde d’urto che eroi e martiri di Palestina e
della nazione araba continueranno a innescare. E che li seppellirà.
Non facciamoci cogliere in difetto di lucidità e partecipazione.
Ciò su cui mi pare ci si debba impegnare è combattere e svergognare
tutti gli equilibrismi dei finti imparziali che riempiono di
carburante i tank, gli F-16, gli Apache e coprono la feroce protervia
di governanti che si battono per il voto di un popolo mitridatizzato
contro la giustizia e i diritti umani da anni di indottrinamento
razzista e fascista, facendo le regate su questo mare di corpi
maciullati, terre devastate e rubate, focolari polverizzati, futuro
annichilito. Dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale per
rispondere al ricatto antisemita e olocaustiano con la richiesta
della liquidazione delle istituzioni di questo Stato ebraico fondato
sull’unicità ed esclusività etnico-confessionale peggio del Terzo
Reich arianeggiante, con il rifiuto della radiazione dei diritti
nazionali palestinesi sotto la formula dei due Stati per due popoli,
con l’unica rivendicazione realistica e giusta, quella dello Stato
Unico Democratico per entrambe le nazionalità. Dobbiamo respingere le
intimidazioni dell’apparato sionista offrendo ogni solidarietà a
tutti quei “terroristi” che, a partire dalla Palestina e dall’Iraq,
resistono alle armate barbare e insorgono contro i regimi di turpi
lacchè dei despoti occidentali. Dobbiamo alzare la testa e affermare
che qualsiasi operazione di Hamas e delle altre organizzazioni
palestinesi è, questa sì, la legittima reazione al furto della loro
terra, agli eccidi di sessant’anni, agli embarghi genocidi, alle
punizioni collettive, agli assassinii extragiudiziali, al sequestro e
alla tortura di decine di migliaia di cittadini, comunque innocenti,
alla spaventosa dimensione delle angherie e delle prevaricazioni,
all’infanticidio strategico. Dobbiamo contribuire alla cacciata e
all’incriminazione di neofiti del nazismo come la kapò Tzipi Livni,
il macellaio Barak, lo squadrista Netaniahu, il boia Olmert, il
rancido criminale di guerra Peres. Blateriamo ottuse falsità su un
Saddam che non si sarebbe sognato di perpetrare efferatezze come
quelle dei sunnominati e ogni menzogna sui nemici dell’imperialismo è
un bancomat per la riscossione di vite, risorse e terre da parte
delle giunte militari USraeliane. Israele, che decide degli Stati
Uniti e, dunque, di tutti noi, è uno Stato gangster, è il paese più
pericoloso del mondo. Ha 400 bombe atomiche e provocherà la fine del
mondo se non lo fermiamo. Nel nome anche dei pochi coraggiosi ebrei
che, tra le sue zanne, cercano lo strumento per l’estrazione: Ilan
Pappe, Jeff Halper, Uri Avnery, “Ebrei contro l’occupazione”, per
citarne solo alcuni. Israele fuori dall’ONU, Israele boicottato in
tutte le sue attività politiche, economiche, culturali. Ne va dei
palestinesi, degli arabi, delle classi e dei popoli oppressi sui
quali si abbattono i frutti del laboratorio sionista, e di molto di più.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2009/01/il-quarto-reich-da–
abramo-erode-da.html
01.01.2009