‘Campioni di infanticidio’.

CAMPIONI DI INFANTICIDIO

DI FULVIO GRIMALDI

Mondocane

E il Signore Jahvè disse a Giosuè di distruggere totalmente tutto ciò 
che si trovava nella città, uomini e donne, giovani e anziani, e i 
buoi, le pecore, gli asini, passati al filo della tua spada (Bibbia)

Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi 
resterà da fare e darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una 
bottiglia (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate 
israeliane, “New York Times”, 14/4/1983).

Sul crimine che lo Stato psicopatico, sostenuto da una società 
nazificata (85% a favore dello sterminio di Gaza), sta effettuando le 
notizie, almeno in rete, si susseguono incalzanti e esaurienti. 
Abbiamo visto e denunciato ancora una volta che Israele “dove coje, 
coje”, basta che siano arabi e ogni superamento delle atrocità 
nazifasciste, o del Ku Klux Klan, è giustificato.

Ma manca spesso la visione geopolitica e, quasi sempre, una precisa e 
complessiva individuazione dei criminali, della loro storia e dei 
loro sodali, camerati, opportunisti, utili idioti, cerchiobottisti e 
muti.

 


Un amico e compagno, prestigioso accademico, mi ha rimproverato:”Non

si possono trattare allo stesso modo i vicini e i lontani, 
Rifondazione e la Lega, Berlusconi e Bertinotti, Curzi e Vespa.” Non 
so se ha ragione quando mi critica per “sparare a zero su tutti”. 
Dico che non ci posso fare niente perché le cose stanno a mio avviso 
così: non c’è quasi nessuno nell’empireo di cui questo amico cita 
alcuni protagonisti che non faccia letteralmente schifo e che io 
possa considerare a me “vicino”. Anzi, coloro che sarebbero i 
“lontani”, non ci sono proprio. Cioè non si discutono. Lo facciano 
altri. Li trascuro nelle mie intemperanze perché sono scontati. 
Sappiamo tutti che sono l’arcinemico di classe. Lo manifestano e 
confermano con ogni cinguettio o grugnito e in ogni tratto della 
faccia e del corpo. Sparare su Berlusconi, la Lega o Vespa è come 
sparare sui serpenti a sonagli. Perché devo aggiungere le mie alla 
grandine di pallottole? A ognuno il suo target. Quanto ai “vicini”, 
beh, non riesco a vedere un Bertinotti, un Curzi, una Rifondazione 
bertinot-vendoliana se non alla lontananza che separa le scene di 
Gaza dall’Isola dei famosi. Crede, il mio stimatissimo amico, che 
alla classe in cui noi ci identifichiamo faccia più male il serpente 
a sonagli che a distanza identifichi e di cui conosci il veleno, o la 
mantide religiosa che ti seduce e poi ti divora? In altre parole, la 
classe sa chi sono i nemici mortali, ma spesso, oggi perlopiù, non sa 
chi sono coloro che al nemico evidente spianano la strada, mentre a 
lei lisciano il pelo.

Faccio un esempio. Tale Gennaro Carotenuto, docente e giornalista di 
sinistra, frequente presenza sulla rivista “Latinoamerica” di Gianni 
Minà, dopo aver criminalizzato le FARC colombiane secondo i più 
efficaci stereotipi di Condoleezza Rice, si avventura in Medioriente 
e, sotto il titolo urlato “GAZA!”, dopo aver acconsentito a criticare 
“l’impresentabile espansionismo colonialista” di Israele e definito 
il sicario giornalistico di Israele alla Rai, Claudio Pagliara, 
“guitto del giornalismo”, così accreditandosi a sinistra, impegna 
metà della sua estrinsecazione a tirare melma addosso a Hamas, 
“trogloditi razzisti e sessisti”, ai quali le forze di quello che 
dovrebbe essere “il cuore del Medioriente” (Israele, nientemeno) 
hanno proprio dovuto “reagire”. Reagire al “lancio pesante e forse 
intollerabile” di Hamas! Razzi di latta e di cartone che non ti fanno 
niente se proprio non ti prendono sul cranio. Fustigati i compagni 
che rispettano l’intervento sociale di Hamas, unica salvaguardia di 
quel che resta di vita nella Striscia, con l’accusa che essi 
“scambiano le organizzazioni clientelar-caritatevoli di Hamas come 
progressiste” (qualche dissenso con la sintassi), questa sofisticata 
penna invita a “sforzarsi di capire le ragioni di Israele, dell’ebreo 
di Masada”. Lo sconcio si conclude addebitando a Hamas “i peggiori 
umori dei palestinesi” e, a conferma dell’approfondita conoscenza 
della tematica, chiama col nome delle forze d’offesa israeliane, 
Tsahal, i combattenti di Hamas Ezzedin Al Kassam E’ peggio Pagliara o 
Carotenuto, il pornografo che si esibisce nella sua oscena nudità, o 
il cialtrone mascherato che ti cogliona? Sono peggio i Tg, Paolo 
Mieli, “la Repubblica”, “Libero”, che, leccandosi i baffi, cianciano 
di “autodifesa di Israele”, o “l’Unità” che si barcamena, con il suo 
lobbista ebraico Giovannangeli, tra estremisti israeliani e 
“estremisti” palestinesi? E’ peggio Pagliara, o quel rettile di Zvi 
Schuldiner del “manifesto”, funambolo in equilibrio tra “criminali di 
Hamas” e “criminali del governo israeliano”? E’ peggio il serial 
killer Olmert, o l’osceno quisling Abu Mazen, che finge di essere 
capo del popolo palestinese occupato, predato e sterminato, e 
concorda con i carnefici sionisti l’assalto genocida a metà di quel 
suo popolo, attribuendo della macelleria la colpa a coloro che hanno 
reagito, loro sì, con quattro bombe carta a un killeraggio di massa, 
prima economico e poi militare? Si viene uccisi solo dai missili di 
mentecatti sadici israeliani, o anche dalla negazione di farmaci, 
pane, acqua, energia per le macchine salvavita, vie di fuga? Che 
differenza c’è tra un missile bunkerbuster fornito dagli Usa e nel 
cui cratere scompare un palazzo con dieci bambini e il blocco che fa 
morire in sei mesi 250 persone cui è stata negato di curarsi 
all’estero? Chi è che ha cominciato? Oggi e nel 1948? 52 palestinesi 
assassinati durante 18 mesi di tregua senza un Kassam. 400 uccisi in 
quattro giorni di massacri ad alta tecnologia contro tre vittime dei 
razzi di Hamas, rapporto di uno a cento, uno dell’occupante razzista, 
ladro e assassino, cento di chi ha tutte le ragioni più una. Il 
nemico che non conosci è il più pericoloso. Una volta il mal nominato 
Migliore, famiglio di Bertinotti, urlò paonazzo in assemblea di 
partito: “Intifada fino alla vittoria non sarà mai uno slogan 
accettabile per Rifondazione!”. Più nemico dei palestinesi di così. E 
dunque anche nemico nostro.

Prima di andare avanti, sbarazziamoci una volta per tutte della 
patacca “antisemita”, riflesso condizionato dell’universo vittimista 
ebraico e annessi corifei, ma più strumentale del Lodo Alfano “che 
garantisce la governabilità”. Di antisemita qui c’è soltanto il 
secolare olocausto degli arabi, unici semiti di questo pianeta 
insieme alla minoranza araba convertitasi all’ebraismo (sefarditi). 
Gli stragisti e usurpatori ashkenazi sono in grandissima maggioranza 
indoeuropei, discendenti di quei Kazari del Caucaso che si 
convertirono e poi inondarono l’Occidente (vedi “Kazari” in Google). 
Di questa vera e propria arma di distrazione-distruzione di massa che 
è l’anatema “antisemita”va tagliata la mano che la brandisce. Semmai 
ai fruitori dell’ “Industria dell’olocausto” (così intitola il suo 
libro Norman Finkelstein, figlio di vittime dei Lager precedenti) e 
ai terminator dell’antisemitismo va spiegato come, se il popolo ebreo 
fosse anche semita, nessuno abbia inferto alla sua storia di 
elevazione politica, culturale e scientifica, e all’etica del suo 
abusivo Stato, ferite insanabili come coloro che impazzano nel sangue 
altrui dietro lo schermo dell’ “antisemitismo”.

Era il 10 giugno del 1967 e per “Paese Sera” stavo raccontando la 
Guerra dei sei giorni e il suo seguito. Erano quasi vent’anni da 
quando poche migliaia di ebrei immigrati, attuando il piano secolare 
di Hertzl, dei Rothschild e dello Judenrat (l’organismo ebreo 
complice dei nazisti nelle deportazioni), si erano fatti regalare da 
un’ONU, docile mandatario delle potenze imperialiste fin da allora, 
il 72% della Palestina. Per la bisogna, gli emuli dei loro 
persecutori avevano inventato una nuova forma di guerra contro 
oppressi ed esclusi: il terrorismo. Ne fecero le spese 800mila 
palestinesi espulsi su un milione – e da allora agonizzanti, ma 
resistenti – e diverse centinaia di villaggi rasi al suolo, spesso 
con dentro gli abitanti. Ma anche i negoziatori dell’ONU, i 
diplomatici internazionali negli alberghi, i rappresentanti della 
tragedia e lotta palestinese all’estero, i giornalisti troppo 
occhiuti. Olocausto se mai ce ne fu uno, anche se così si chiamano 
solo quelli dei vincitori. La buona riuscita dell’impresa guadagnò da 
allora ai razzismi, ai fascismi e ai regimi oligarchici, sudafricani 
e latinoamericani in testa, e a tutte le destre del mondo, l’ottima 
carta dell’intelligence, delle forze di repressione, dei maestri di 
tortura israeliani. Non per nulla Fini e Bush hanno un bungalow nel 
giardino della camicia bruna Tzipi Livni.

Accompagnati i carri armati di Tsahal nella devastazione dei 
territori rapinati, al termine del conflitto fui imbarcato con un 
gruppo di giornalisti in una perlustrazione delle zone “liberate 
giacché assegnate da Jahvé in perpueto al popolo eletto”. Scorremmo 
lungo scritte su tutti i muri che definivano gli arabi “cani, 
scimmie, scarafaggi”. Ai lati della strada verso Gaza stracci di 
uniformi percuotevano i cadaveri in decomposizione di soldati 
egiziani. “Non li restituite al loro paese, o non li seppellite, come 
vorrebbe il diritto di guerra?” chiesi al capitano di Tsahal che 
guidava la spedizione: Rispose con il lemma che mi era stato sbavato 
addosso da mille bocche israeliane: “No, vogliamo che li vedano 
tutti: l’unico arabo buono è l’arabo morto”. Così, più o meno, sta 
scritto negli abbecedari delle scuole israeliane. A Rafah, in fondo 
alla Striscia, l’ufficiale dell’ “esercito più etico del mondo” e in 
procinto di rimpinguarsi di armi nucleari, convocò nell’aula 
consigliare i vecchi governanti locali. Tra l’ilare compiacimento dei 
nostri accompagnatori, sbattè questi austeri e dignitosi sconfitti 
contro una parete, sprofondò nella poltrona del sindaco, schiaffò i 
piedi sul tavolo e abbaiò:”Dite, bastardi, ai signori della stampa 
internazionale chi è meglio, l’Egitto (c’era Nasser) o Israele, noi o 
i lustrascarpe arabi” Azzardai l’invito agli anziani in jallabiah a 
non rispondere. E non risposero. Ma tra me e il capitano finì in 
rissa e il giorno dopo fui espulso dall’ “unico Stato democratico del 
Medio Oriente”. Non meno di quanto accadde giorni fa a Richard Falk, 
relatore ONU per i diritti umani. A dispetto del burattino suo 
principale, Ban Ki Moon, si era permesso di definire la “democrazia” 
israeliana a Gaza un genocidio, il blocco che, affamandoli, doveva 
ammorbidire i palestinesi in vista della carneficina, un “crimine 
contro l’umanità”, le operazioni in corso “atrocità disumane”, e 
aveva sollecitato o sanzioni, o l’espulsione dello Stato ebraico 
dalle Nazioni Unite. Roba che qualunque processo di Norimberga 
avrebbe sancito con più facilità di quella occorsa per la condanna di 
Goering, Keitl, o Hess. Gente le cui prodezze, quanto meno, sono 
durate un sesto del tempo in cui Israele infierisce sulle sue 
vittime. Alcuni lustri più tardi, quando Israele mi aveva finalmente 
riammesso nell'”Unica democrazia mediorientale”, a Gaza vaste terre 
ho visto desertificate perché la gente non avesse olive o farina, di 
centinaia di case ho calpestato la polvere, abbattute a Rafah e Khan 
Yunis perché la gente non avesse rifugi, il 60% della popolazione 
attiva era senza lavoro, la metà viveva sotto il livello di povertà, 
a pescatori palestinesi si sparava perché non ci fosse neanche pesce 
sulle tavole di Gaza, i dirigenti della comunità, o democraticamente 
eletti, o capi della legittima Resistenza venivano disintegrati da 
missili insieme alle famiglie e ai vicini. E mentre guardavamo queste 
cose, ci sparavano addosso gas tossico e pallottole di acciaio 
gommato. Non è che Gaza sia successa adesso.

Appaiono sui muri qui da noi manifesti di “solidarietà” che invocano 
“due Stati per due popoli”. Una formula razzista che ormai accontenta 
solo gli israeliani terrorizzati dalla forza morale e demografica dei 
palestinesi e la corrotta feccia di traditori di Ramallah, entrambe 
consorterie che affidano il loro dominio e le loro ruberie a uno 
“Stato” palestinese di scimmie addomesticate, rinchiuse in recinti 
sparpagliati sul 12% di un paese che dagli inizi della storia è 
palestinese. E arabo.

Il cerchiobottismo dei sinistri nel mondo, quelli che dovremmo 
sentire “vicini”, pavimenta la strada per l’inferno in cui il “popolo 
eletto” e i suoi sponsor Usa e UE hanno ridotto Gaza e, prima e 
sempre, l’intera Palestina. Sono quelli che denunciano compunti e 
addolorati gli “estremisti di entrambe le parti”. Estremista la volpe 
sbranata che addenta nell’ultimo spasmo un polpaccio del segugio. E 
estremista la muta di venti cavalieri e cento cani che dalla volpe “è 
provocata”. Ci mette il bitume anche tutta quella gente che 
verbalmente vola al cordoglio per lo strangolamento e poi per la 
liquidazione dei palestinesi, invoca tregue e moderazione da tutti, 
ma non evoca il parto mostruoso di uno Stato predatore, costruito su 
basi antigiuridiche, antidemocratiche, militariste ed etnico-
confessionale e che, anziché accontentarsi del mal tolto e 
riconosciuto, punta a escludere dalla comunità umana, perlopiù a 
prezzo della vita, i disperati ma non rassegnati residui della più 
colossale pulizia etnica della storia. Fanno l’effetto di uno sputo 
al vento le recriminazioni dei dirittiumanisti per le “punizioni 
collettive” con cui lo stato nazisionista defeca sulle convenzioni 
internazionali a protezione dei civili. Sarebbero accettabili se 
fossero “individuali”? E punizioni di che? Del delitto per cui un 
popolo attua la Carta dell’Onu che sancisce “la lotta con tutti i 
mezzi contro un’occupazione straniera”? I mortaretti lanciati da 
Hamas contro i coloni che hanno eretto le loro confortevoli case 
sulle macerie dei villaggi palestinesi sono legittimi. Ogni azione di 
resistenza contro l’occupante è legittima. E se sono rivendicate da 
Israele le stragi di bambini da zero anni in su, delle donne, insomma 
dei palestinesi armati o non, ma tutti sotto occupazione, a maggior 
diritto devono essere rivendicate le operazioni dei combattenti 
suicidi che colpiscono occupanti militarizzati.

Per quanto ci occupiamo dei palestinesi, ci dimentichiamo del 
contesto arabo di cui i palestinesi, insieme agli iracheni, sono i 
primi attori. In Iraq i signori della guerra per la riconquista 
coloniale hanno frantumato una nazione promuovendo, col terrore 
indotto e manipolato, spaventose lotte intestine. In Libano lavorano 
da anni al sabotaggio dell’unità di popolo contro aggressori e caste 
di proconsoli imperiali, sostenendo, armando, foraggiando 
contrapposizioni confessionali. In Sudan la creazione di fratture 
etnico-confessionali e poi socioeconomiche ha demolito l’unità del 
paese con la quasi secessione del Sud e il separatismo armato 
dall’Occidente nel Darfur. In Palestina, concentrando i suoi attacchi 
prima su Arafat, Fatah, l’Autorità Nazionale e poi, cooptata 
quest’ultima nel disegno genocida ed espansionista, Israele, 
confortato da un’opinione pubblica sotto ricatto da Shoah, sotto 
minaccia di sacrilegio antisemita e sotto alterazione tossica da 11 
settembre e “terrorismo islamico”, la divisone l’ha fatta tra “buoni” 
e “cattivi”. Fuori crittografia, tra farabutti venduti e popolo 
resistente (dopo quasi una settimana di orrori israeliani, a Gaza e 
in Cisgiordania, Hamas ha un consenso e una militanza come mai prima: 
segno anche dell’ottusità di chi, qui o in Iraq, pensa che a forza di 
sofferenze e compravendite si raccatta qualcosa di più di una 
screditata partita di zerbini). E’ la strategia elaborata da Israele 
nei primi anni ’80 e poi pianificata sotto le ultime amministrazioni 
Usa: il Nuovo Medio Oriente con il perno israelo-iraniano a 
sovrastare una nazione araba triturata in segmenti confessionali e 
tribali. Una strategia che cammina sui cingoli dei carri armati e 
sulle ali nere della diffamazione e dell’inganno. E’ a quest’ultima 
che la sinistra si è inchinata come un sol monaco tibetano, 
eliminando dalla marcia razzista e imperialista l’ostacolo di una 
consapevole e militante solidarietà politica e militare. Quanto 
terreno ha tolto sotto ai piedi dei resistenti di Gaza la succube e 
stolta sussunzione del paradigma del “terrorismo islamico”, del 
Saddam “mostro sanguinario”, dei regimi arabi “moderati”, dell’Abu 
Mazen ragionevole interlocutore, dei mascalzoni Oz, Jehoshua, 
Grossman, grandi vindici di assalti al Libano e a Gaza, ospitati con 
reverente stima per il loro “pacifismo” sul “manifesto”, dallo 
scendiletto Fabio Fazio, ovunque. Quante bombe di F-16 hanno 
agevolato, vuoi la sciagurata Fiera del libro di Torino dedicata allo 
Stato genocida e difesa dal “manifesto” e da Bertinotti come 
voltairiana libertà d’espressione, vuoi i muri dell’Apartheid 
interpretati come autodifesa, la guerra ai palestinesi fatta passare 
per guerra a Hamas o i partigiani iracheni calunniati come fanatici 
tagliagole di Al Qaida, l’Islam visto solo sotto la specie 
giulianasgreniana del velo e delle lapidazioni? Quante volte, 
ripetendo il karma delle posizioni della “comunità internazionale”, 
si sono legittimate le peggiori nefandezze dei potenti e degli 
assassini? Altrettanti colpi di ruspa sullo scudo di verità che la 
mobilitazione dei giusti nel mondo avrebbe dovuto sollevare a difesa 
di Gaza.

E poi ci sono coloro che ancora guardano all’Iran come al baluardo 
antimperialista e antisionista nel Medio Oriente. Per non aver 
accettato questa definizione, qualcuno mi ha rimproverato la mancanza 
di una visione di classe. Ma come, qui c’è un’oligarchia 
feudalcapitalista, davvero oscurantista e repressiva, senza neanche 
il merito della resistenza a un invasore, cui Israele ha fornito le 
armi per disfare il vero nodo dell’opposizione antimperialista, 
l’Iraq, i cui pagamenti hanno permesso agli Usa di scatenare i 
contras contro il Nicaragua, che partecipa con gli Usa allo 
squartamento dell’Iraq e alla pulizia etnica della metà sunnita, che 
sostiene il regime-fantoccio in Afghanistan e, in combutta con gli 
Usa, chiude a ovest il cerchio imperialista contro il Pakistan che 
l’India serra a est. E a sinistra ci si precipita sereni nella 
trappola di questo totale rovesciamento dei dati sociali e 
geopolitici, al punto da chiudere gli occhi su un sodalizio Iran-Usa, 
teso ad rifilare alle masse arabe, nauseate da Al Maliki, Mubarak, 
Abu Mazen, il socio persiano quale vero e unico protagonista del 
riscatto arabo e islamico. Dice, ma Hamas e Hezbollah sono sostenuti 
da Tehran. Già, come lo sono i criminali del regime e delle milizie 
scite irachene. Forse toccherebbe essere un po’ meno schematici e, 
soprattutto meno succubi della retorica dei balconi di Teheran. 
L’Iran, che con il consenso di Usa e Israele a un suo limitato ruolo 
regionale, deve tenere a bada il bau-bau più grande, il risorgere 
dell’elemento più temuto dallo stesso Iran e dall’imperialismo, 
l’unità araba dall’Atlantico al Golfo, gioca con grande abilità su 
più tavoli di quelli che il nostro schematismo possa figurarsi. Fa 
parte della gara sui rapporti di forza all’interno di un disegno 
condiviso, che si giochi contro a destra e a favore a sinistra. Non 
so valutare l’integrità politica dei massimi dirigenti delle 
organizzazioni di resistenza in Libano e in Palestina, ma penso che 
siano più espressione diretta dei loro popoli che non degli 
ayatollah. Conosco per esperienza diretta negli anni l’integrità 
assoluta di quelle masse popolari e di quei combattenti e credo che 
ci vorrà altro che degli Abu Mazen in turbante per distoglierli dal 
loro obiettivo.

In tutto il mondo arabo, dalla Baghdad martoriata al Cairo sotto il 
satrapo caro a Cia e Mossad, nelle capitali del mondo insanguinate da 
un terrorismo detto islamico, ma che sempre più si percepisce come 
opera degli stessi che trucidano a Gaza, nelle piazze non più 
controllabili di emiri, sceicchi, fantocci, nelle carceri degli 
11mila patrioti sequestrati di Palestina, con manifestazioni, 
scioperi della fame e, dove occorre, giusta violenza di massa, si sta 
con i palestinesi, si traccia sulla faccia del mondo l’orribile 
profilo dei criminali di guerra, di dominio e di sfruttamento. Non 
sarà l’ultimo spallata a regimi di pochi delinquenti in putrefazione 
storica. Ma è una delle onde d’urto che eroi e martiri di Palestina e 
della nazione araba continueranno a innescare. E che li seppellirà. 
Non facciamoci cogliere in difetto di lucidità e partecipazione.

Ciò su cui mi pare ci si debba impegnare è combattere e svergognare 
tutti gli equilibrismi dei finti imparziali che riempiono di 
carburante i tank, gli F-16, gli Apache e coprono la feroce protervia 
di governanti che si battono per il voto di un popolo mitridatizzato 
contro la giustizia e i diritti umani da anni di indottrinamento 
razzista e fascista, facendo le regate su questo mare di corpi 
maciullati, terre devastate e rubate, focolari polverizzati, futuro 
annichilito. Dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale per 
rispondere al ricatto antisemita e olocaustiano con la richiesta 
della liquidazione delle istituzioni di questo Stato ebraico fondato 
sull’unicità ed esclusività etnico-confessionale peggio del Terzo 
Reich arianeggiante, con il rifiuto della radiazione dei diritti 
nazionali palestinesi sotto la formula dei due Stati per due popoli, 
con l’unica rivendicazione realistica e giusta, quella dello Stato 
Unico Democratico per entrambe le nazionalità. Dobbiamo respingere le 
intimidazioni dell’apparato sionista offrendo ogni solidarietà a 
tutti quei “terroristi” che, a partire dalla Palestina e dall’Iraq, 
resistono alle armate barbare e insorgono contro i regimi di turpi 
lacchè dei despoti occidentali. Dobbiamo alzare la testa e affermare 
che qualsiasi operazione di Hamas e delle altre organizzazioni 
palestinesi è, questa sì, la legittima reazione al furto della loro 
terra, agli eccidi di sessant’anni, agli embarghi genocidi, alle 
punizioni collettive, agli assassinii extragiudiziali, al sequestro e 
alla tortura di decine di migliaia di cittadini, comunque innocenti, 
alla spaventosa dimensione delle angherie e delle prevaricazioni, 
all’infanticidio strategico. Dobbiamo contribuire alla cacciata e 
all’incriminazione di neofiti del nazismo come la kapò Tzipi Livni, 
il macellaio Barak, lo squadrista Netaniahu, il boia Olmert, il 
rancido criminale di guerra Peres. Blateriamo ottuse falsità su un 
Saddam che non si sarebbe sognato di perpetrare efferatezze come 
quelle dei sunnominati e ogni menzogna sui nemici dell’imperialismo è 
un bancomat per la riscossione di vite, risorse e terre da parte 
delle giunte militari USraeliane. Israele, che decide degli Stati 
Uniti e, dunque, di tutti noi, è uno Stato gangster, è il paese più 
pericoloso del mondo. Ha 400 bombe atomiche e provocherà la fine del 
mondo se non lo fermiamo. Nel nome anche dei pochi coraggiosi ebrei 
che, tra le sue zanne, cercano lo strumento per l’estrazione: Ilan 
Pappe, Jeff Halper, Uri Avnery, “Ebrei contro l’occupazione”, per 
citarne solo alcuni. Israele fuori dall’ONU, Israele boicottato in 
tutte le sue attività politiche, economiche, culturali. Ne va dei 
palestinesi, degli arabi, delle classi e dei popoli oppressi sui 
quali si abbattono i frutti del laboratorio sionista, e di molto di più.

Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2009/01/il-quarto-reich-da
abramo-erode-da.html
01.01.2009

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