Come posso non andare? Un’ebrea americana diretta a Gaza

di Jane Hirschmann*

Spesso, la gente mi domanda perché io faccia parte della squadra di organizzatori di una nave statunitense, che questo mese salperà per Gaza con la prossima Flotilla internazionale, per rompere l'assedio su Gaza. Spesso pongono l'enfasi nel farmi questa domanda solo perché sono un'ebrea americana, la cui famiglia è sopravvissuta all'Olocausto e con alcuni dei suoi membri in Israele.

E la mia unica risposta è: come posso non andare?

I miei genitori mi hanno cresciuta raccontandomi storie su quello che è successo in Germania e sulla fuga della loro famiglia. So che Israele rappresenterebbe per loro un rifugio sicuro, in caso dovesse esserci un altro tentativo di annientare gli ebrei. Eppure, al tempo stesso, sono preoccupati del fatto che non sia un rifugio così sicuro, date le minacce fisiche e le violenze che hanno luogo nella zona.

Tuttavia, nessuno mi ha mai riferito della fuga di 750mila arabi, avvenuta a causa della creazione dello Stato di Israele. Solo vagamente, ho saputo che c'erano persone che vivevano lì, ma non ho mai avuto la curiosità di sapere chi fossero questi “altri”. Tutto quello che ricordo, della storia della mia famiglia e delle atrocità subite, è che cose simili non dovrebbero mai più accadere a nessuno, in nessun luogo.

Cresciuta negli anni '60, sono diventata un'attivista contro la guerra in Vietnam, contro l'Apartheid e per il movimento dei diritti delle donne. Più tardi, mi sono interessata all'opposizione contro le guerre in Afghanistan e in 'Iraq.  In qualità di assistente sociale, mi sono concentrata su questioni di giustizia sociale, ma non ho mai messo in discussione il rapporto tra Stati Uniti e Israele o le loro politiche nei confronti dei palestinesi.

Poi, sopraggiunse la guerra a Gaza, che ha rappresentato un reale risveglio politico per me. L'Operazione “Piombo Fuso” e il rapporto Goldstone hanno fatto da catalizzatori.

Nel novembre 2008, il cessate il fuoco decadde: i soldati israeliani effettuarono un raid sul confine, uccidendo sei membri di Hamas e, in risposta, furono lanciati razzi verso Israele. Equipaggiato con armi americane, Israele attaccò la popolazione di Gaza. Circa 1.400 palestinesi, per la maggior parte civili, furono uccisi, contro i 13 israeliani. Gaza fu polverizzata.

Il giudice Richard Goldstone e il suo team allora redassero una relazione accurata sull'identità delle vittime. Non c'era dubbio che la popolazione di Gaza fosse stata colpita in maniera sproporzionata.

Subito dopo l'invasione di Gaza, mi sono resa conto che non potevo più restare in silenzio. Sono diventata una degli organizzatori di un gruppo chiamato Jews Say No! a New York City. Abbiamo voluto comunicare e chiarire che il governo israeliano non ha mai parlato in nostro nome, come ha invece sostenuto. Ho cominciato ad informarmi sull'occupazione, sugli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, sulla costruzione del muro di separazione, di strade per soli ebrei e coloni israeliani, sui documenti di identità speciali per i cittadini palestinesi di Israele (a un passo dal portare una stella gialla) e sulle altre umiliazioni patite quotidianamente dal popolo palestinese. E ho visto la collusione totale da parte del governo degli Stati Uniti – il suo sostegno incondizionato, indipendente dalle azioni del governo israeliano, dimostrato anche con la donazione di 30miliardi di dollari nell'arco di 10 anni per il rifornimento di armi (F16, elicotteri Apache, fosforo bianco, bulldozer Caterpillar per distruggere le case degli accampamenti beduini), utilizzate senza pietà contro i palestinesi. Tutto ciò era intollerabile per me.

Posso capire le paure e le frustrazioni degli israeliani, contro cui vengono sparati razzi, e i conseguenti morti e feriti. Cosa dire allora delle migliaia di palestinesi uccisi e le cui case, scuole, ospedali, fattorie, mulini, fabbriche e le infrastrutture sono state distrutti? Che dire di un popolo che vive sotto una brutale occupazione, a cui viene negato il diritto di vivere con dignità nella loro stessa patria?

L'assedio e il blocco di Gaza continueranno. Il governo israeliano controlla mare, terra e aria di questa piccola area (di 25 miglia di lunghezza e circa sei miglia di larghezza), in cui vivono 1,6milioni di persone. Non c'è stato alcun movimento negli ultimi anni, senza che Israele l'abbia permesso. L'apertura parziale del valico egiziano di Rafah al traffico umano, anche se non al commercio, è un segno positivo.

La maggior parte delle persone non può viaggiare dentro o fuori da Gaza, a causa delle continue restrizioni; il 61% della popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare; il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 45%, uno dei più alti al mondo, e le esportazioni rimangono vietate, ad eccezione di prodotti limitati come fragole e garofani, destinati ai mercati europei. Gaza è stata definita una prigione a cielo aperto, anche dal primo ministro inglese, David Cameron.

Dato tutto questo, non posso più rimanere in silenzio. Ogni giorno, i palestinesi affrontano il governo israeliano lungo il Muro d'Apartheid, ai checkpoint, nei siti di demolizione. Essi rischiano la vita. Come la Freedom Rides, la nostra nave, che salperà per richiamare l'attenzione sull'occupazione illegale e l'assedio di Gaza.

La mia umanità e la mia ebraicità – la storia ebraica – mi chiedono di presendere parte all'organizzazione di un tentativo per porre fine al trattamento disumano dei palestinesi. La nave statunitense, “The Audacity of Hope”, salperà per Gaza alla fine di giugno, come parte di “Freedom Flotilla 2-Stay Human”. Saremo circa 50 persone, provenienti da tutti gli Stati Uniti, impegnate nella non-violenza, per i diritti umani, per la libertà e la giustizia per il popolo palestinese.

Fino ad oggi, decine di migliaia di persone e oltre 80 organizzazioni hanno approvato questa campagna statunitense e ogni giorno molte persone scrivono di voler salpare insieme a noi. Noi viaggeremo in pace, per la giustizia, e sono orgogliosa di far parte di questo sforzo internazionale.

*Jane Hirschmann è un membro di Jews Say No! ed è una tra gli organizzatori della nave statunitense diretta a Gaza. Hirschmann un'attivista contro la guerra, negli ultimi quattro decenni. È psicoterapeuta e co-autrice di tre libri. Maggiori informazioni su “Audacity of Hope” sono disponibili sul sito: www.ustogaza.org

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