Compagnie israeliane vendono tecnologie di spionaggio perfezionate nell’occupazione della Palestina

Imemc. Greg Wilpert di The Real News parla con Antony Loewenstein, autore di un articolo intitolato “Exporting the Technology of Occupation”. Egli ci espone il collegamento che lega le compagnie digitali dell’offensiva israeliana alla sorveglianza di massa al servizio dei governi autoritari di tutto il mondo.

Un piccolo numero di compagnie israeliane sta giocando un ruolo crescente nella persecuzione degli attivisti per i diritti umani in Messico, nell’assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi a Istanbul, nel tentativo di Harvey Weinstein di mettere a tacere le donne che si lamentavano di avere da lui subito molestie sessuali, e in generale nell’aiutare i governi autoritari di tutto il mondo a mantenere il loro potere. Ora, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato l’anno scorso del ruolo di Israele nel mercato globale della sicurezza informatica.

BENJAMIN NETANYAHU: Israele investe oggi circa il 20 percento dell’investimento globale privato nella sicurezza informatica. Questo è un dato significativo considerato che rappresentiamo l’1% della popolazione mondiale. Ciò significa che stiamo dando un pugno circa 200 volte superiore al nostro peso. Le vendite effettive salgono costantemente. Aumenteranno sempre per gli investimenti privati in aumento in Israele, per ovvia necessità e per il fatto che Israele è diventato un punto focale. Il mio obiettivo, 8 anni fa, era fare in modo che Israele divenisse una delle cinque principali potenze informatiche al mondo. Penso che l’abbiamo raggiunto. Penso che in realtà siamo forse anche più in alto in quella lista.

GREG WILPERT: un nuovo articolo pubblicato su The New York Review of Books parla del crescente settore della cibersicurezza in Israele, e di come questa tecnologia viene venduta a paesi e a loschi personaggi in tutto il mondo. L’articolo è stato scritto da Antony Loewenstein e si intitola Exporting the Technology of Occupation. Quindi, per quale ragione gran parte della tecnologia della sicurezza informatica viene da Israele, e come influisce sulle nostre vite?

Per discutere queste domande ci uniamo Antony Loewenstein, l’autore dell’articolo. Antony è un giornalista indipendente e autore del libro Disaster Capitalism: Making a Killing Out of Catastrophe. Grazie per esserti unito a noi, Antony.

ANTONY LOEWENSTEIN: Grazie.

GREG WILPERT: A proposito di occupazione, in che modo l’occupazione del territorio e delle popolazioni palestinesi è considerabile come un vantaggio commerciale per queste società israeliane di sicurezza informatica?

ANTONY LOEWENSTEIN: In 50 anni, da quando Israele ha iniziato ad occupare la Cisgiordania e Gaza, Israele ha perfezionato l’idea di mantenere e controllare una popolazione che non gradisce, i palestinesi. Così negli ultimi 20 anni, con vari metodi – sensori, droni, muri, barriere ecc. – varie compagnie israeliane e il governo israeliano hanno trovato il modo di gestire una popolazione indesiderata.

Ciò che è stato fatto, soprattutto da quando Netanyahu è diventato primo ministro, 10 anni fa, è essenzialmente aver venduto la loro tecnologia e i loro metodi al mondo. E il modo in cui lo fanno è utilizzando il termine “battaglia testata”. Quindi, armi come i droni vengono per esempio testati a Gaza. Ci sono state tre guerre importanti a Gaza negli ultimi 10 anni. Le aziende che vendono questa attrezzatura e questa tecnologia dicono che esse sono state letteralmente testate in battaglia.

L’area della cybersecurity è un’area che si è particolarmente estesa negli ultimi cinque anni. Abbiamo molti israeliani, generali stranieri, analisti della sicurezza che lavoravano in alcune delle più segrete aree di cybersecurity israeliane che hanno portato la tecnologia dell’informazione al settore privato, mantenendo legami ancora molto molto stretti con lo stato israeliano.

Ad esempio, in tema di monitoraggio e sorveglianza c’è la possibilità di monitorare gli smartphone, siano essi iPhone o Android, senza che sia possibile rendersene conto. Ci sono innumerevoli esempi: lei ha citato quelli del Messico e della morte di Jamal Khashoggi, un giornalista suo collega, dissidente saudita in Canada. Presumibilmente il suo telefono è stato violato dai sauditi con tecnologia ottenuta dagli israeliani. Pertanto i sauditi sapevano esattamente dove stava andando Khashoggi e cosa avrebbe detto. Israele ha usato la sua esperienza di decenni di occupazione e l’ha venduta in tutto il mondo a paesi che la considera un’idea attraente.

GREG WILPERT: Il quotidiano israeliano Haaretz ha recentemente pubblicato interviste con i lavoratori di Black Cube, del gruppo NSO, e anche con i lavoratori della più segreta compagnia Candiru, che spesso cambia nome. Da queste interviste emerge che le compagnie israeliane sono molto disposte a firmare accordi con i governi autoritari repressivi per fornire le proprie competenze in spionaggio industriale, e sono piuttosto indifferenti al danno che questo potrebbe infliggere alla loro reputazione. Le aziende israeliane mostrano minore preoccupazione per le violazioni etiche rispetto alle società non israeliane? E se è così, come mai?

ANTONY LOEWENSTEIN: Se guardiamo ad esempio ai primi 10 appaltatori della difesa nel mondo, non c’è solo Israele. Ovviamente c’è la Russia, ci sono gli Stati Uniti, di gran lunga i più grandi, c’è la Francia e molti altri paesi. Tutti vendono armi a regimi repressivi. Non ci sono dubbi al riguardo. A quel livello Israele non è solo.

Tuttavia, la sicurezza informatica e l’intelligence e la tecnologia di sorveglianza sono particolarmente spinte da Israele e dagli Stati Uniti. L’esperienza israeliana in quest’area, deriva, come ho detto, da anni di occupazione e apprendimento di queste tecnologie per monitorare i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza, ma anche entro Israele stesso. Israele ha una tecnologia di sorveglianza incredibilmente sofisticata che usa per monitorare i palestinesi sotto occupazione. E infatti, spesso, la loro tecnologia viene utilizzata – particolarmente negli ultimi anni – per monitorare le persone su Facebook. Succede spesso che le persone vengano arrestate letteralmente solo per aver scritto un post su Facebook.

Quindi in questo Israele è unico? Sì e no. È importante dire che uno dei problemi che Israele sta sempre più riscontrando è che nonostante la pubblicità dei suoi prodotti – di solito in privato, ma anche pubblicamente – come testati in battaglia, ci sono altri paesi, come la Russia, che ha avuto anni e anni di esperienza di combattimento con il regime di Assad in Siria, che hanno avuto occasione di testare armi e tecnologia. Quindi ritengo che Israele sia preoccupato di perdere il proprio primato.

Israele usa poi queste tecnologie anche per scopi diplomatici: una delle ragioni per cui Netanyahu vende armi e queste tecnologie di sorveglianza a molti regimi repressivi è per cercare di ottenere supporto diplomatico. Così, ad esempio, negli ultimi anni sta spingendo molto nel mercato africano, in regimi repressivi che stanno uccidendo e sorvegliando i propri cittadini. Israele vuole ottenere maggiore sostegno all’interno delle Nazioni Unite, e così sostiene e appoggia, armando e fornendo attrezzature di sorveglianza, i regimi repressivi in Africa e altrove. Ogni volta che c’è un voto delle Nazioni Unite su Israele troviamo tutto il mondo da una parte e Stati Uniti, Israele, Micronesia, forse l’Australia dall’altra. Vogliono avere più paesi dalla propria parte e così questo tipo di tecnologie viene usato anche per ragioni geopolitiche.

GREG WILPERT: L’organizzazione canadese Citizen Larned ha provato che gruppi e società che hackerano i telefoni provengono da paesi diversi. I programmi sviluppati per tali attacchi, come Pegasus, potrebbero essere letali quanto bombe o missili, come si è visto nel caso dell’omicidio di Jamal Khashoggi. Che tipo di protezione abbiamo per controllare e regolare questa tecnologia, e per proteggere la privacy e i diritti civili dei privati cittadini di qualsiasi paese del mondo?

ANTONY LOEWENSTEIN: Alcune risposte le abbiamo. I giornalisti, con cui parlo spesso, dicono scherzando che in effetti il modo più sicuro per comunicare in questi giorni è usando carta e penna. Ora, ovviamente, questo non è molto pratico, ma c’è un elemento di verità. Un telefono, un computer, per definizione non possono mai essere sicuri al 100%. Detto questo, ci sono alcune app. Il segnale, al momento, è un’app di comunicazione al telefono, è apparentemente sicuro, per quanto ne sappiamo. Whatsapp, tuttavia, non è apparentemente. E in effetti lo sappiamo perché, ad esempio, i sauditi, come ho detto, usavano la tecnologia israeliana per hackerare il telefono di un dissidente, un collega di Jamal Khashoggi

Una delle cose che secondo me le persone potrebbero anche fare è crittografare i loro messaggi. E penso anche le persone siano consapevoli che comunicare su determinate piattaforme, come ad esempio Facebook Messenger, è molto insicuro. Quindi se si usa questo strumento per un semplice scambio di battute con familiari o amici, non ha importanza, a meno di non avere opinioni molto personali che si vuol tenere per sé. Ma bisogna essere consapevoli del fatto che c’è ben poco da fare. Edward Snowden, l’ex informatore della NSA, ha passato anni a cercare modi per sviluppare un telefono privo o quasi di hack. Simili telefoni esistono, sono sempre su un sistema operativo diverso, lontani da Apple e Android. Penso che con il passare degli anni, sempre più persone diveneranno consapevoli della complicità di molte di queste società di comunicazione – Facebook, Google, Apple – nella sorveglianza: come possiamo davvero allontanarci da questo tipo di società e trovare un’alternativa in cui possiamo comunicare in modo sicuro?

Giornalisti e attivisti o chiunque voglia comunicare ovunque, dovrebbe essere ben consapevole del fatto che è quasi impossibile comunicare al 100% in modo sicuro con la tecnologia attuale che molti di noi usiamo, la qual cosa è una realtà molto triste.

GREG WILPERT: Bene questo è tutto per oggi. Abbiamo parlato con il giornalista indipendente Antony Loewenstein, autore dell’articolo Exporting the Technology of Occupation. Grazie ancora per essere stato con noi oggi.

ANTONY LOEWENSTEIN: Grazie per avermi ospitato.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice