Contagio coronavirus, LGBT e discriminazioni israeliane

Di L.P. Neanche in tempi così difficili le branche più estremiste dell’ebraismo ortodosso si pongono dei limiti per la discriminazione di genere, delle comunità Lgbt e dei popoli arabi. Autorità ebraiche hanno elaborato risposte sulle cause del coronavirus, oltretutto simili a quelle di moltissimi esponenti fondamentalisti cristiani, legate a punizioni divine derivante pratiche legate alla “sodomia”.

Un famoso rabbino sefardita, Meir Mazuz, aveva affermato circa un mese fa che la diffusione del micidiale coronavirus in Israele e nel mondo è una “punizione divina” mandata da Dio a causa delle continue manifestazioni dell’orgoglio gay.

Le osservazioni del rabbino Meir Mazuz erano state riportate dal quotidiano Israel Hayom e da Times of Israel e hanno suscitato condanne da parte di molti movimenti per i diritti Lgbt israeliani che lo hanno spinto a chiedere scusa. L’influente rabbino sefardita è stato per anni la guida spirituale del Partito Yachad, organizzazione politica ultra-nazionalista e omofoba di estrema destra, ed è leader della yeshivah di Kiseh Rahamim a Bnei Brak. La yeshivah è un’istituzione educativa religiosa che si basa sullo studio di testi tradizionali ebraici come il Talmud, la Torah e la Halacha e quella di Kiseh Rahamim è molto legata al giudaismo ortodosso e al sionismo perpetrando le tradizioni degli ebrei tunisini.

Era un sabato sera quando Mazuz, durante un discorso allo yeshiva, ha affermato che il Gay Pride Parade è “una parata contro la natura, e quando qualcuno va contro la natura, colui che ha creato la natura si vendica di lui”.

Mazuz ha inoltre chiarito che tutti i paesi del mondo sono chiamati a rispondere di questi eventi ed è proprio per questo motivo che l’epidemia di coronavirus si sta scatenando contro di loro. In più ha difeso falsamente i palestinesi dichiarando che i paesi arabi non hanno questa “inclinazione malvagia”, poiché lì i Gay Pride Parade sono vietati e repressi. Infatti sarebbe proprio per questo motivo che “nel mondo arabo c’è stato solo un caso di infezione” ad eccezione dell’Iran, che è stato colpito dalla pandemia a causa del suo “odio per Israele”. Esprimendo così da un lato lo stereotipo islamofobico del “musulmano repressore dell’omosessualità”, dall’altro intenzionalmente non fa la minima menzione di quanto sia problematica l’epidemia da coronavirus nel territorio arabo di Palestina a causa dei blocchi degli aiuti umanitari da parte di Israele. Se da un lato ha espresso, falsamente, un’alleanza di pensiero con fondamentalisti di altre religioni attaccando il “progressismo” all’interno del suo Paese, dall’altro ha legittimato la pandemia in atto contro uno Stato che da anni si batte contro la sopraffazione del popolo palestinese e contro l’imperialismo a marchio Usa e Israele. Inoltre, Meir Mazuz, con le sue dichiarazioni ha indotto a pensare che in Palestina non ci siano soggettività queer ed organizzazioni femministe e per i diritti Lgbt, quando in realtà esistono e sono movimenti intersezionali contro l’occupazione sionista.

Sostanzialmente, secondo il rabbino, si può essere affetti da coronavirus solo se si è gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender ed antisionisti. L’analisi “scientifica” di Mazuz aveva anche affermato che Israele sarebbe stato protetto dal coronavirus, anche se quando lo affermò Israele aveva già 39 casi di coronavirus.

Potrebbe far ridere, ma il rabbino Mazuz è famoso per queste sue affermazioni retoriche. Nel novembre 2015 aveva affermato che i Gay Pride e altre forme di “comportamento peccaminoso” sono state la ragione per cui i “terroristi palestinesi” hanno ucciso Eitam e Naama Henkin, definendola una forma di punizione divina nei loro confronti per essere una coppia omosessuale. Mentre esprimeva la sua omofobia in tutta evidenza, dichiarava “terroristi” i militanti resistenti palestinesi di stampo socialista delle Brigate dei martiri di al-Aqsa.

Non solo lui si è divertito ad accusare la comunità Lgbt come causa della pandemia, ma anche l’attuale ministro della Salute israeliano, nonché rabbino ultraconservatore, Ya’akov Litzman che a marzo aveva definito il Covid-19 una “punizione divina per l’omosessualità”. Il 1 aprile, Litzman è risultato positivo al coronavirus insieme alla moglie, dopo aver violato più volte le misure di sicurezza sul distanziamento sociale per partecipare a diverse assemblee di culto, ed esponendo a possibili contagi numerose autorità del Paese. Appare del tutto strano che Ya’akov Litzman, politico e guida spirituale, sia stato contaminato da una punizione divina pensata per gli omosessuali e che adesso sia in un ospedale come qualsiasi altro essere umano di cui non si conoscono le tendenze sessuali.

Si è infatti stimato che la comunità ḥaredi, di cui Litzman fa parte, ha registrato un gran numero di contagi poiché molti suoi componenti hanno ignorato le misure imposte dal Governo per contenerne la diffusione. D’altronde è ormai evidente a tutte come moltissime comunità ebraiche integraliste abbiano violato le misure di prevenzione non solo continuando a partecipare normalmente alla vita sociale, ma anche recandosi in zone abitate da palestinesi, simulando spunti e starnuti contro di loro.

Se è vero che Meir Mazuz e Litzman con la loro posizione oltranzista volevano esprimere il rifiuto ad appoggiare qualsiasi sfilata di orgoglio gay a Tel Aviv, da una parte rivelano il forte conservatorismo su cui si fonda il senso comune della società israeliana fortemente basata sul teocon e dall’altra mostrano l’ipocrisia del pinkwashing israeliano. Litzman e Mazuz sono solo alcune tra le famose personalità che hanno posizioni intransigenti sui diritti Lgbt e rispecchiano allo stesso tempo il clima reazionario sul fronte dei diritti civili che si vive in Israele. Oltre ad essere autorità religiose, sono anche esponenti politici che rappresentano la maggior parte degli elettori, essendo parte integrante della maggioranza di governo.

Ciò ci fa capire quanto sia falsa e fallace la fattispecie mediatica del pinkwashing israeliano, per il quale a livello mediatico si diffonde un’immagine idealizzata di Israele come “paradiso gay”, quando nella realtà sociale ciò si rivela completamente inesistente. Inutile ricordare la forte militarizzazione degli ultimi Gay Pride in Israele attuata su pressioni dell’estrema destra ebraica, la condizione delle persone Lgbt quando fanno outing e gli stretti legami internazionali del governo Netanyau con i suprematisti bianchi, con sionisti americani come Sheldon Adelson, con le forze sovraniste, nazionaliste e postfasciste in Europa.

Il pinkwashing serve ad Israele per dare un’immagine progressista di sé e, oltre a cancellare la repressione del popolo palestinese; serve per oscurare l’integralismo ebraico e l’omofobia di Stato che permea il tessuto sociale israeliano.

Inoltre pare del tutto originale che esponenti del rabbinato vedano il male nel mondo LGBT e non nel massacro continuo, nei soprusi bestiali e nell’apartheid perpetrata da Israele nei confronti del popolo palestinese. Forse il ministro della Salute e il rabbino Mazuz, allo stesso modo dei sionisti liberali, si sentono parte del “popolo eletto” avente diritti superiori a qualunque altro essere umano e quindi non potrebbero mai contemplare il razzismo tra le cause dell’epidemia.