Cosa c’è dietro la «nuova posizione politica» dell’Egitto verso Gaza?

2011_05_28-Palestinians-returnees-come-through-the-Rafah-border-crossing-1Di Daud Abdullah – MemoDopo tre anni di aperte ostilità l’Egitto pare voler rivedere la sua politica nei confronti della Striscia di Gaza. Mentre nel recente passato l’amministrazione del Cairo ha aperto il confine di Rafah solo per recapitare cadaveri di palestinesi, le autorità, nelle scorse settimane, lo hanno aperto più frequentemente per consentire il passaggio di persone dirette a, e provenienti da, l’enclave sotto assedio. Ma non è tutto.
Il mese scorso si è assistito a un’ondata mai vista prima di investigazioni ufficiali da parte di agenzie statali egiziani nei confronti di uomini d’affari palestinesi, giornalisti, ed anche jihadisti. La prima indagine ha riguardato più di 30 uomini d’affari e economisti di Gaza che partecipavano alla seconda Conferenza economica presso il resort Egyptian Red Sea di Ain Sokhna.
Una settimana più tardi, una delegazione islamica jihadista, guidata dal segretario in esilio Ramadan Shallah e da figure di spicco della Striscia di Gaza, è stata invitata al Cairo per colloqui con funzionari dell’intelligence egiziana. Subito dopo si è svolta invece la visita di importanti giornalisti palestinesi del quotidiano governativo Al-Ahram.
Detto ciò, il proposito e la frequenza di questi incontri puntano a un possibile cambiamento a livello politico. Le delegazioni ospiti rappresentano una corporazione importante che può contribuire significativamente a migliorare le relazioni con l’Egitto. Però, sebbene gli sviluppi dell’ultimo mese possano essere considerati come un nuovo inizio, non c’è dubbio che la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa.
Per motivi del tutto pratici l’Egitto ha molto da guadagnare da relazioni buone con la Palestina, e con la Striscia di Gaza in particolare. Il territorio costiero non presenta grandi industrie al fronte di una richiesta di 2 milioni di consumatori. Anziché approfittare di questo mercato per lanciate la propria economia, nell’ultimo decennio l’Egitto ha perso ogni opportunità per mantenere il blocco voluto da Israele. Il risultato è che, mentre Israele sta al primo posto tra i paesi esportatori verso la Palestina, l’Egitto occupa la nona posizione, anche se Gaza, con i depositi bancari stimati in 9,6 miliardi di dollari e un commercio annuale stimato di 10 milioni di dollari, dimostra di avere le potenzialità di diventare un importante partner commerciale per l’Egitto.
Sebbene troppo tardi, pare che l’Egitto stia iniziando ad anteporre i propri interessi a quelli di Israele. La conferenza di Ain Sokhna del mese scorso ha riaperto i colloqui sui progetti a lunga scadenza per istituire una zona franca tra Egitto e Gaza. L’idea è stata discussa per la prima volta 10 anni fa, durante il regime di Mubarak, ma non è mai stata realizzata. Il presidente Mohammed Morsi ha provato a rilanciarla come un’alternativa alla pericolosa economia dei tunnel, nata per aggirare il blocco, ma è stato costretto ad abbandonare il progetto dopo essere stato messo di fronte alle accuse infondate di appoggiare un’iniziativa che potrebbe portare alla secessione di Gaza dal resto della Palestina.
Oltre a Israele, che vuole conservare il proprio monopolio sull’intero mercato palestinese, la zona franca è stata considerata anche dall’Autorità nazionale palestinese di base a Ramallah, che ha perso il controllo politico di Gaza nel 2007. Nessuno dei due, probabilmente, appoggerà l’idea finché Hamas rimarrà a controllare la Striscia di Gaza. Nel caso del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, l’argomento è diventato ancor più fastidioso a causa dell’accresciuta influenza del suo rivale di Fatah, Mohammed Dahlan. Si pensa generalmente che Dahlan possa contare sull’appoggio del regime del Cairo e di diversi stati dell’area. Egli ha recentemente appoggiato diverse iniziative di beneficenza a Gaza. Dovendo affrontare difficoltà economiche croniche, l’autorità di Hamas a Gaza ha consentito il prendere piede di tali attività.
Pur essendo vero che il lavoro di «beneficenza» di Dahlan ha giovato a molte famiglie a Gaza, è altrettanto vero che ciò gli ha fatto guadagnare un appoggio leale da parte di elementi delusi di Fatah nel territorio: c’è un limite politico netto nella beneficenza. Per il momento i suoi supporter appaiono più come una fonte di imbarazzo che come una minaccia alla presa di Abbas su Fatah: egli è stato rieletto come leader del movimento – a 81 anni – durante la Settima conferenza di Fatah un paio di settimane or sono.
Dato lo stato di cose, dovrebbe essere nell’interesse dell’Egitto afferrare ogni opportunità per impegnarsi apertamente e lealmente con Hamas, senza preconcetti e sospetti. Dopo tutto, il Movimento di resistenza islamica ha ancora il controllo effettivo di Gaza. Ogni tentativo di considerarlo irrilevante sarebbe a dir poco contro producente. Il Movimento ha dato prova di essere competente sia a livello militare che a livello politico. Anche il suo nemico di sempre, Israele, ne riconosce la duratura popolarità in tutta la Palestina. Si ritiene che l’ottobre scorso Abbas e l’Anp abbiano abbandonato le previste elezioni locali per negare ad Hamas l’attesa vittoria.
Hamas avrà una visione forte e priva di compromessi riguardo l’occupazione israeliana, ma ha dimostrato di saper essere pragmatico nel perseguire gli interessi nazionali palestinesi. Da qui l’accettazione dell’invito di Fatah da parte della leadership di Hamas a partecipare alla grande conferenza del movimento secolare, due settimane fa.
Nel bene e nel male la geografia e la storia hanno chiuso l’Egitto e Gaza in una relazione di interdipendenza. Invece di seguire il sogno impossibile di procedere separatamente, l’Egitto dovrebbe ora cambiare la sua politica nei confronti di Gaza per il bene comune dei due popoli. Ciò non piacerà a Israele e ai suoi alleati, ma alla fine è probabile questa sia l’azione migliore per garantire un futuro più stabile e prospero.
Traduzione di Stefano Di Felice