Delegazione USA disorientata dal silenzio saudita su Gerusalemme

MEMO. L’Arabia Saudita è stata uno dei Paesi il cui capo di stato non ha presenziato al vertice straordinario dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) tenutosi a Istanbul la settimana scorsa. L’assenza dell’auto-proclamato “Custode delle due moschee sacre” in una conferenza il cui obiettivo era discutere il destino della terza moschea sacra per l’Islam – la Moschea Al-Aqsa a Gerusalemme occupata – ha fatto aggrottare le sopracciglia a più di qualcuno, nonostante molti non siano rimasti affatto sorpresi.

Secondo alcune speculazioni, l’assenza del Re Salman sarebbe dovuta al rifiuto dell’Arabia Saudita di stare vicino al Qatar e, soprattutto, al voler tenere buoni i rapporti con il presidente USA Donald Trump. Nonostante il riconoscimento di Trump di Gerusalemme capitale di Israele abbia infranto il diritto e il consenso internazionale, è sembrato che il Regno non volesse prendere parte a un rimprovero universale del leader americano.

Il monarca saudita ha cercato di prendere le distanze in qualche modo dalla dichiarazione di Trump, ribadendo l’impegno del Regno per uno stato palestinese con Gerusalemme Est capitale durante un discorso televisivo al Consiglio della Shura (Consultivo) a Riyadh mercoledì scorso. Tutto ciò mentre il principale organo pan-islamico mondiale si riuniva in Turchia.

Ciononostante, l’apparente indifferenza mostrata da Riyadh per il destino di Gerusalemme è stata così insolitamente sconcertante che anche i commentatori pro-sauditi in America sono rimasti disorientati da una risposta così sottotono. Funzionari e commentatori statunitensi di rilievo avevano in realtà predetto un contraccolpo saudita. “Il paese custode dell’Islam che ospita i due luoghi sacri”, ha scritto Robert Satloff, “[era] un posto adatto per giudicare l’impatto del riconoscimento da parte del presidente Donald Trump di Gerusalemme capitale di Israele per gli interessi statunitensi nella regione”.

La vera domanda, secondo il direttore del Washington Institute for Near East Policy [Instituto per le Politiche del Vicino Oriente di Washington] – un istituto molto vicino agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita – era “come avrebbe reagito l’amico dell’America rimosso dal circolo del conflitto israelo-palestinese”. Satloff ha dichiarato che lui e una delegazione di 50 sostenitori dell’istituto, recatisi a Riyadh per incontrare il principe Mohammad Bin Salman e altri funzionari ufficiali sauditi prevedevano “una fragorosa indignazione” alla dichiarazione di Trump. Invece, con grande sorpresa hanno trovato una famiglia per niente preoccupata per il destino di Gerusalemme; un principe, a detta loro, “che aveva una visione molto diversa per il rapporto Arabia Saudita-America e una potenziale partnership Arabia Saudita-Israele”.

Nel descrivere il suo incontro con i reali sauditi, il capo dell’istituto non ha usato altro che parole di elogio per Bin Salman. “Gerusalemme non è mai stata nominata” durante le loro riunioni, tenutesi mentre Trump annunciava in televisione le sue dichiarazioni sulla città santa. “La delegazione USA era stata cinque ore in riunione con tre diversi ministri sauditi discutendo tutto, dalle crisi con Yemen, Qatar e Libano all’ambizioso programma di riforme ‘Vision 2030’ e alla possibile offerta pubblica della società statale petrolifera Aramco”, ha scritto Satloff in un articolo per la rivista Foreign Policy. 

Disorientata dal silenzio su Gerusalemme, la delegazione USA, secondo Satloff, prevedeva che i sauditi avrebbero “scaricato” la loro frustrazione durante l’ultima riunione della giornata con il Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale. “Sicuramente”, ha riflettuto “il capo della MWL [Muslim World League, Lega Musulmana Mondiale] avrebbe denunciato l’assalto americano alla sacralità del controllo musulmano su Gerusalemme”.

Per sua “meraviglia” la parola Gerusalemme non è mai uscita dalla bocca dei funzionari sauditi. Anzi, questi hanno “fatto notare con orgoglio” la loro amicizia con i rabbini in Europa e America, le visite a una sinagoga di Parigi e il dialogo interreligioso nel quale ora sono impegnati. La delegazione USA è andata a dormire quella sera fiduciosa di assistere al “fuoco e fiamme della vecchia Arabia Saudita” quando si sarebbero scoperti i dettagli dell’annuncio di Trump.

Il giorno seguente, nel pubblico c’era proprio il Principe stesso. Il 32enne Mohammad Bin Salman è il governatore de-facto del Regno e “aveva tanto da dire”, ha spiegato Satloff nonostante non sembrasse che Gerusalemme fosse una questione che lo preoccupava. “Se non gli avessimo chiesto noi della dichiarazione di Trump, probabilmente l’argomento non sarebbe mai venuto fuori. Chiaramente non era venuto all’incontro per sfogare [la sua rabbia]”.

Alcuni critici hanno suggerito che il silenzio saudita su Gerusalemme sia un riflesso dell’abbandono da parte di Riyadh della causa palestinese. Alla luce della nuova alleanza tra Bin Salman, Trump e l’israeliano Benjamin Netanyahu, Riyadh sembra aver adottato la visione israeliana per risolvere il conflitto in Palestina.

La proposta apparentemente appoggiata dai sauditi riconoscerà Abu Dis, città a sud-est di Gerusalemme, come capitale futura di uno stato indipendente palestinese invece di Gerusalemme Est occupata. I Palestinesi avranno uno staterello non contiguo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, sul quale deterranno una sovranità soltanto parziale; la maggior parte degli insediamenti israeliani in Cisgiordania rimarrà. Inoltre, la proposta non garantisce ai profughi palestinesi e ai loro discendenti che vivono in diaspora il loro diritto legittimo di ritornare nella propria terra e nelle proprie case in quello che è ora Israele.

Dobbiamo essere sorpresi? Un barlume di speranza resta, per gli ottimisti secondo i quali l’Arabia Saudita, nonostante abbia evitato di condannare pubblicamente Trump, privatamente esprimeva il suo dissenso verso gli Americani nella maniera più decisa possibile. Ma non sembra essere stato così. L’abbandono da parte di Bin Salman non solo della causa palestinese ma anche di Gerusalemme stessa, una città santa per 1,6 miliardi di musulmani nel mondo, ha totalmente screditato il Regno nell’avanzare qualsiasi pretesa di proteggere l’Islam e il mondo musulmano.

Traduzione di Giovanna Niro