Dietro lo sciopero della fame vi sono innumerevoli storie di sofferenza

Palestina-sciopero-della-fame-1PIC. Di Inas Abbad. La reazione israeliana allo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi, iniziato il 17 aprile, è stata senza precedenti.

Lo sciopero della fame, che sta coinvolgendo più di 1.500 detenuti palestinesi (sono oltre 2000, ad oggi, ndr), ha lo scopo di portare l’attenzione di tutti sulle ingiustizie delle politiche detentive israeliane e di chiedere migliori condizioni per i carcerati, tuttavia si è scontrato addirittura con richieste di esecuzione dei detenuti partecipanti.

Dichiarazioni in stile nazista

Le reazioni sono state estremamente pericolose e razziste, compreso il commento del membro del Knesset Oren Hazan che ha dichiarato: “Non ci sarebbe nessun problema neanche se morissero tutti i prigionieri a causa dello sciopero. Dopo tutto, le carceri sono sovraffollate mentre per terra vi è ancora tanto spazio per tutti i loro cadaveri”.

Sono state riportate dichiarazioni anche del ministro della Difesa Avigdor Lieberman che, oltre a chiedere la loro esecuzione, afferma anche che i prigionieri scioperanti dovrebbero essere lasciati morire di fame.

In altre dichiarazioni, i prigionieri vengono descritti come scarafaggi velenosi che dovrebbero essere sterminati con il gas e per i quali dovrebbero essere costruiti dei campi di sterminio.

Dopo quattro giorni dall’inizio dello sciopero, coloni israeliani hanno installato dei barbecue vicino al carcere di Ofer per provocare i prigionieri che, in quel momento, erano senza cibo e acqua per un totale di 12 pasti.

Solidarietà Araba

Lo sciopero della fame è stato avviato con la speranza che avrebbe, col tempo, ricevuto la solidarietà di tutte le fazioni palestinesi e delle forze popolari e nazionali.

Anche noi speravamo che, dopo poco tempo, si sarebbe trasformato in un movimento di solidarietà araba, forse anche a carattere internazionale, che appoggiasse la causa dei prigionieri e le loro richieste, creando pressioni su Israele ed obbligandolo a soddisfare le richieste legittime ed umane dei carcerati.

Lo sciopero della fame di massa avrebbe potuto avere un impatto maggiore rispetto ad uno individuale, rimanendo, però, non meno pericoloso e difficile se continuato per troppo tempo, come nel caso degli scioperi individuali.

Dopo una settimana circa di sciopero della fame, il corpo del detenuto inizia a consumarsi dopo che il suo peso è già diminuito non meno di cinque chilogrammi. Inoltre non dimentichiamo che in questo sciopero, tra i partecipanti vi sono anche minorenni, donne, anziani ed ammalati.

Il detenuto in sciopero della fame soffre più per il dolore che per la fame: mal di testa, dolori articolari, tremori ed immobilità sono soltanto alcuni dei sintomi. La maggior parte degli individui a digiuno soffre di varie malattie come osteoporosi, cancro, reumatismi, difficoltà respiratorie, asma ed altre malattie che sono il risultato delle dure condizioni detentive, compresa la tortura e la malnutrizione. In tale situazione, questi detenuti necessitano di cure speciali che vengono loro regolarmente negate.

Secondo i rapporti pubblicati dal Club del prigioniero politico, dal Dipartimento per gli Affari dei prigionieri politici e dei prigionieri liberati e dall’Ufficio centrale palestinese di statistica, vi sono 5.600 prigionieri politici detenuti nelle prigioni israeliane, comprese 57 donne delle quali 13 sono minorenni. Dopo 15 anni di carcere Lina al-Jarbouni, la donna che è stata incarcerata più a lungo, è stata rilasciata dalle autorità israeliane il 16 aprile 2017.

E’ inoltre utile sapere che vi sono ancora 200 Palestinesi in carcere da prima che fosse sottoscritto l’accordo di pace israelo-palestinese (gli Accordi di Oslo) del 1993.

Alcuni Palestinesi sono i prigionieri di più lunga detenzione al mondo. Si tratta di Karim Younis e Maher Younis, in carcere dal gennaio 1984, di Nael al-Barghouti che ha trascorso 36 anni di carcere, di cui 34 in modo continuativo. Fu riarrestato nel 2014 subito dopo il suo rilascio. Era uno dei prigionieri che era stato liberato come parte dell’accordo sullo scambio di prigionieri per il soldato israeliano Gilad Shalit.

Trattamento Disumano

Lo sciopero politico della fame non deve essere visto soltanto come un tentativo per migliorare le condizioni detentive dei prigionieri. Non è affatto vero che quel che tutti i prigionieri vogliono siano solo migliori condizioni carcerarie: se le condizioni carcerarie incontrassero gli standard del XXI secolo, essi non accetterebbero comunque il fatto di restare detenuti così a lungo.

In effetti, i prigionieri politici ricevono i trattamenti più disumani. Vi sono circa 500 prigionieri politici tuttora detenuti nelle carceri dell’occupazione che non sono mai stati accusati di niente. Essi vengono generalmente trattenuti per periodi che vanno da tre a sei mesi e che sono sempre rinnovabili, ma alcuni sono stati in carcere per anni senza mai essere accusati.

Ai prigionieri politici vengono solitamente negate le cure mediche e regolari visite da parte di un medico. A causa di tali negligenze, 13 persone – che vengono considerate come martiri – sono decedute a seguito di malattie mentre si trovavano in carcere. Ve ne sono altri ancora oggi che hanno bisogno urgente di cure e ai quali sono sempre state negate per anni.

Anche ai parenti è stato negato il cosiddetto “permesso della Croce Rossa per le seconde visite”. Le visite familiari possibili attraverso la Croce Rossa sono state ridotte ad una ogni quattro settimane. Ma da quando lo sciopero della fame è iniziato, anche agli avvocati è stato negato il permesso di visitare i prigionieri politici, ai quali erano già state vietate completamente le visite dei familiari come misura arbitraria presa contro di loro per ritorsione.

Molti prigionieri politici sono stati posti in isolamento nelle carceri di Al-Jalamah e Ilan, nella regione di Beer Sheba, ed in altre zone. I loro effetti personali sono stati confiscati, sono stati spogliati dei loro vestiti e hanno subito continue persecuzioni sotto forma di trasferimenti arbitrari tra le varie carceri e costanti perquisizioni all’interno delle loro celle, durante le quali essi sono stati picchiati.

Alcuni di loro hanno perso uno o entrambi i genitori senza avere nemmeno la possibilità di salutarli, come Mahmoud Abu Surur. Alcuni di loro sono divenuti padri mentre erano in carcere ma non hanno potuto provare la gioia della paternità, che è uno dei diritti umani fondamentali, come Adnan Muraghah e molti altri. Alcuni di loro non conoscono i loro nipoti se non attraverso alcune fotografie che possono entrare nel carcere all’incirca ogni mese.

Alcuni prigionieri sono confinati in cella e non ricevono visite da molte settimane, forse anche mesi, come nel caso di Walid Maraqah. Alcuni di questi che provengono dalla Cisgiordania, come Nasir Abu Surur e Hasam Shahin, e decine di altri, e non possono ricevere visite perché alle loro famiglie viene negato il permesso di entrare in Israele.

A molti parenti vengono negati i permessi di visita perché anch’essi sono ex-prigionieri politici. I prigionieri politici veterani spesso non ottengono i permessi per visitare i loro figli o i loro fratelli che vengono rinchiusi nelle carceri per motivi politici.

Diritti Umani Fondamentali

I detenuti possono essere puniti vietando loro di accedere all’educazione e alla lettura. Soltanto di rado ad alcuni detenuti viene permesso di proseguire il loro percorso di studi mentre sono in carcere. Molti proseguono queste attività in segreto, il ché prende tanto tempo e molta sofferenza. Essi approfittano di qualsiasi tipo di assistenza che le famiglie e i compagni detenuti possono offrire loro, come ad esempio nei casi di Marwan Barghouti, Karm Younis, Walid Maraqah e Muhammad Abbad, che hanno credenziali accademiche che consentono loro di rendere questi servizi agli altri detenuti.

E’ comunque abbastanza difficile portare libri all’interno poiché vengono controllati minuziosamente dai funzionari del carcere e molti vengono proibiti. L’educazione dovrebbe essere un diritto umano garantito da tutte le convenzioni internazionali e dai diritti umanitari, ma non all’interno delle carceri di Israele.

I telefoni sono vietati. Anche i messaggi sono limitati e vengono severamente controllati. A volte i messaggi impiegano molte settimane, anche mesi, per essere consegnati. Alcuni, addirittura, non raggiungono mai la loro destinazione.

E alcuni dei vecchi prigionieri politici non sanno niente a proposito dei social-media, di internet e del computer. Non hanno nemmeno mai sentito parlare di smartphone. Ad altri sono state vietate chiamate ai genitori anche in punto di morte.

Questo caso è accaduto a Muhammad che ha perso suo padre, il prof. Abd Al-Rahman Abbad. Il 15 maggio 2015, sua madre, rientrando dalla visita in carcere al figlio, ha trovato suo marito deceduto, dopo aver sofferto di cancro per anni. La malattia gli aveva impedito di poter visitare suo figlio per molti mesi, prima della sua morte.

Richieste Legittime

Per tutto questo, possiamo quindi affermare che le richieste dei prigionieri politici in sciopero della fame sono legittime ed umane. Non vorremmo mai che le loro richieste legittimassero la loro detenzione o che implicassero che essi accettino la loro detenzione in celle per anni.

Alcuni di essi sono già stati in detenzione per oltre la metà della loro vita, come nel caso di Muhammad Abbad, Karim Younis, Maher Younis, Nael Barghouti, Nasir Abu Surur e Muhammad Abu Surur, e la lista potrebbe continuare.

La questione è: lo sciopero della fame continuerà fino a quando verrà ristabilita la dignità? O Israele ricorrerà all’alimentazione forzata come ha già fatto agli scioperanti nel campo di detenzione del deserto di Nafha nel 1980?

 Inas Abad è una ricercatrice di Scienze politiche, docente e attivista politica di Gerusalemme Est. Suo fratello, che è in un carcere israeliano da 16 anni, è uno dei leader dello sciopero della fame. Il suo articolo è stato pubblicato nel website Middle East Eye.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi