“Come sono diventata un’ebrea anti-israeliana”

MEMOScritto nel 1986, il seguente articolo è stato conservato tra i file personali dell’autrice fino ad oggi. Viene pubblicato da MEMO con la sua autorizzazione, senza attualizzazione dei dati. Dunque rimane un articolo di repertorio.

Sii paziente. Tutto ciò è molto difficile da scrivere, ma devo scriverlo, nonostante mettere le parole su carta intensifichi di molto il mio dolore. Quando ero una ragazzina, ad un angolo di strada di Budapest, guardando un convoglio di internati rientrare dal campo, piansi. No, non lacrime. Ormai avevo imparato a non piangere, a non essere una rammollita. Dovevi essere una dura per sopravvivere. I singhiozzi erano dentro, accompagnati da parole: “Ez nem történhet megint, nem történhet megint” (“Questo non può succedere di nuovo, non può succedere di nuovo”).

Quella frase oggi, dopo quasi quarantanni e più rimbomba ancora dentro di me. E’ stata una sorta di luminosa guida nella mia vita. Nonostante ciò, per me le parole non erano, non sono, esclusivamente sulla persecuzione e l’assassinio degli ebrei. Per quanto possa ricordare, quella frase ha sempre significato “Nessuna ulteriore oppressione. Nessuna ulteriore strumentalizzazione. Nessuna ulteriore discriminazione contro persone in qualche maniere diverse da me stessa. Nessuna schiavitù. Nessun genocidio”.

Cercando di scoprire la mia genesi cattolica-ecumenica, sono stata capace solamente di riesumare tre memorie rilevanti. Io, mia madre e i miei nonni siamo sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale assumendo false identità cristiane. Una famiglia cristiana ci diede alcuni dei loro documenti e ne facemmo dei falsi da utilizzare con i documenti reali. Fui istruita – da chi? – a proposito della città nella quale i documenti dicevano fossi nata (in quanto nata, in realtà, a Budapest, come mia madre).

La seconda immagine del mio alquanto soppresso passato è quella del prete che ci battezzò cosicché avessimo ulteriori e genuini documenti per provare la nostra supposta natura non ebrea. Alla cerimonia ricordo che mia nonna (ebrea praticante) ebbe paura che l’acqua santa la toccasse davvero, quindi il prete l’aiutò a piegare lo scialle sulla testa e sulle spalle per proteggerla da tale “contaminazione”.

Il terzo ricordo è quello di mio padre che, essendo in qualche modo sopravvissuto ai campi di lavoro (non parlerà mai di questo!) ritornò a Budapest. Era riuscito a scoprire il nostro indirizzo ma non i nostri nomi fittizi. Venne quindi all’enorme palazzina in parte bruciata e chiese il nostro vero nome; “Oh” disse il portiere “intendete Mrs… e Marika. Andate al quarto piano. Appartamento 14”. Quindi tutti dovevano esserne a conoscenza, tutte quelle buone anime con le quali avevamo condiviso il bombardamento della città, tutti sapevano che eravamo ebrei. Nonostante i nazisti offrissero ricompense per informazioni sugli ebrei nascosti, nessuno ci aveva venduto. Ci protessero con le loro vite, poiché chiunque nascondesse ebrei poteva affrontare il plotone di esecuzione sulle rive del Danubio.

Quindi vedete, non potevo dividere il mondo tra ebrei e non ebrei. Era molto più complesso di così.

Sono cresciuta a Budapest e in seguito a Sydney (Australia) con tutte le ferite lasciate dalla guerra; quelle lasciate su di me direttamente e quelle trasmessemi dai resti della mia famiglia emotivamente toccata. Perché non volevo essere ferita mai più in questo modo, perché non volevo essere oggetto di antisemitismo in Australia, mi unì ad una Chiesa Cristiana. Questa fase non durò a lungo, dopo che scoprì di non avere alcuna fede nel Dio dei cristiani, o in alcun dio o organizzazione religiosa. Poteva essere stato solo un dio tra i più malevoli a permettere una guerra come quella che avevo vissuto, o le continue discriminazioni e guerre. All’incirca allo stesso momento scoprì che non volevo, non potevo, essere australiana. Reclamai la mia doppia eredità di ebrea ungherese.

Qual era la mia relazione con Israele a quel tempo? La mia prima seria disputa con mio padre fu a proposito di Israele. Mi sentivo molto romantica a proposito di Israele al tempo, e sognavo di andare a viverci una volta fossi cresciuta, nonostante non conoscessi nulla al proposito. Non si discuteva di Israele nella mia famiglia, per quanto ricordi. Poi mio padre (anch’egli ebreo laico) iniziò a mettere da parte soldi per una piantagione di alberi in Israele. Questo mi portò a chiedere perché, se egli era davvero filo-israeliano, non andassimo a vivere lì. Accusai mio padre di essere un ipocrita, di pulire la sua coscienza con i soldi, quando invece avremmo dovuto essere lì, a lottare per i nostri diritti.

Poi venne il 1956. Il mio cuore era sia con i combattenti ungheresi che con quelli israeliani. Ero orgogliosa che gli ebrei mostrassero al mondo che non erano solo agnelli guidati al massacro ma che potevano anche combattere (non so perché non sapevo della guerra del 1948, forse perché quello era l’anno della nostra emigrazione da Budapest).

Qualche tempo dopo, e non ho ricordi associati per permettermi di datare la trasmissione, sentì una notizia sugli israeliani che radunavano i palestinesi in campi di insediamento. Non ci potevo credere. Gli israeliani non erano anche ebrei? Non eravamo noi, loro, sopravvissuti al più grande pogrom della nostra storia? Non erano campi di concentramento, spesso eufemisticamente chiamati “campi di colonizzazione” dai nazisti; la caratteristica principale di questo pogrom? Come potevano gli ebrei in qualsiasi misura fare agli altri ciò che era stato fatto loro? Come potevano questi ebrei israeliani opprimere e imprigionare altre persone? Nella mia immaginazione romantica, gli ebrei in Israele erano socialisti e persone che conoscevano il bene e il male. Questo era chiaramente sbagliato. Ero delusa, come se fossi derubata di una parte di ciò che pensavo fosse la mia eredità. Era tutto troppo doloroso, quindi ho cercato di non pensarci.

Non per molto però. Avevo una parente lontana a Sydney, una giovane donna della mia stessa età. Durante una lunga visita in Israele si innamorò di un Sabra (un ebreo nato in Israele) e decise di emigrare a Tel Aviv per sposarsi. Ho la loro foto del matrimonio. Lui fu ucciso nella guerra del 1967.

Chiesi a Eva di Israele. Mi parlò del sistema di classe: sabra, europei occidentali, europei dell’est, russi, ebrei non europei e poi arabi, in quest’ordine. A quel tempo stavo studiando per la mia laurea in sociologia. Ho interrogato Eva, ogni domanda suscitava risposte sempre più dolorose da ascoltare. Troppo per il socialismo ebraico, e per gli ebrei, discriminare su base razziale! Non impareremo mai? Evidentemente non eravamo un popolo eletto; non eravamo diversi da nessun altro, altrettanto avidi e generosi, deboli e forti, socialisti e capitalisti, saggi e sciocchi.

Il tempo e la storia proseguirono. Lessi un po’ di storia ebraica, e siccome a quel tempo vivevo a Londra, la storia degli ebrei in Inghilterra. Imparai che c’era una minima unità trasversale di classe tra gli ebrei britannici. Gli ebrei non sono più uniti del tanto decantato (dai Tories) “inglese omogeneo”.

Ho ancora da parte uno studio sulla storia di Israele. Quel poco che ho raccolto è da riviste e giornali, che in genere contengono pochi articoli di critica o antagonisti nei confronti di Israele. Il poco che ho imparato sul trattamento dei palestinesi è stato sufficiente a confermare il mio antisionismo. I mezzi usati per assicurare una patria non potrebbero mai, ai miei occhi, essere giustificati. La Palestina doveva essere la patria dei palestinesi tanto quanto Israele era la patria degli ebrei. Scacciare i palestinesi dalle loro case, razziare i loro villaggi, annettere le loro terre, imprigionarli, fucilarli, torturarli; nessun “fine” potrebbe essere giustificato con tali mezzi. Lo stato di Israele era diventato una perversione.

Il sentimento di essere stata tradita crebbe. Una domanda emerse: era per questo che morirono? I miei parenti, tutti quegli ebrei, tutte quelle migliaia di nomi sui memoriali? Era questo orrore di uno stato razzista e repressivo il risultato della loro morte?

Misi le mie domande da parte e sfuggì dal mio dolore rifugiandomi in quello degli altri. A quel tempo vivevo ai margini di Harlem, New York, lavorando nelle scuole, nelle università locali e nelle prigioni. Quando gli israeliani permisero/condonarono/favorirono i massacri nei campi profughi palestinesi di Sabra-Shatila a Beirut, sentii che sarei esplosa di rabbia, disgusto e dolore. Tuttavia, non ne feci nulla di queste emozioni, né della fastidiosa sensazione di dover fare una seria lettura di Israele. Lavorai di più, iniziai le ricerche per un altro libro e tornai a Londra.

Poi arrivò l’opportunità di tenere una lezione su un argomento a mia scelta in una summer school dove dovevo insegnare. Ora avevo una struttura in cui potevo confrontare libri su Israele e prepararmi per una conferenza sul commercio di armi e sul Terzo Mondo, con esempi di studi su Guatemala, Sudafrica e Israele.

Permettetemi di riassumere quello che imparai su Israele in questo contesto. Il Guatemala è attualmente il regime più repressivo dell’America centrale: circa 60.000 persone sono state uccise dalle forze di polizia/militari/delle piantagioni; circa un milione di indiani sono stati dislocati dal governo e altri 100.000 hanno cercato rifugio in Messico. Israele non solo ha legami commerciali con il Guatemala; equipaggia, addestra e consiglia la polizia e l’esercito. Israele, scoprii, forniva anche armi ai repressivi Contras in Nicaragua.

Pur essendo un firmatario dell’embargo sulle armi dell’ONU in Sud Africa, Israele continuò a fornire armi al regime dell’apartheid per un valore compreso tra i 400 e gli 800 milioni di dollari all’anno. Successivamente, sotto la pressione del Congresso degli Stati Uniti, da cui riceve (l’articolo è del 1986, ndr) ogni anno 2 miliardi di dollari di aiuti e crediti militari, il governo israeliano annunciò che non avrebbe effettuato nuovi investimenti in Sudafrica o firmato nuovi contratti per le armi. Tuttavia, poiché Israele onorerà i suoi attuali contratti, le cui date di scadenza non sono state annunciate, non credo che fermerà questo aspetto delle sue proficue relazioni con il Sudafrica. Israele ha anche circa 15.000 soldati ed esperti tecnici che aiutano il Sudafrica nella sua guerra contro i propri popoli e quelli vicini. Inoltre, nonostante la soppressione di Mordechai Vanunu (un israeliano di origine marocchina), ora è ben accertato che Israele e il Sudafrica abbiano sviluppato armi atomiche congiuntamente. Israele aiuta inoltre l’economia sudafricana ri-confezionando, finendo e assemblando parzialmente le merci sudafricane, che, se stampate con il marchio “Made in Israel”, godono dell’ingresso in franchigia nella CEE (precursore dell’UE) e negli Stati Uniti.

Lo so, ora che ho iniziato non solo devo sforzarmi di leggere di più, ma devo parlare. Devo dire al governo israeliano, che pretende di parlare in nome di tutti gli ebrei, che non sta parlando nel mio nome. Non rimarrò in silenzio di fronte al tentato annientamento dei palestinesi; la vendita di armi a regimi repressivi in tutto il mondo; il tentativo di soffocare le critiche nei confronti di Israele nei media di tutto il mondo; o la torsione del coltello etichettato come “colpa” per ottenere concessioni economiche dai paesi occidentali. Naturalmente, la posizione geo-politica di Israele ha un maggiore impatto su questo, al momento. Non permetterò che la confusione dei termini “antisemita” e “anti-sionista” rimanga impunita.

Sto ancora cercando una risposta alla mia domanda: per cosa sono morti? Anche se ho qualche idea: sono morti perché erano ebrei, per quello che erano; come morirono gli armeni, o i tasmaniani, o i popoli nativi dell’Australia e delle Americhe e milioni di africani. Erano sulla strada di, oppure spremuti da, aspirazioni economiche, nazionaliste o colonialiste di un popolo più forte. Il genocidio è un genocidio, non importa chi lo pratica contro chi, o sotto quale pretesto.

Ti ho chiesto di sopportare insieme a me. Questi sentimenti e idee sono molto dolorosi, vedi. Non sono un’ebrea antisemita, né odio me stessa. Posso anche dire che sono orgogliosa di essere ebrea perché alcuni di noi hanno sempre lottato e ancora lottano per l’uguaglianza dei popoli e delle classi e aborriscono ogni forma di sfruttamento e oppressione.

Traduzione per InfoPal di Marta Bettenzoli