Documentare la morte: l’uomo che conta i corpi di Gaza

10413378_10153020640575760_34443123560155811_nGaza – AFP. Dentro l’angusto ufficio di Ashraf al-Qidra, nell’ospedale di Shifa, il telefono non smette mai di squillare, con le notizie che arrivano a frotte delle ultime vittime della devastante operazione militare di 20 giorni di Israele.

Con oltre 1.060 persone uccise e più di 6.000 feriti (al 30 luglio sono 1200 i morti e 7000 i feriti, ndr), contare i morti è un’occupazione a tempo pieno per il 41enne portavoce dei servizi di emergenza di Gaza.

Da quando l’8 luglio è iniziata l’operazione, Qidra ha dormito solo due ore a notte su un materasso nel suo ufficio, con il suo staff che lo aggiorna ventiquattro ore su ventiquattro sulle ultime vittime dell’offensiva israeliana e con il suo telefono che squilla costantemente per via dei giornalisti in cerca di dettagli dell’ultimo bilancio.

Si sdraia per riposare, ma la sua siesta tanto necessaria è rapidamente interrotta appena un assistente si precipita dentro esclamando: “Dottor Qidra, ci sono molti morti e feriti in un bombardamento sull’ospedale di Shuhada!”

Il 41enne inizia subito a scarabocchiare appunti mentre i telefoni squillano e una radio wireless crepita di notizie di ulteriori morti e feriti nella Gaza devastata dalla guerra.

Lui chiama gli ospedali, coordinando gli sforzi per tenere traccia dei feriti.

“Non c’è alcun posto al sicuro dal bombardamento israeliano”, dice Qidra, un uomo alto con una barba ben tagliata, che ha fatto questo lavoro per quattro anni.

“Hanno mirato all’ospedale di Al-Wafa, all’ospedale di Shuhada e all’Ospedale Europeo, come temevo sarebbe accaduto”.

“Non dubito che colpiranno questo ospedale ad un certo punto”, dice, guardando fuori dalla finestra mentre un’ambulanza scarica ulteriori feriti.

“Il nemico è andato oltre la pazzia, disastro dopo disastro”.

Non pagato per mesi

I dati diffusi dall’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite OCHA indicano che quasi tre quarti delle vittime erano civili e circa un quarto dei quali bambini.

E riporta che 18 ospedali, cliniche e centri medici di Gaza sono stati colpiti e danneggiati dai bombardamenti israeliani.

Israele ha perso 43 soldati e tre civili sono stati uccisi da proiettili transfrontalieri.

Al-Shifa è il più grande dei sette ospedali di Gaza, che stanno lavorando tutto il giorno da quando l’8 luglio è iniziata l’operazione israeliana con l’obiettivo di sradicare il lancio di razzi transfrontalieri e  successivamente ampliata in un’operazione di terra.

Una chiamata in arrivo sul telefono fisso – altri cinque morti e almeno 70 feriti, tra cui medici e paramedici, in un attacco contro l’ospedale di Shuhada a Khan Younis.

Il telefono squilla di nuovo. Ma questa volta è sua moglie.

Qidra abbozza un raro sorriso e chiede notizie dei suoi quattro figli, rassicurandoli che lui è ancora sano e salvo.

Ha visto la sua famiglia solo una volta nelle ultime tre settimane.

“Mi mancano”, ammette.

E, come molti normali abitanti di Gaza, si sforza di sostenerli.

Nonostante il suo ruolo cruciale, Qidra, che si è recentemente qualificato come medico, non è stato pagato per parecchi mesi.

Fino a due mesi fa, è stato portavoce del ministero della Salute sotto  Hamas, ma il movimento islamista – che amministrava Gaza prima di cedere il potere a un governo con sede a Ramallah nel mese di giugno – era rimasto a corto di fondi per pagare i suoi lavoratori pubblici.

Ma lui non si considera alleato di Hamas, insistendo che il suo lavoro è un dovere umanitario.

“Credo fermamente nella mia missione umanitaria”, dice di un lavoro che implica il rispondere a circa 700 telefonate al giorno.


Impatto emotivo

Ogni sera tiene una conferenza stampa presso l’ospedale nella quale legge i dati e i nomi delle vittime.

Molto prima, però, ogni dettaglio è meticolosamente registrato in post quasi costanti in arabo sia su Twitter che su Facebook.

Per i giornalisti che seguono il conflitto, Qudra è l’unica fonte di informazione. Con i numeri che aumentano così in fretta, a volte di 100 morti al giorno, sarebbe un compito impossibile verificare in modo indipendente ogni vittima.

Qidra insiste che i suoi conti tornano.

“Le statistiche che usiamo e pubblichiamo sono accurate e obiettive”, dice, orgoglioso ma stanco.

La sua prima esperienza di un grave conflitto tra Israele e Hamas è stata nel novembre 2012, quando 177 palestinesi e sei israeliani sono stati uccisi in uno scontro di otto giorni.

Questa volta, ammette, il conflitto l’ha senz’altro colpito emotivamente.

“Vedo cadaveri e resti umani per tutto il tempo. Ma quello che davvero mi sconvolge è la vista di donne e bambini che sono stati abbattuti nei bombardamenti”.