Dopo la dichiarazione di Fiano, la risposta dell’ANPI non sfiora il tema della liberazione della Palestina

Di L.P. Leggiamo in questi giorni il botta e risposta che c’è stato tra il dem Emanuele Fiano e la presidente dell’ANPI nazionale Carla Nespolo sulla presa di posizione dell’ANPI contro l’annessione delle terre palestinesi da parte di Israele previste dal Piano Trump e per la liberazione dei prigionieri palestinesi protagonisti dell’Intifada. In questo botta e risposta sono emersi da un lato la non verità di certe affermazioni, l’assenza di conoscenza politica, la posizione sionista dello stesso Fiano e dall’altro la mancata volontà politica dell’ANPI di toccare realmente il problema della Palestina.

Fiano dopo aver visto il video promosso dall’ANPI ha affermato, diplomaticamente e diligentemente, che i prigionieri palestinesi citati da Nespolo sono a tutti gli effetti dei delinquenti sottoposti a processo penale per aver commesso “svariati omicidi, di civili innocenti, uomini, donne, minori”. Secondo questa affermazione sembra che questi palestinesi si siano alzati una mattina e, non sapendo cosa fare, abbiano deciso di delinquere uccidendo persone senza la minima logica. Peccato che non sia così ed è la storia a dircelo! Infatti non si tratta di criminali disorientati e confusi che hanno il solo scopo di perpetrare il male, ma sono combattenti politici reduci di una storia che dura più di settant’anni fatta di occupazione coloniale di agglomerati di persone da tutto il mondo verso un popolo. Un’invasione che ha avuto le migliori capacità tecniche militari per reprimere il popolo palestinese, ma che ha sempre trovato come ostacolo la volontà e la determinazione di un popolo non destinato ad arrendersi. Che piaccia o no a Fiano, ciò che sta avvenendo è il conflitto israelo-palestinese, un conflitto armato da ambo le parti in cui uno sta perpetrando una guerra imperialista, mentre l’altro ne sta resistendo. Pur essendoci delle frange palestinesi che conducono una lotta nonviolenta, continuamente repressa da IOF e IDF nel sangue, il conflitto armato che si sta verificando porta con sé le morti fisiologiche in entrambi i fronti. La retorica revisionista tanto liberal quanto decontestuale storicamente, spogliata dell’analisi dei rapporti di forza e dalle figure di oppresso ed oppressore nei conflitti è un danno all’informazione rispetto a ciò che è veramente la questione palestinese. Fiano sa benissimo che per attrarre “umano consenso” serve imbastire discorsi irrazionali basati sulla mozione degli affetti volti a far compatire umanamente delle situazioni. Questa è la strada semplice, veloce e molto ipocrita perché è un vestito che sta bene indossato a chiunque. Una retorica che magicamente è capace di spiegare l’inspiegabile descrivendo umanamente ciò che umano non è. È la stessa retorica ipocrita è usata dai neofascisti oggi per far compatire le proprie vittime uccise dai partigiani durante la Resistenza, senza spiegare che erano gli stessi che avevano sterminato, picchiato o torturato con olio di ricino le famiglie indifese dei partigiani durante il ventennio mussoliniano colpevoli forse di essersi esposte contro di loro. La storia, soprattutto quella delle guerre e dei conflitti, non si giudica in buoni o cattivi, tra persone “per bene” o “delinquenti”. La storia stabilisce chi era oppresso e chi oppressore senza strutture moralistiche. Forse Fiano non è a conoscenza di ciò, come non è a conoscenza della differenza tra storia e memoria e come, oggi più che mai, stia subendo forti contraddizioni.

Nella lettera Fiano parla della giustizia israeliana come un “sistema giuridico funzionante ed indipendente dall’orientamento politico dei governi di turno” che sarebbe stato in grado di giudicare i “delinquenti” palestinesi con imparzialità tanto da farsi autocritica, risultando l’eccezione nel contesto mediorientale. Non si capisce di cosa stia parlando, dal momento che Israele è perfettamente integrato nel modello mediorientale di giustizia affidata a tribunali di stampo religioso. In Israele non è presente nessuna giustizia laica e di Stato, ma è fondata sul teocon, sulla giurisdizione religiosa affidata a 15 tribunali religiosi, tra i quali il più importante risulta essere il Gran Rabbinato. 

In tutto ciò Fiano, criticando la posizione che vede Israele come unico “male”, tira in causa la Resistenza antifascista italiana combattuta anche dalla Brigata Ebraica in Italia, invitando l’ANPI a non prendere così posizione affermando che anche gli ebrei sono “bravi” perché hanno collaborato alla Resistenza. Un falso sillogismo privo di logica dal momento che la Resistenza antifascista in Italia ha combattuto contro un repressore, ovvero il fascismo. Nessuno ha colpa se oggi molti ex-partigiani ebrei italiani aderiscono al sionismo e sostengono lo stato d’Israele che è nato sul colonialismo contro un intero popolo. E’ assolutamente un dato sociologico che apprendiamo e che ci porta a riflettere come spesso nella storia, senza alcuna ipocrisia, le vittime diventino carnefici. Non si può affermare che essendo stati molti ebrei in prima linea nella Resistenza antifascista allora sia giusto qualsiasi cosa loro ammettano. L’ebraismo è una religione che include moltissimi soggetti che hanno i più svariati orientamenti politici anche se in maggioranza sono fortemente aderenti all’estrema destra religiosa, al conservatorismo liberale del Likud e al suprematismo askenazita. Non credo che questi abbiano legami con i valori dell’antifascismo.

Inoltre le mancanze di Fiano in materia storica e formazione politica emergono in modo molto evidente, dimostrando come appartenga a quella corrente che, a partire dai DS, ha rigettato il mondo della sinistra e le riflessioni elaborate in anni di militanza. Infatti quelli che lui chiama “criminali” preferirebbero una terminologia più appropriata: prigionieri politici. Sono coloro che si trovano in prigione per la sola colpa o di pretendere “un altro mondo possibile” o di lottare per la liberazione del proprio popolo. Quindi in questo senso è molto coerente l’appello della Presidente Nespolo perché chiede la liberazione dei e delle prigionier* politic* palestinesi su esempio di moltissimi partigiani che furono imprigionati per le loro idee.

È l’aspirazione finale a mettere in crisi tutto il discorso, ovvero che i due Paesi “vivano accanto in pace e sicurezza” come se questo non fosse un sogno dei palestinesi ma solo degli israeliani. Anche qua l’ipocrisia risulta patetica perché sappiamo benissimo che chi non vuole mollare è proprio Israele, soprattutto con l’attuale Piano di annessioni del 30% della Cisgiordania e della Valle del Giordano sancite dal governo Netanyau – Gantz e dall’amministrazione Trump, mentre vengono rigettate dall’ONU e dall’UE.

La reazione/risposta della Presenta dell’ANPI Nazionale alle considerazioni di Emanuele Fiano è stata determinata, chiara, lucida, politica e senza timore, ma allo stesso tempo restia, corriva e incompleta. Si conclude con una presa di posizione che non avremmo mai voluto sentire da un’associazione che si occupa di portare avanti un lavoro culturale sulla Resistenza antifascista in Italia e sulla sua carica rivoluzionaria. Carla Nespolo ha dichiarato di essere contenta, sicuramente in buona fede, per la presenza in piazza a Roma per la Palestina di personalità come Massimo D’Alema, la cui ambiguità politica sulla questione è tale da essere stato attaccato, da un lato, da gruppi filosionisti per essere stato, alcune volte, dalla parte della Palestina e, dall’altro, da gruppi filopalestinesi per la sua ambiguità, non avendo mai preso una posizione netta quando è stato al governo. Una posizione si prende o non si prendere perché tutti sono capaci di stare sul filo del rasoio, finendo per essere il rasoio stesso. Anche noi, come la Presidente Nespolo, vorremmo un mondo senza carceri, senza prigionieri politici, senza bambini presenti nelle carceri per la sola colpa di essere palestinesi. È una questione di diritti umani. Ma non desideriamo il giorno in cui si potrà sfilare con le bandiere di Palestina ed Israele nello stesso corteo. Non lo desideriamo per lo stesso motivo per cui non vorremmo che al Popolo Mapuche in Argentina vengano date metà delle loro terre solo perché un “accordo di pace”, in futuro, stipulerà la fine della querelle con la spartizione delle terre tra loro e i Benetton in modo tale che l’oppresso abbia definitivamente perso le sue terre, mentre l’oppressore abbai conquistato almeno parte delle terre non sue. Ovvero sempre qualcosa in più rispetto a prima.

Non risulta che durante la lotta di Resistenza ad un certo punto si sia deciso di fare un patto con i fascisti dividendo l’Italia a metà tra chi voleva l’Italia fascista e l’Italia antifascista. Il processo di liberazione è per sua definizione stravolgente e completo, altrimenti non può essere chiamato tale.

Il popolo palestinese non può cedere e terminare la sua lotta, ma deve resistere con tutte le sue forze dichiarando le sue terre e gli insediamenti illegali coloniali parte dello Stato di Palestina. Quando si arriverà a questo punto chi è stato con la Palestina continuerà a sventolare la sua bandiera per dire al mondo che “resistere all’oppressione si deve e si può fare”.

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