‘È un inferno’: l’incubo burocratico dei palestinesi di Gerusalemme Est

Middleeasteye.net. Nel quartiere di Wadi al-Joz, che significa “Valle delle Noci”, nella Gerusalemme Est occupata, si trova un ramo dell’Autorità per la popolazione e l’immigrazione del ministero degli Interni israeliano.

Registrare una nascita o una morte? Richiedere un passaporto o una carta d’identità? Questo è l’unico posto che fornisce questi servizi ai quasi 300 mila residenti palestinesi di Gerusalemme Est.

Nella maggior parte dei paesi questi servizi di base sarebbero forniti senza problemi – o almeno senza troppi problemi. Ma per i palestinesi a Gerusalemme Est, ottenere servizi essenziali è una dura battaglia.

I residenti e i loro avvocati affermano che i funzionari israeliani della filiale trascinano per le lunghe il loro compito al fine di rendere la vita dei palestinesi così insopportabile da far loro desiderare di lasciare Gerusalemme.

“È un inferno. È proprio un inferno”, dice Erez Wagner, coordinatore del gestore del Centro di consulenza per i lavoratori del WAC-MAAN, con sede a Gerusalemme, un’organizzazione no profit che, insieme ad altri gruppi, si è rivolta all’Alta corte israeliana, all’inizio di quest’anno, per cercare di migliorare condizioni che loro descrivono disumane.

Il tribunale ha stabilito che i rami del ministero di Gerusalemme Ovest dovrebbero fornire alcuni servizi ai palestinesi di Gerusalemme Est, ma anche questa concessione ha sortito pochi cambiamenti reali sul terreno, dice Erez Wagner.

Le sfide che i residenti devono affrontare alla filiale sono solo un aspetto del più ampio enigma dell’occupazione israeliana che ha reso la vita per i palestinesi a Gerusalemme Est un incubo burocratico da decenni.

In seguito all’occupazione israeliana in atto dal 1967, qualsiasi palestinese nato a Gerusalemme Est riceve solo uno status di residenza temporanea, rimanendo di fatto apolide.

Ma anche aggrapparsi a quella residenza temporanea è una sfida. Tra gli altri ostacoli legali, i palestinesi a Gerusalemme devono continuamente dimostrare che la città è il “centro della loro vita” presentando dozzine di documenti tra cui contratti di affitto, buste paga, bollette elettriche e idriche, nonché i pagamenti delle tasse.

I bambini, per poter frequentare le scuole locali e ottenere un’assicurazione sanitaria, devono essere registrati come residenti a Gerusalemme Est, e i matrimoni devono essere registrati in modo che le coppie possano vivere insieme a Gerusalemme Est.

Tutti questi servizi sono disponibili solo presso la filiale, lasciando i palestinesi determinati a continuare a vivere a Gerusalemme Est con una scelta netta: prendersi un avvocato o attendere in fila.

Come una base militare.

Sotto il sole cocente o sotto la pioggia battente, lunghe file di persone di tutte le età tra cui neonati, anziani e persone con bisogni speciali, si snodano regolarmente fuori dalle porte della filiale del ministero a Wadi al-Joz.

Non ci sono ombrelloni per fornire ombra, sedili o servizi igienici e molti di quelli che aspettano saranno venuti prima dell’alba per un posto in fila, come Fida Abbasi, che vive nel quartiere Silwan di Gerusalemme est.

Lo svenimento in coda non è insolito e si sa che le persone malate, che non riescono a resistere per ore, rinunciano a servizi essenziali, secondo HaMoked.

Ma le ore di attesa, passate spesso dovendo avere a che fare con guardie che umiliano le persone in fila, racconta Fida, sono solo la punta dell’iceberg. Dopo essere rimasti fuori, i palestinesi devono passare attraverso cancelli di metallo, dove uomini e donne vengono separati.

Le guardie israeliane quindi chiamano uno ad uno per far passare attraverso i metal detector e perquisire a fondo le borse. Se qualcuno ha una bottiglia d’acqua deve prendere un sorso davanti alle guardie.

Nel 2018, il governo israeliano ha introdotto una app telefonica in lingua ebraica obbligando i palestinesi a registrarsi per un appuntamento in questo modo per ottenere qualsiasi tipo di servizio presso il ministero.

Ma gli unici appuntamenti offerti, hanno detto i residenti a MEE, richiedono un’attesa da sei mesi a un anno. Nel frattempo, coloro che tentano di entrare senza un appuntamento vengono fermati dalle guardie alle porte.

Nell’agosto 2018, quattro dipendenti della filiale di Wadi al-Joz sono stati arrestati, con l’accusa di aver raccolto centinaia di migliaia di shekel in cambio di tempi di attesa rapidi. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, gli investigatori hanno scoperto che i dipendenti avevano prenotato centinaia di appuntamenti e li avevano venduti per centinaia di shekel ciascuno.

Impossibilitati ad assicurarsi appuntamenti tempestivi o a utilizzare la app a causa della mancanza di competenza in ebraico, molti palestinesi a Gerusalemme hanno fatto ricorso alla ricerca di assistenza legale, pagando fino a 500 dollari per essere aiutati semplicemente a prenotare appuntamenti o a compilare domande.

Coloro che possono ricorrere all’assunzione di avvocati privati pagano parcelle di circa  5000 dollari per il ripristino del loro stato di residenza e di circa 10000 dollari per registrare un gran numero di bambini.

Lotta in corso.

Per coloro che non possono pagare, ci sono organizzazioni come il Centro di Azione Comunitaria nella Gerusalemme Est occupata che offre assistenza legale gratuita ai palestinesi a Gerusalemme.

Mohammad al-Shihabi, che dirige il centro, può elencare infiniti esempi di coloro che sono venuti per chiedere aiuto su procedure burocratiche israeliane intenzionalmente difficili.

La maggior parte dei casi, egli racconta, riguarda la registrazione dei bambini e il “ricongiungimento familiare”, una procedura che Israele impone ai palestinesi di Gerusalemme est che sposano palestinesi della Cisgiordania, o a quelli di altre nazionalità.

Nella succursale del ministero degli interni di Wadi al-Joz, continua Mohammad, i palestinesi sono sottoposti a un intenso controllo, interrogati come se fossero funzionari dell’intelligence e trattati in modo dispotico.

Una coppia che egli ha aiutato, entrambi con residenza a Gerusalemme, ha dato alla luce un bimbo in Cisgiordania per ragioni sfuggite al loro controllo, e i funzionari del ministero hanno respinto la loro richiesta di registrare il bambino. La risposta data alla madre in lacrime è stata: “Chi è responsabile del proprio errore merita il peggio”.

Un altro caso, continua Mohammad, è stata una donna di Gerusalemme Est che ha vissuto a Gaza con il marito (di Gaza) fino a quando la coppia non ha divorziato nel 1994. Quando è tornata a Gerusalemme con uno dei suoi figli i funzionari israeliani hanno rifiutato di concederle la residenza perché aveva vissuto a Gaza.

Ancora oggi lei vive in città senza un documento di identità, un conto bancario o un’assicurazione sanitaria, nonostante possieda due case a Gerusalemme e vi abbia vissuto per 25 anni consecutivi.

Il MEE ha tentato di intervistare diversi palestinesi che vivono a Gerusalemme Est sulla loro lotta con il ministero degli interni, ma molti hanno rifiutato, temendo ripercussioni.

Il ministero degli Interni in cifre.

Rami Saleh, capo del Jerusalem Aid Centre and Human Rights Center, ha dichiarato che tra il 2013 e il 2018, 7236 richieste di registrazione di minori presentate nella filiale di Wadi al-Joz sono state approvate su un totale di 9.966, secondo i dati a lui forniti dal ministero.

Gli altri, gli dissero, erano in fase di revisione. Su un totale di 3236 richieste di ricongiungimento familiare ne sono state approvate solo 1534.

Saleh ha detto a MEE di aver contattato il ministero per chiedere perché solo una filiale fornisca servizi a centinaia di migliaia di residenti palestinesi, mentre i residenti israeliani di Gerusalemme possono recarsi in qualsiasi filiale in tutto il paese e ricevere servizi rapidi.

La risposta è stata che i dipendenti della filiale del ministero a Wadi al-Joz sono più esperti nel trattare con residenti temporanei.

All’inizio di quest’anno le autorità israeliane hanno aperto un altro ramo del ministero al posto di blocco militare di Qalandia, che separa la città di Ramallah in Cisgiordania da Gerusalemme. Ma i servizi forniti sono di portata limitata e sono offerti solo in determinati giorni e orari.

Un portavoce del ministero degli interni israeliano ha detto a MEE di essere a conoscenza dei problemi della filiale di Wadi al-Joz e ha dichiarato di aver cercato di alleviare la situazione negli ultimi due anni, fornendo servizi presso l’ufficio di Qalandia e permettendo la prenotazione tramite l’app, che – egli sostiene – fornisce opzioni di appuntamento in poche settimane, non in mesi.

Egli ha anche aggiunto che il ministero sta prendendo in considerazione l’apertura di un altro ufficio a Gerusalemme est.

“Ci teniamo davvero a questo problema e stiamo lavorando per trovare soluzioni in modo che i residenti di Gerusalemme est possano ottenere un servizio migliore e più veloce”, ha spiegato il portavoce in una e-mail.

Ma Erez, coordinatore del WAC-MAAN, ha affermato che i cambiamenti che sono stati fatti non hanno alleviato la maggior parte degli ostacoli che i palestinesi a Gerusalemme Est devono affrontare.

Tutti i palestinesi che si recano all’ufficio di Qalandia, ha sottolineato, devono passare lì il checkpoint due volte – ottenendo solo un numero limitato di servizi.

A Gerusalemme Ovest, che ha filiali di ministero meno affollati e dove l’Alta Corte ha ordinato al ministero di fornire servizi ai palestinesi da Gerusalemme Est, i rami devono ancora apportare cambiamenti sostanziali, ha poi aggiunto.

La maggior parte dei servizi, inclusi il rinnovo dei certificati di residenza e la registrazione dei minori, non viene fornita, i dipendenti non parlano l’arabo e molti di loro, ignari dell’ordinanza del tribunale, finiscono per inviare i palestinesi nella filiale di Wadi al-Joz.

Saleh ha detto che non è uno shock per lui che nulla sia cambiato sul campo, nonostante le lotte in tribunale. “Non sorprende che stiano rifiutando le richieste di migliorare le condizioni per i palestinesi”, ha detto. “Abbiamo a che fare con un’entità coloniale che mira a esaurire i palestinesi gerosolimitani, non ad allentare le restrizioni che li riguardano”.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice