Ex giornalista del Washington Post embedded con Israele

 

E.I. Di Michael F. Brown.

Al Pentagono il gasdotto di Lockheed Martin occasionalmente riceve un controllo come esempio della palude di Washington.

Ancora meno sono sotto i riflettori i movimenti di carriera dei membri del Quarto Potere.

Uno di questi recenti movimenti dovrebbe aver avuto a che fare con i giornalisti e la loro etica: corrispondente del Washington Post da Gerusalemme a dirigente capo delle comunicazioni e consigliere dell’ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite e prossimo ambasciatore degli Stati Uniti, Gilad Erdan.

Questa è la mossa che ha fatto Ruth Eglash. Ha scritto per il Washington Post soltanto in ottobre.

Ora, il suo nuovo capo ha in programma di parlare all’Organizzazione Sionista d’America, gruppo d’odio anti-palestinese, il 27 dicembre, il 12° anniversario del lancio di Israele della prima delle tre guerre contro la Striscia di Gaza.

Electronic Intifada aveva già sollevato delle preoccupazioni sulla politica di Eglash, come quando le piacque un post del figlio del primo ministro Benjamin Netanyahu, Yair, che dichiarava di credere che gli antifascisti e gli attivisti di Black Lives Matter fossero una minaccia più grande per Israele – e forse per tutti gli ebrei del mondo – rispetto ai neonazisti nella strage di Charlottesville, nel 2017, che ha causato la morte di una persona.

Già nel 2013, Ali Abunimah aveva espresso preoccupazione per i clienti e partner stretti di suo marito, tra cui il governo israeliano ed enti sostenuti dal governo israeliano come il ministero del turismo, il Taglit-Birthright Israel e il Jewish National Fund (JNF).

Abunimah scrisse che la risposta del Washington Post era “meno di soddisfacente”. Il problema etico sembra ben posizionato alla luce dell’inizio del lavoro di Eglash per Erdan.

Erdan attacca le organizzazioni americane.

Durante il suo mandato come ministro degli Affari strategici di Israele, per contrastare la campagna non-violenta guidata dalla Palestina di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), Erdan ha attaccato le Organizzazioni americane di pace e giustizia come l’American Friends Service Committee, Jewish Voice for Peace, American Muslims for Palestine, National Students for Justice in Palestine, Codepink e la Campagna statunitense per i diritti dei palestinesi.

Eglash ha amplificato il messaggio di Erdan con un tweet del 2018, attraverso il quale non è riuscita ad evidenziare nessuna obiezione contro l’ipotesi oltraggiosa che le Organizzazioni americane cristiane, musulmane, ebraiche, interreligiose e laiche fossero legate a gruppi che Israele ritiene essere organizzazioni terroristiche.

L’attacco di Erdan, in particolare nel contesto dell’amministrazione anti-palestinese di Trump, ha compromesso un discorso libero e aperto negli Stati Uniti a favore dei diritti dei palestinesi. E ora l’amministrazione Trump ha mandato avanti il Segretario di Stato Mike Pompeo, al fine di sostenere che la posizione del Movimento BDS a favore della parità di diritti per i palestinesi può essere confusa con l’antisemitismo.

Questa presa di posizione contro la parità di diritti non è particolarmente sorprendente da una Casa Bianca nota per la sua supremazia bianca. È, peraltro, una posizione che ha ricevuto incoraggiamento da leader politici israeliani come Erdan e Netanyahu.

Analogamente, Eglash ha promosso il razzismo di Erdan quando ha twittato che “la comunità araba di Israele” – cittadini palestinesi di Israele – “è una società molto, molto violenta”.

Si potrebbe pensare che ciò potesse essere inteso come un’esposizione al razzismo, tranne per il fatto che Eglash sembra non aver twittato una visione contro il razzismo – e, poco più di un anno dopo, ha scelto di lavorare per Erdan.

Chi fa questo? Qualcuno che nutre opinioni razziste anti-palestinesi? Molto probabile, poiché anche coloro che sono abili nel “parlare democratico”, come riferisce Eglash, possono essere profondamente anti-palestinesi.

La farsa di Eglash al Washington Post è finita. Ora abbiamo un’idea più completa di chi sia e in cosa crede ed è antitetico alla parità di diritti per i palestinesi.

Ciò mette i suoi precedenti tweet BDS sotto una luce più chiara.

Nel 2015, Eglash ha twittato due domande sul BDS: “La mia domanda è: quanto è grande la minaccia per il BDS? Sta crescendo?”

Per essere generosi, all’epoca non era chiaro se Eglash intendesse chiedere se il BDS fosse una minaccia per Israele o una minaccia per l’apartheid israeliano.

Tuttavia, gli intervistati l’hanno interpretata come se chiedesse se il BDS fosse una minaccia per Israele, non se fosse una minaccia per l’apartheid israeliano. Ora è lampante che abbiano interpretato correttamente la sua domanda.

Due anni fa Eglash ha twittato una lettera di Erdan indirizzata a Bruce Rauner, che all’epoca era il governatore dell’Illinois. Eglash affermava che Erdan – con parole sue – aveva scritto per chiedere l’aiuto di Rauner “per combattere il BDS, un movimento non interessato alla pace, e dice che Airbnb, rimuovendo gli annunci negli insediamenti israeliani, è ora colpevole, si spera inconsapevolmente, di anti-semitismo”.

Non c’è niente di previsto nel lavoro delle Organizzazioni per la pace e la giustizia per convincere Airbnb a riconoscere l’evidente discriminazione israeliana nei confronti dei palestinesi nei Territori occupati. Non ci sono osservazioni sul fatto che gli insediamenti siano una violazione del diritto internazionale. Lei è semplicemente una stenografa per gli argomenti di Erdan e per contribuire all’espropriazione dei palestinesi.

Promuove ulteriormente l’espropriazione dei palestinesi quando twitta, come ha fatto ieri, un articolo di Newsweek di Erdan che critica “il rifiuto palestinese di riconoscere il nostro diritto di esistere come unico Stato Ebraico al mondo”.

Non ci si può aspettare che i palestinesi si sottomettano come cittadini di seconda classe in uno “Stato Ebraico” più di quanto non ci si possa aspettare che i neri sudafricani tollerino uno status inferiore in uno “Stato bianco” nel Sudafrica dell’apartheid.

Non sorprende che Erdan ed Eglash si siano dovuti rivolgere all’editore anti-palestinese Josh Hammer di Newsweek per inserire l’articolo.

Infine, quando nel 2018 Israele era in procinto di espellere il direttore israeliano e palestinese di Human Rights Watch, Omar Shakir, Eglash ha dato, nei suoi tweet, più attenzione al punto di vista israeliano, compreso quello di Erdan, rispetto alla difesa di HRW. All’epoca, Erdan disse: “Stiamo svelando il vero volto di coloro che promuovono il boicottaggio di Israele”.

Eglash ora ha scelto di lavorare per un uomo che si è adoperato ad espellere da Israele un importante difensore dei diritti umani americano.

Ciò suggerisce fortemente che non ha preso sul serio esperti di diritti umani palestinesi, israeliani o di altri, quando hanno sollevato dubbi su di lei, ma piuttosto ha preferito la versione ufficiale israeliana.

Il Washington Post non ha risposto alle richieste di Electronic Intifada riguardo ai dubbi etici conseguenti al cambio di lavoro di Eglash.

Non esistono linee guida etiche del giornale riguardo a come gestire il cambio di lavoro, ma esse affermano che “il giornalista deve astenersi dall’agire come ausiliario della polizia o di altri servizi di sicurezza”.

La vicepresidente per le comunicazioni del Washington Post, Kristine Coratti, ha dichiarato via e-mail a Electronic Intifada: “Siamo sicuri che Ruth Eglash abbia coperto Israele correttamente e abbia rispettato i nostri standard durante il suo mandato al The Post“.

La risposta dice “ha coperto Israele correttamente”. I palestinesi del territorio occupato da Israele non vengono menzionati nella risposta. Nemmeno il movimento BDS per la libertà palestinese, nonostante sia uno specifico focus d’inchiesta.

In un post su Facebook del 9 novembre in cui Eglash si dichiarava una “EX POST CORRISPONDENTE DI WASHINGTON” ha ricevuto risposte di congratulazioni.

Erdan ha commentato nel documento che Eglash ha condiviso che “la ricchezza di esperienza giornalistica di Ruth e la sua profonda conoscenza dell’attualità saranno estremamente utili alla nostra Nazione”.

Ha aggiunto: “Avere una persona nella mia squadra con una profonda conoscenza dei media per presentare le posizioni di Israele su questioni chiave era della massima importanza per me e il nostro governo”.

La dichiarazione di Eglash nel comunicato la dice lunga: “Una relazione forte tra gli Stati Uniti e Israele e il rendere pubblici i successi di Israele al mondo sono sempre stati una mia passione”.

I palestinesi che ha intervistato per il Washington Post si staranno sicuramente chiedendo come le loro storie di occupazione e spoliazione per mano di Israele si inseriscano nella concezione di Eglash di questi “successi” e di questa sua “passione”.

Lo erano.

Un analista palestinese nella regione, che in precedenza aveva lavorato con Eglash, ha detto a Electronic Intifada che la giornalista del Washington Post “ha passato molto tempo a nascondere le sue reali intenzioni e convinzioni politiche” e ha invece dato l’impressione di opporsi a Netanyahu.

Questo analista ha espresso l’allarme riguardo a molti giornalisti americani e britannici, che lavorano per agenzie straniere, che “hanno preso una posizione” ovvero che è loro “diritto di nascita di venire a vivere come colonizzatori sulla terra palestinese rubata”.

L’analista ha inoltre messo in dubbio la loro obiettività e ha indicato che questa situazione diventa più difficile da accettare quando gli stessi organi di stampa che assumono questi giornalisti non assumeranno palestinesi o americani palestinesi per le stesse posizioni senza sottoporli ad un attento esame.

Ora questo accordo ha portato ad un più alto controllo per i palestinesi, mentre Eglash sta saltando dal The Post per lavorare per “un ministro che era tra i più razzisti del governo Netanyahu”.

I lettori di Eglash dovrebbero chiedersi come la sua mancanza di interesse per la parità di diritti sostenuta dal BDS per i palestinesi e gli ebrei abbia influenzato la sua scrittura.

E il Washington Post dovrebbe porsi alcune difficili domande, anche se è chiaro che dato che ha trattato Israele “equamente”, non è una priorità per il giornale chiedersi come ha trattato i palestinesi.

Traduzione per InfoPal di Silvia Scandolari