“Fino al mio ultimo respiro”: palestinesi di Gerusalemme difendono la terra dai bulldozer di Israele

 

MEE. Di Aseel Jundi. I residenti di Wadi al-Rababa affermano di avere documenti che dimostrano la proprietà risalenti al periodo Ottomano, mentre si scontrano con le forze israeliane chiamate a sostenere le squadre che distruggono la loro terra.

I palestinesi di Wadi al-Rababa sono da tempo in lotta contro i bulldozer israeliani. Ma con un recente aumento delle vessazioni, i residenti hanno accusato le autorità israeliane di aver approfittato della pandemia per impossessarsi della terra che possiedono da generazioni.

Domenica 10 gennaio, i bulldozer israeliani hanno demolito i muri di contenimento, sulla terra di proprietà palestinese, di Wadi al-Rababa e sradicato decine di alberi, dichiarando che le squadre israeliane avrebbero portato avanti pulizia e coltivazione sui terreni agricoli.

Nel tentativo di proteggere il loro ettaro di terra dal sequestro, i giovani palestinesi della famiglia al-Samrin e i loro vicini si sono sdraiati di fronte ai bulldozer israeliani.

Le terre di Wadi al-Rababa nel quartiere Silwan della Gerusalemme Est occupata comprendono circa 21 ettari, sui quali circa 800 palestinesi di Gerusalemme vivono vite precarie a causa delle vessazioni e degli attacchi da parte delle forze israeliane, che tentano di espellerli dalle loro terre.

Nel 2004, la famiglia al-Samrin si è rivolta all’Autorità Territoriale Israeliana per confermare la proprietà della loro terra e il tribunale israeliano ha riconosciuto la loro rivendicazione, aggiungendo che non c’era una decisione di confisca contro di essa.

Tuttavia, le squadre israeliane hanno affermato di avere il permesso di lavorare e che non si sarebbero fermate a meno che non fosse stato emesso contro di loro un ordine del tribunale.

Durante gli ultimi scontri, le squadre hanno convocato la polizia e l’esercito israeliano, guidati dall’unità di al-Yisam, per disperdere i manifestanti palestinesi che ostacolavano il loro operato. La polizia israeliana ha arrestato cinque giovani e ha sparato lacrimogeni e proiettili di gomma verso i residenti, provocando asfissia tra donne e bambini.

Shadi al-Samrin, uno dei giovani che protestavano contro l’operazione israeliana, ha detto che la loro terra era proprietà privata e la sua gente aveva documenti che provano che la loro proprietà risale all’era ottomana.

Shadi ha affermato che la Israel Nature and Parks Authority (INPA) ha tenuto per decenni le terre di Wadi al-Rababa sotto il mirino per l’annessione.

Tuttavia, ha aggiunto, l’INPA ha intensificato i suoi attacchi dopo lo scoppio del Covid-19 lo scorso marzo, a Gerusalemme – una buona opportunità per i bulldozer israeliani di svolgere tali operazioni quando c’erano poche persone per strada ad ostacolare il loro lavoro.

“Mi sdraio davanti ai bulldozer israeliani perché questa terra è il nostro bene più prezioso. Se perdo la mia terra, dopo non ci sarà più nulla da perdere”, ha detto Shadi.

“Mi sono dovuto alzare quando hanno lanciato bombe sonore e gas. Non mi sarei alzato se non fosse stato per mio cugino di 60 anni, Omar, che è stato preso di mira dalle forze israeliane.

“È un uomo anziano e porta un tubo per l’ossigeno sulla schiena; aveva bisogno di aiuto urgente”.

Come sangue nelle loro vene.

Shadi e i suoi vicini hanno affermato di essersi abituati ai ripetuti attacchi da parte del governo israeliano nel corso degli anni. In uno di questi casi di sopruso, le squadre israeliane avevano iniziato a scaricare i rifiuti dei lavori di restauro e ricostruzione da altre aree nelle terre di Wadi al-Rababa.

I residenti della zona, nel frattempo, si alternano continuamente per proteggere le loro proprietà protestando, coltivando le terre o semplicemente rimanendo costantemente presenti.

Riportando alla mente i suoi ricordi del luogo, il 43enne Shadi ha detto che non avrebbe mai dimenticato i bei tempi trascorsi sulla sua terra con i suoi figli, la stagione dell’aratura e la raccolta degli ulivi, nonostante i continui tentativi israeliani di cambiare le caratteristiche della città dopo la sua occupazione nel 1967.

Dopo gli ultimi scontri, Shadi e un avvocato che rappresenta le famiglie palestinesi sono andati presso un tribunale specializzato in casi di emergenza per chiedere un ordine immediato per interrompere il lavoro delle squadre israeliane. Tuttavia, nessuna decisione era stata ancora emessa, quindi erano probabili ulteriori attacchi alle terre nei giorni successivi.

Come se fosse radicato al suolo, il cugino di Shadi, Omar al-Samrin, era rimasto in piedi a piangere e urlare, rifiutandosi di lasciare la sua terra dopo che due giovani palestinesi avevano cercato di allontanarlo dalle bombe a gas israeliane.

“Trascorro cinque ore al giorno sulla mia terra. Ogni volta che vengo qui, mi sembra di andare al parco”, ha detto Omar a MEE.

“Questi alberi sono stati così generosi con me e i miei figli; mi hanno dato tanto della loro bontà quanto io ho dato loro del mio duro lavoro.

“È come il sangue che mi scorre nelle vene e io combatterò per questo, fino al mio ultimo respiro”.

Abdul-Karim Abu Sneineh, capo del comitato di quartiere di Wadi al-Rababa, ha riferito che non ci sono dubbi sull’appartenenza palestinese dei terreni su cui l’INPA sta interferendo.

“L’occupazione non sta combattendo la popolazione palestinese solo con le armi, ma con il potere di leggi arbitrarie, rappresentate nella magistratura israeliana tendenziosa e in altre istituzioni esecutive”.

Progetto di ebraicizzazione.

Abu Sneineh ha spiegato che le terre di Wadi al-Rababa erano divise in due parti: la prima comprendeva le terre occupate nel 1948 e soggette al pieno controllo israeliano; la seconda comprendeva le terre occupate nel 1967, la cui proprietà era palestinese, secondo i documenti di identificazione ottomani e giordani, documenti che ora sono stati manomessi.

“Che ironia è questa? Come può un’agenzia intitolata Nature and Parks Authority sradicare alberi e distruggere terreni agricoli con il pretesto di pulire, coltivare e proteggere la natura?”, si chiede Abu Sneineh.

La pressione israeliana sui residenti di Wadi al-Rababa non si è mai fermata a partire dall’occupazione della parte orientale di Gerusalemme nel 1967, con l’argomentazione secondo cui le terre erano sul sito del cosiddetto Bacino Sacro del “Tempio di Salomone”.

Secondo Abu Sneineh, i soldati irrompevano costantemente nelle case eseguendo perquisizioni, sabotando beni e rubando gioielli. Nel frattempo, le squadre della Municipalità israeliana e le autorità dell’INPA hanno sradicato degli alberi per spingere i residenti ad andarsene.

Il capo del dipartimento delle mappe presso la Arab Studies Society, Khalil al-Tafakji, ha detto che Israele ha sempre usato la religione per raggiungere i suoi obiettivi politici e che ciò che stava accadendo a Wadi al-Rababa ne era un ottimo esempio.

Questo è stato un approccio deliberato seguito dalle autorità israeliane per indirizzare la proprietà di questi terreni agricoli verso un cammino biblico, ha affermato Tafakji. La politica aveva lo scopo di impiantare la narrativa ebraica nella mente dei turisti, dopo il completamento di un ponte sospeso e di un progetto ferroviario.

All’inizio del 2018, le autorità israeliane avevano scavato le fondamenta per un ponte sospeso, che si prevede essere lungo 240 metri e alto 30 metri, e che partirà dal quartiere di al-Thawri, passando per le terre di proprietà palestinese a Wadi al-Rababa, e raggiungendo l’area di dotazione musulmana di al-Dijiani.

Il ponte è parte di un progetto di ebraicizzazione, finanziato dalla Israel Land Authority e dall’Open Spaces Fund, per un costo di sei milioni di shekel (1,9 milioni di dollari).

Il progetto prevede la creazione di Giardini Talmudici, parchi e percorsi turistici israeliani che colleghino la città vecchia con il quartiere di Wadi al-Rababa.

(Nella foto: Shadi al-Samrin esamina i danni arrecati alla terra della sua famiglia. MEE/Aseel Jundi).

Traduzione per InfoPal di Silvia Scandolari