Forum internazionale Al-Quds. Intervista a Abu Marzouk.

 


Istanbul, 17 novembre

Tra i numerosi ospiti del Forum internazionale di Al-Quds, che si è svolto a Istanbul dal 15 al 17 novembre, era presente Mousa Abou Marzouk, leader di spicco di Hamas, e vice-capo dell’Ufficio politico del movimento a Damasco.


Abu Marzouk è nato a Rafah, nella Striscia di Gaza, nel 1951. Ha una laurea in Ingegneria conseguita al Cairo e un Ph.D. in Ingegneria industriale ottenuto negli Stati Uniti, dove ha vissuto tra gli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Nel 1991, Marzouk è stato eletto capo dell’Ufficio politico di Hamas, e si è trasferito in Giordania. Israele lo accuserà della pianificazione di attentati terroristici, tra cui gli attacchi di Afula e Hadera del 1994. Arrestato negli Usa, nel 1995 con l’accusa di inviare soldi a Hamas e ordinare attentati, verrà difeso da un giovane avvocato ebreo americano, Stanley L. Cohen (uno dei relatori al Forum internazionale di Istanbul, ndr). Attualmente vive in Siria.

Durante una conferenza stampa svoltasi venerdì 16, gli abbiamo rivolto alcune domande.

La commemorazione della morte di Yasser Arafat a Gaza ha offerto lo spunto a nuovi scontri sanguinosi tra Fatah e Hamas. Le tensioni interpalestinesi non sembrano avere fine. 

“I fatti di Gaza non sono piacevoli per nessuno, specialmente perché coinvolgono le fazioni palestinesi. Il premier Haniyah ha dato ordine di scarcerare tutte le persone arrestate durante gli scontri e di aprire un’inchiesta su quanto accaduto. Gli incidenti di Gaza sono stati strumentalizzati da altri e il governo sta cercando in tutti i modi di garantire libertà a tutti e più democrazia, quindi non vieta le manifestazioni indette dai movimenti palestinesi. A Ramallah, invece, sta avvenendo il contrario: da mesi sono in corso persecuzioni di aderenti e simpatizzanti e molta propaganda mediatica è diretta contro di noi. Tutto quello che succede viene enfatizzato. Io vi invito a fare il confronto tra Gaza e Cisgiordania così conoscerete la verità. Vi chiedo anche di confrontare i cinque mesi trascorsi dalla presa di potere sulla Striscia e quelli precedenti: scoprirete che i massacri che hanno caratterizzato il periodo antecedente al 14 giugno sono diminuiti notevolmente”.

Che vie ci sono per uscire dalla crisi?

“Hamas sostiene tutti i diritti palestinesi irrunciabili e cerca il dialogo e la coesione interpalestinese senza precondizioni. In tutti gli incontri a Mecca e al Cairo, Hamas ha rispettato gli accordi presi con Fatah e le altre fazioni. Senza dubbio, a partire da quella data, siamo arrivati a un punto che neanche Hamas si aspettava: si è trovata a dover colmare un vuoto e a gestire la situazione di Gaza, ma si è assunto le proprie responsabilità dal primo momento. Tuttavia, non era nei nostri piani creare due governi separati a Gaza e Ramallah. Infatti, abbiamo annunciato da subito che la Striscia e la Cisgiordania rappresentano una “unica realtà” e che il nostro sarebbe stato un governo di transizione che accettava l’autorità del presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas, ndr) e del Consiglio Legislativo. Hamas è disponibile al dialogo interpalestinese come via d’uscita dalla crisi attuale. E’ interessata anche alla ristrutturazione di tutti gli apparati di sicurezza, in modo che vengano trasformati in forze nazionali, e a trovare un accordo per un governo di unità nazionale tra la Striscia e la Cisgiordania. Purtroppo, per ora non si è potuto concludere nulla perché Abu Mazen è stato sottoposto a molte pressioni straniere affinché eviti di giungere a un accordo con Hamas. Finora, tutte le nostre proposte hanno ricevuto come risposta affermazioni e posizioni poco sagge, come le recenti dichiarazioni del delegato palestinese all’Onu. Egli non si è neanche consultato con i Paesi arabi, ma solo con quelli stranieri e ha ricevuto il rifiuto di tutte le altre delegazioni arabe”.

Alla fine di novembre si svolgerà la conferenza di Annapolis organizzata dall’amministrazione Bush. Che cosa succederà se si dovesse risolvere con un ennesimo “nulla di fatto” o con accordi ritenuti negativi per i palestinesi?

“Fino a questo momento non ci sono accordi tra israeliani e palestinesi. La conferenza è, in realtà, un’esigenza americana più che palestinese, per affrontare il problema nucleare iraniano e riallacciare i rapporti tra i paesi “moderati” e lo Stato sionista. Nell’agenda americana non ci sono piani per risolvere l’attuale crisi palestinese: gli Usa chiedono a palestinesi e israeliani di preparare tra loro una bozza per arrivare a un accordo. Fino a questo momento ciò che è stato chiesto ai palestinesi è ben superiore a quanto essi possano sopportare o accettare: ad esempio, la rinuncia al diritto al ritorno dei profughi, l’ebraicizzazione di Gerusalemme. Da Annapolis noi non ci aspettiamo niente di buono. Purtroppo, la debolezza palestinese e quella araba possono essere strumentalizzate da tutti quelli che vogliono “risolvere” la situazione palestinese.

Cosa rispondete a chi vi accusa che vi siete trasformati da un partito di resistenza a uno di potere?

“Si tratta di una propaganda che non ha fine. Fino a ora, le condizioni perché Hamas sia accettata nella comunità internazionale e perché venga tolto l’assedio di Gaza è di abbandonare la resistenza, ma noi rifiutiamo. La resistenza deve essere il motore che unisce i palestinesi affiché possano realizzare i loro obiettivi. Se essi abbandonano la resistenza, non arriveranno da nessuna parte. La resistenza è la direzione da cui Hamas non si è mai allontanata, e da cui non si distaccherà finché verranno realizzati tutti gli obiettivi nazionali.
E’ vero che in Cisgiordania la resistenza è diminuita a causa del Muro dell’Apartheid e dei numerosi arresti, e che nella Striscia di Gaza, dopo il ritiro unilaterale israeliano, si è ridotta al lancio di razzi, ma va detto che essa non non è mai stabile sotto occupazione: a volte cresce a volte diminuisce. Sottolineo che quando parliamo di resistenza intendiamo qualcosa che viene garantito dal diritto internazionale, un diritto del nostro popolo. Quindi, questa situazione di diminuzione delle risposte agli attacchi israeliani va avanti dal 2002 e non ha a che fare con l’entrata in politica da parte di Hamas.
Ricordo, inoltre, che nonostante le tante risoluzioni delle Nazioni Unite contro l’operato di Israele, siamo rimasti quasi l’unico Paese al mondo ancora sotto occupazione”.

Perché Hamas è entrato in politica?

“Per portare a compimento gli obiettivi palestinesi. Quella di diventare un partito politico è la scelta di entrare nella vita palestinese per tutelarne gli interessi. Hamas non è tenuta a rispettare gli accordi siglati dall’Autorità nazionale palestinese negli anni precedenti. L’Autorità palestinese, nata dagli accordi di Oslo, è un paradosso perché la Palestina si trova sotto occupazione e non ha potere ma deve assumersi tutte le responsabilità come se lo avesse. E’ una menzogna politica. La verità è che l’occupazione ha potere in tutti i campi”.

Cosa pensa dell’iniziativa del Forum internazionale di Al-Quds?

<!–[if !supportEmptyParas]–>“Si tratta della seconda conferenza internazionale organizzata dal 1948 a oggi. La prima è stata negli anni ’50, a Gerusalemme. Come è emerso bene in queste giornate di lavori, a cui hanno partecipato va
ri partiti palestinesi,
non ci sono differenze tra noi sulla questione di Gerusalemme.
La resistenza rimane un’opzione per tutti, non solo per Hamas. Anche se Hamas dovesse abbandonarla, ci saranno altre fazioni a portarla avanti. Non può esistere occupazione senza resistenza, e questa rimarrà attiva sia a livello politico sia militare sia culturale”.

A.L. S.J. e altri giornalisti

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