Gianni Riotta e la difesa della Guida universale: un ‘must’ di giornalismo e di geopolitica da non perdere.

Tre sono le possibilità: o l’ex direttore de La Stampa non sa nulla di geopolitica globale e mediorientale, o è in malafede… O ci sta invitando alla guerra…
Da www.corriere.it del 26 agosto.
L’egemonia degli Stati Uniti è deprecata dai tomi del linguista Chomsky e dei suoi copisti nostrani. Hollywood la stigmatizza con Michael Moore, il cantante Manu Chao denuncia «la grande Babilonia», il gruppo di Shanghai, Russia, Cina e Paesi dell’Asia centrale, vuol contrastare «l’egemonismo di Washington».

La crociata contro l’America, alfieri Castro, Chavez, Ahmadinejad e i quotidiani snob inglesi, non si accorge che il mondo soffre della sindrome opposta: la mancanza di guida lascia ogni crisi senza regia, l’Onu preda delle lobbies, le democrazie smarrite. Non è la forza degli Usa a creare problemi, è la debolezza dell’amministrazione di George W. Bush, verosimilmente la Casa Bianca meno efficace dai tempi di Hoover e della Depressione. Avere intravisto il giusto campo di battaglia, la guerra globale del fondamentalismo islamico, avere compreso che senza democrazia non c’è pace duratura e che i diritti umani sono universali non è bastato. Perché gli uomini di Cheney e Rumsfeld hanno dimenticato la massima di Churchill «l’unica cosa peggiore di combattere con al fianco gli alleati è combattere senza alleati».

L’impasse degli Stati Uniti è confermata nel dopoguerra in Medio Oriente. Washington non partecipa alla forza di pace in prima linea, perché ha perduto la credibilità con gli arabi creata da Bush padre nel 1990, e all’Onu ha dovuto scrivere la Risoluzione 1701 a quattro mani con i detestati francesi. Il successo di ieri a Bruxelles, al meeting dell’Unione Europea, presente il segretario Onu Kofi Annan, conferma quanto le guerre asimmetriche in corso debbano essere fronteggiate da una potenza internazionale. La mobilitazione della forza di pace, l’attribuzione del suo comando, e la sua dislocazione tra Libano e Israele non erano né facili, né scontate e, dopo il voltafaccia del presidente francese Chirac, sembravano spacciate. Il presidente Prodi, ringraziato ieri per primo da Annan, ha lavorato tra le sponde dell’Atlantico, ha discusso con Chirac e Bush, anche minacciando di far saltare il banco, se il resto d’Europa avesse troppo nicchiato. Il gioco di sponda tra il premier e i ministri Parisi e D’Alema ha pagato, l’opposizione ha agito con responsabilità e ora Berlusconi, Casini e Fini devono resistere alle sirene demagogiche che, con poco costrutto, li spingono a cercare il vantaggio minuscolo della propaganda che dice sempre di no, dimenticando le scelte strategiche fatte in Iraq e Afghanistan.

Il difficile viene, per tutti, adesso. La zona off limits per gli Hezbollah e le regole di ingaggio potrebbero limitare la violenza del Partito di Dio, ma Annan ha già detto che solo il Libano potrà disarmare la milizia dello sceicco Nasrallah. La diga Onu, anche quando sarà completa, e bene sarebbe negoziare con i turchi perché intervengano, non basterà purtroppo contro Hezbollah. Per dare pace e democrazia al Libano e serenità a Israele occorre che il cerchio intorno al Partito di Dio regga finché a Beirut non siano più salde le forze emancipate da Iran e Siria e tra palestinesi e israeliani riprenda un qualche discorso.
Da Gaza che ribolle con Hamas irriducibile, all’Iran che perseguita la premio Nobel per la pace Ebadi affrettandosi al nucleare, i caschi blu marciano verso un fronte terribile. Le gracili speranze di tregua saranno bruciate subito se Usa ed Europa non torneranno ad operare d’intesa, indirizzando l’Onu. L’Italia dovrà muoversi, in armi e con la diplomazia, perché l’accordo Bruxelles-Onu coinvolga infine anche Usa, Gran Bretagna e Russia, ieri possibilista con il ministro Lavrov. La pace non ha alternative.

Roma e Parigi chiamano Bush
di

Gianni Riotta

26 agosto 2006

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