Pubblichiamo questo chiarificante articolo scritto da un intellettuale di sinistra stimato, il prof. Gianni Vattimo, sulle ragioni della protesta contro la "dedica" a Israele della Fiera del Libro di Torino. E’ snervante leggere pagine e pagine sui principali, e non solo, media italiani, che manipolano la verità dei fatti interpretandola secondo uno schema di accusa pre-confezionato.
Crediamo che nessuno voglia boicottare la cultura israeliana o gli intellettuali israeliani, alcuni dei quali di notevole vivacità e coraggio morale. E’ in grave discussione, invece, la presenza di uno Stato che pratica l’Apartheid, come fu per il Sudafrica, che sta compiendo una feroce pulizia etnica (ethnic cleansing) contro la popolazione palestinese; che ha ridotto la Cisgiordania a tanti banthustan rinchiudendovi in prigione milioni di persone; che ha messo in ginocchio la Striscia di Gaza, con un assedio e boicottaggio – questo sì- davvero criminale; che non rispetta nemmeno una delle tante risoluzioni delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza Onu.
Queste sono le carte in gioco. Non c’è livore anti-semita (una terminologia ormai molto trendy e abusatissima), né odio verso gli ebrei. Chi boicotta è perfettamente in grado di distinguere tra Israele e ebraismo, tra ebrei e israeliani. E perfino tra israeliani e israeliani: infatti, ci sono intellettuali, giovani refusenik, obiettori di coscienza al servizio militare nei territori palestinesi il cui coraggio e coerenza non hanno pari nel panorama asfittico della sinistra italiana. Di questi, i nostri grandi e mediocri media non parlano mai, ovviamente. Sono troppo scomodi. Meglio far scrivere i vari Oz, Yehoshua, Grossman, oppio per i popoli e per i politici che non vogliono o non hanno le competenze per capire cosa significhi "pacifismo" israeliano e chi ne sia davvero promotore.
Infopal.it
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Gianni Vattimo: Perché boicotto Israele
Confesso: sono uno dei pochissimi che finora hanno firmato un appello
per il boicottaggio dellinvito di Israele come ospite donore alla
prossima Fiera del Libro di Torino.
Se tutti i grandi giornali italiani fanno a gara nel deprecare questo
boicottaggio, vuol dire che la minaccia dellantisemitismo non è poi
così incombente. Ma non di questo credo si debba discutere. Linvito
a Israele – che, a quanto ne so ma forse sbaglio, ha sostituito
improvvisamente quello che era già stato avviato per avere ospite
questanno l’Egitto – è oggetto di un boicottaggio politico, perché
politica è liniziativa della Fiera. Chi ci accusa, noi boicottatori,
di voler «imbavagliare» gli scrittori israeliani, o è in mala fede o
non sa quel che si dice.
Sono argomenti terribilmente simili a quelli usati nella recente
polemica sullinvito al Papa a tenere la lezione magistrale alla
Sapienza di Roma: anche qui sarebbe in gioco la libertà di parola, il
valore supremo della cultura, il dovere del dialogo. Dialogo? Nel
caso della Sapienza, si sa che razza di dialogo era previsto. Il Papa
sarebbe stato ricevuto come il grande capo di uno Stato e di una
confessione religiosa, in pompa magna, così magna che persino la
semplice possibilità di una manifestazione di pochi studenti
contestatori a molte centinaia di metri di distanza lo ha fatto
desistere dal proposito. Questo caso di Israele alla Fiera è lo stesso.
Chi boicotta non vuole affatto impedire agli scrittori israeliani di
parlare ed essere ascoltati. Non vuole che essi vengano come
rappresentanti ufficiali di uno Stato che celebra i suoi sessantanni
di vita festeggiando lanniversario con il blocco di Gaza, la
riduzione dei palestinesi in una miriade di zone isolate le une dalle
altre (per le quali si è giustamente adoperato il termine di
bantustan nel triste ricordo dellapartheid sudafricana), una
politica di continua espansione delle colonie che può solo
comprendersi come un vero e proprio processo di pulizia etnica. È
questo Stato, non la grande cultura ebraica di ieri e di oggi
(Picchioni e Ferrero hanno forse pensato di invitare alla Fiera Noam
Chomsky o Edgar Morin?) che la Fiera si propone di presentare
solennemente ai suoi visitatori, offrendogli un palcoscenico
chiaramente propagandistico, certamente concordato con il governo
Olmert (che del resto sta offrendo lo stesso «pacchetto» anche alla
Fiera del libro di Parigi, due mesi prima che a Torino).
Nei tanti articoli che ci sommergono con deprecazioni e lezioni
moralistiche sul dialogo (andate a parlarne a Gaza e nei territori
occupati!) e la libertà della cultura, non manca mai, e questo è
forse laspetto più vergognoso e francamente scandaloso, il richiamo
allOlocausto. Vergogna a chi (magari anche essendo ebreo, come
quelli che si riuniscono nellassociazione «Ebrei contro
l’occupazione») rifiuta di accettare la politica aggressiva e
razzista dei governi di Israele. Chi boicotta la Fiera di Torino
boicotta «gli ebrei» (PG Battista) e dimentica (idem) i
rastrellamenti nazisti e lo sterminio nei campi. Uno studioso ebreo
americano, Norman G. Finkelstein, ha scritto su questo vergognoso
sfruttamento della Shoah un libro intitolato significativamente
Lindustria dellOlocausto (in italiano nella Bur). Proprio il
rispetto per le vittime di quello sterminio dovrebbe vietare di
utilizzarne la memoria per giustificare lattuale politica israeliana
di liquidazione dei palestinesi. Nessuno dei «boicottatori» nega il
diritto di Israele allesistenza. Un diritto sancito dalla comunità
internazionale nel 1948; proprio da quellOnu di cui Israele, negli
anni, non ha fatto che disattendere con arroganza i richiami e le
delibere.
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