Giornata internazionale del Rifugiato: chi sono i rifugiati palestinesi?

A cura dei Giovani Palestinesi d’Italia.  Giornata internazionale del Rifugiato: chi sono i rifugiati palestinesi?
Oggi, 20 giugno, si celebra la giornata internazionale del rifugiato. I palestinesi rappresentano la comunità di rifugiati più longeva della storia. I rifugiati palestinesi costituiscono il 42% della popolazione dello Stato di Palestina e il 70% della popolazione palestinese nel mondo: in particolare, 1.6 milioni (il 26% della popolazione palestinese nello Stato di Palestina) sono registrati presso i campi profughi dell’UNRWA nei Territori Palestinesi Occupati, inclusa Gerusalemme Est. Tuttavia, è nella Striscia di Gaza che si conta il maggior numero di rifugiati palestinesi (66% della popolazione palestinese): quasi 500.000 vivono in uno degli 8 campi profughi della Striscia di Gaza. La questione dei rifugiati palestinesi è «la terza core issue, insieme a quella dei confini e dello status di Gerusalemme, affrontata nei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi per giungere ad una composizione definitiva e durevole del conflitto». In base alla definizione dell’UNRWA, che si ricollega alla Risoluzione n. 194 (III) del 1948 dell’Assemblea Generale delle Nazione Unite, i «rifugiati palestinesi» sono definiti come quelle persone la cui residenza abituale era in Palestina durante il periodo compreso tra il 1° giugno 1946 e il 15 maggio 1948, e che hanno perso la propria casa e i propri mezzi di sostentamento a seguito della guerra arabo-israeliana-palestinese del 1948 (quindi a seguito dell’emanazione della Risoluzione n. 181 del 1947 sul piano di partizione della Palestina).

Il primo esodo palestinese: Nakba (1948).
I rifugiati palestinesi si dividono in due gruppi principali, che corrispondono alle due più importanti ondate migratorie dalla Palestina. Il gruppo più numeroso è sicuramente composto dai palestinesi che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case a seguito del conflitto del 1948, quindi della proclamazione dello Stato d’Israele e la Nakba palestinese. Il numero totale ammonta a 6 milioni ed include i 4.5 milioni di rifugiati registrati con l’UNRWA e 1.5 milioni di rifugiati che non si registrarono per l’assistenza con l’UNRWA. Il primo vero e proprio esodo palestinese si verificò tra dicembre 1947 e settembre 1949, come risultato della pulizia etnica della Palestina, in particolare con Piano Dalet di espulsione dei nativi palestinesi dalla Palestina, ideato da David Ben Guiron, dalla campagna di demolizione e distruzione dei villaggi palestinesi, della guerra arabo-israeliana-palestinese del 1948, del piano di Partizione dell’Onu del 1947 e dell’armistizio del 1949. Tra 600 mila e 760 mila palestinesi furono espulsi dai territori della Palestina che divennero parte integrante del neo-stato ebraico e la maggior parte di loro si rifugiarono nella Striscia di Gaza, controllata dall’Egitto, e in Cisgiordania, controllata dalla Giordania. Molti dei rifugiati che si recarono in Cisgiordania, forse 350 mila dei totali 450 mila palestinesi che si rifugiarono in Giordania prima e dopo la guerra del 1948, provenivano dai villaggi e dalle città palestinesi della zona centrale, come Lod, Ramle e Yafa, mentre coloro che si rifugiarono a Gaza provenivano dalla zona costiera meridionale.32 I rifugiati palestinesi che si recarono in Libano e in Siria erano originari della Galilea e della zona costiera centrale, come Haifa.

Il secondo esodo palestinese: Guerra dei Sei Giorni (1967).
Il secondo gruppo è composto dai rifugiati del 1967, in seguito alla guerra dei Sei Giorni e alla conseguente occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, e si suddivide a sua volta in due categorie fondamentali: i first-time displaced refugees e i second-time 1967 displaced refugees. Tale distinzione viene effettuata per distinguere i primi dai rifugiati palestinesi del 1948, i quali furono nuovamente dislocati a seguito della guerra dei Sei Giorni. Il dato del 2018 sul gruppo dei rifugiati palestinesi del 1967 ammonta a 1.237.462 (il 14,2% della popolazione totale dei rifugiati palestinesi). Pertanto, «il numero di persone che hanno lasciato la propria area di residenza durante o in seguito all’occupazione israeliana del giugno 1967 è di circa 550.000 persone. Tra queste, 200.000 (di cui 95.000 erano rifugiati già registrati con l’UNRWA) si sono spostate dalla Cisgiordania alla Giordania».

Il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e la Risoluzione n.194 (III) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La Risoluzione n.194 (III) fu emanata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1948 e disciplina specificamente il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi in Palestina. La Risoluzione n.194 (III) dichiara senza ambiguità e secondo i principi del diritto internazionale consuetudinario che lo Stato d’Israele doveva permettere ai rifugiati palestinesi dislocati durante il conflitto del 1948 di poter esercitare il loro diritto al ritorno. In particolare, è all’articolo 11 che vengono delineati il diritto al ritorno, risarcimento e restituzione dei rifugiati palestinesi.
Il diritto al ritorno è acquisito come norma consuetudinaria nel diritto internazionale ed è una delle soluzioni che l’UNHCR si prefigge di portare avanti per la risoluzione del problema dei rifugiati.
Oltre alla Risoluzione n.194 (III), la Risoluzione n.273 delle Nazioni Unite disciplina la stessa ammissione dello Stato d’Israele tra i Membri delle Nazioni Unite, vincolando tuttavia
lo Stato sionista ad adempiere alla Risoluzione n.181 del 1948 dell’Onu – con
particolare accento sullo status quo di Gerusalemme come capitale condivisa tra lo Stato
d’Israele e lo Stato di Palestina – e alla Risoluzione n.194 (III) dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, garantendo quindi il diritto al ritorno dei rifugiati
palestinesi.
Lo Stato d’Israele obietta il suo adempimento alla Risoluzione n.194 (III), argomentando il fatto che tale risoluzione è stata emanata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e non dal Consiglio di Sicurezza delle stesse. In materia di rifugiati palestinesi e del loro diritto al ritorno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è espresso con l’emanazione della Risoluzione n.237 del 14 giugno 1967, richiamando lo Stato d’Israele al rispetto del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e alla facilitazione della sua esecuzione. Tuttavia, tale risoluzione prende in esame solo i rifugiati palestinesi vittime della Guerra dei Sei Giorni nel 1967.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha emanato altre risoluzioni a seguito
della n.194 (III) in materia di diritto al ritorno. Tra le più importanti citiamo la Risoluzione n.3236 del 22 novembre del 1974, la quale riafferma il diritto inalienabile dei palestinesi al ritorno alle loro case d’origine. Tale risoluzione enfatizza il carattere inalienabile del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi in Palestina, che non può quindi né essere ceduto né può terminare.

Le violazioni dello Stato d’Israele.
Lo Stato d’Israele ha portato avanti un intento di snazionalizzazione dei rifugiati palestinesi. La snazionalizzazione è considerata praticamente assolutamente illegale secondo le norme del diritto internazionale, il quale quest’ultimo contempla il requisito di riammissione.
Mentre lo Stato d’Israele non permetteva – e non permette fino ad oggi – ai rifugiati
palestinesi l’esercizio del loro diritto al ritorno, disciplinato dalle disposizioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza, nell’ordinamento giuridico dello Stato sionista venivano promulgate due leggi, tutt’oggi in piena validità, che definiscono chi si può definire israeliano: la legge del Ritorno per gli Ebrei della Diaspora del 1950 e la Legge sulla Nazionalità del 1952. La legge del Ritorno per gli Ebrei della Diaspora, approvata dalla Knesset nel 1950 ed emanata nel 1970, stabilisce che qualsivoglia persona nel mondo che voglia emigrare e stabilirsi in Israele può farlo e acquisire così la cittadinanza israeliana, se è in grado di dimostrare che è ebrea. La Legge sulla Nazionalità del 1952 impone stretti requisiti per i non ebrei: essi dovevano essere presenti all’interno dei confini dello Stato d’Israele stabiliti dall’armistizio nel 1949.198 Nel caso dei rifugiati palestinesi del 1948, molti di loro non potevano trovarsi fisicamente all’interno dello Stato d’Israele, pertanto è possibile affermare che la Legge sulla Nazionalità del 1952 porti con sé un intento di snazionalizzazione di un gruppo di persone, ossia i rifugiati palestinesi del 1948, violando pertanto le regole del diritto di cittadinanza. Infine, la Legge sullo Stato-Nazione emanata dal parlamento israeliano a luglio del 2018 riconosce il diritto al ritorno e all’autodeterminazione esclusivo del popolo ebraico, violando così anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. La stessa Unione Europea ha criticato fortemente la Legge sullo Stato-Nazione del 2018, in particolare sul riconoscimento del diritto all’autodeterminazione esclusivo per il solo popolo ebraico, minando così la minoranza arabo-palestinese con cittadinanza israeliana. Tenendo presente il caso dei rifugiati palestinesi, ai quali Israele non permette l’esecuzione del proprio diritto al ritorno, e se prendiamo in considerazione l’articolo 1 della Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione Razziale, adottata dall’Onu del 1965 ed entrata in vigore nel 1969, la Legge del Ritorno per gli Ebrei della Diaspora del 1950 e la Legge dello Stato-Nazione del 2018 potrebbero essere considerate due leggi essenzialmente razziste.

I campi profughi palestinesi.
Più di 800.000 rifugiati in Cisgiordania residenti in circa 20 campi profughi, tra i quali: il campo profughi Balata che si trova nella città di Nablus e ospita circa 27.000 persone, il 60% delle quali di età inferiore ai 25 anni. Per ordine di sovraffollamento abbiamo poi il campo profughi di Tulkarem, Askar e Jenin, rispettivamente con 21.000 residenti in un’area di 0.18 kmq, 18.000 nel campo profughi Askar e 14.000 residenti in quello di Jenin. Tutti i campi profughi hanno un alto tasso di disoccupazione, sovraffollamento e scarsa infrastruttura.La Striscia di Gaza, invece, ospita 8 campi profughi, i campi profughi più grandi per numero di rifugiati sono il campo di Jabalia che ospita circa 114.000 rifugiati in un’area di soli 1,4 kmq e il campo di Rafah con 125.304 rifugiati. Il campo di Khan Younis, invece, ospita 87.816 rifugiati. Uno dei campi profughi più sovraffolati è il campo sulla Spiaggia che si trova sulla costa mediterranea nell’area di Gaza City ed è conosciuto con il nome di “Shati”, il campo ospita 85.628 rifugiati che risiedono in un’area di soli 0,52 kmq. Sovraffollamento, carenza di alloggi, alta disoccupazione ed accesso limitato alle risorse idriche ed elettriche a causa del blocco della Striscia di Gaza con drammatico deterioramento delle condizioni socio-economiche.

(Immagine di copertina: La chiave all’ingresso del campo profughi palestinesi di Aida a Betlemme, simbolo del diritto al ritorno).

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