Giustizia negata ai palestinesi: la Corte israeliana respinge il ricorso della famiglia al-Daya

Pchr. Il 5 settembre 2012, la Corte centrale israeliana ha fornito un’ulteriore prova sulla complicità della magistratura con l’impunità di Israele e la negazione della giustizia ai palestinesi. La Corte centrale ha di fatto respinto il ricorso presentato a nome della famiglia al-Daya, che ha perso 22 dei suoi membri a causa dell’Operazione Piombo Fuso. La Corte ha dichiarato che le vittime sono cadute durante un’operazione militare e Israele non è responsabile per la loro morte. Il Centro palestinese per i Diritti umani (Pchr), in qualità di rappresentante legale dell’unico superstite della famiglia, è stato informato della decisione, il 10 settembre 2012.

I giornali israeliani, riportando le parole del giudice che ha emesso il verdetto, hanno scritto: “Le vittime non rientravano tra gli obiettivi prescelti. In tutte le guerre, ci possono essere degli errori che possono provocare delle vittime da entrambe le parti. Nelle guerre, ciascuna delle parti coinvolte è pienamente responsabile per i danni subiti dai suoi membri o dai civili, ma non per i danni causati all’altra parte”.

Nel corso dell’Operazione Piombo Fuso, le forze di occupazione israeliane (Foi) hanno bombardato una casa appartenente a Fayez Misbah al-Daya, nel quartiere di al-Zaytoun ad est di Gaza City. La casa di tre piani è stata distrutta, e 22 dai suoi 23 abitanti sono stati uccisi.

Il Pchr ha seguito il caso della famiglia al-Daya dal 23 gennaio 2009. L’11 febbraio 2009, ha presentato una denuncia civile all’ufficio risarcimenti del ministero della Difesa israeliano. Il 18 maggio 2009, il Pchr ha presentato una denuncia penale alla Procura militare israeliana. Tali denunce non hanno avuto nessun esito, perciò, il 19 agosto 2010, il Pchr ha presentato ricorso dinanzi al tribunale israeliano.

Nel luglio 2009, le forze israeliane hanno ammesso che “le errate informazioni fornite dall’Intelligence hanno portato i caccia israeliani a bombardare la casa della famiglia al-Daya, provocando 22 morti tra i suoi membri”. Non è sufficiente accettare semplicemente il ragionamento del giudice israeliano, secondo cui si è trattato di un errore che, tuttavia, esime Israele dalla sua responsabilità, sostenendo che le vittime sono cadute durante un’operazione militare. Si tratta di vittime civili, protette ai sensi della Quarta convenzione di Ginevra.

Il fatto che Israele abbia riconosciuto il suo errore indica che le Foi non hanno preso le necessarie precauzioni, richieste dai regolamenti internazionali, durante l’attacco, tra cui  l’accertamento che gli obiettivi non siano né proprietà né persone civili. La natura criminale dell’attacco che ha provocato la morte dei 22 membri di una famiglia, tra cui 13 bambini, e 6 corpi mai recuperati, è insindacabile.

Questa nuova decisione da parte dei tribunali israeliani evidenzia ulteriormente la complicità tra la magistratura israeliana e le Foi. Inoltre, conferma ciò che il Pchr ha sperimentato nei tribunali israeliani, cioè che la magistratura israeliana copre sistematicamente i crimini commessi dalle Foi per esonerare queste ultime dalle loro responsabilità. Inoltre, tutto ciò spiega come la lotta intrapresa dal Pchr per ottenere il diritto alla giurisdizione universale, rappresenti un passo nella direzione giusta per garantire la giustizia ai palestinesi, in quanto questi ultimi non avranno mai la possibilità di ottenerla da un tribunale israeliano.

Il Pchr ricorrerà in appello a quest’ultima decisione israeliana, e utilizzerà tutti i mezzi legali possibili perché sia fatta giustizia. Tenendo conto del fatto che il giudice ha basato la propria decisione sulla modifica 8 alla Tort Law – responsabilità dello Stato, quest’ultima definisce lo stato di guerra, ed è stata adottata nel luglio 2012. Nella sua decisione, il giudice israeliano ha  citato articoli contenuti nell’emendamento appena entrato in vigore. Egli ha applicato una nuova definizione di un atto di guerra alla causa in questione, nonostante ci sia un’esplicita disposizione che non consente all’emendamento di essere applicato retroattivamente: ciò significa che la sua applicazione al caso della famiglia al-Daya è illegale.

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