“Gli scafisti hanno affondato il barcone, poi sono rimasti a guardarci affogare”

Pozzallo-Repubblica.it. “Li hanno ammazzati, ci hanno affondato perché volevano trasferirci su un’altra barca più piccola. Eravamo oltre 500, uno sopra l’altro, e quando ci hanno detto che dovevamo andare su quell’altra barca ci siamo rifiutati perché saremmo sicuramente finiti in fondo al mare. A quel punto gli scafisti, quelli che ci avevano caricato nel porto di Damietta in Egitto, ci hanno speronato fracassando la prua e siamo finiti tutti in mare. Noi ci siamo salvati, ma gli altri, centinaia di persone, sono tutte annegate”. 

Quante? Hamed, 16 anni appena, palestinese e dimesso dall’ospedale di Pozzallo l’altro ieri adesso si trova con altre decine di coetanei nel reparto riservato ai minori del centro d’accoglienza di Pozzallo, ancora frastornato e parla con un altro suo connazionale, anche lui sopravvissuto alla carneficina di venerdì scorso nelle acque tra la costa maltese e quella ragusana. “Quelli come me che sono stati salvati dalla nave (il mercantile “Pegasus”, battende bandiera panamense, ndr) siamo stati in 9 o dieci. Tutti gli altri, centinaia di persone, intere famiglie con bambini sono morti, finiti in fondo al mare”.
I responsabili di quell’omicidio di massa sulla quale ora sta indagando la Procura di Catania per il reato di “strage”, sono  fuggiti con quel barcone che era la “cabina di regia della morte” e sono già probabilmente rientrati in Egitto pronti ad organizzare altre traversate. “Erano in tre o quattro – racconta il ragazzo palestinese sopravvissuto alla tragedia – gli stessi che ci avevano prelevato il 6 settembre scorso dal capannone vicino a una spiaggia, in Egitto. Perché eravamo lì, in attesa di partire da alcune settimane. In 500, molti palestinesi, tanti siriani e sudanesi: tutti prigionieri in quel capannone vicino a Damietta. Quando siamo partiti il mare era per fortuna molto buono, ma su quel barcone eravamo tantissimi e avevamo paura di affondare. Durante la navigazione che è durata due o tre giorni, non ricordo bene, ci avevano fatti spostare da un barcone all’altro. Abbiamo cambiato barca almeno tre volte, poi i trafficanti dalla loro imbarcazione ci avevano ordinato di trasferirci su un’altra barca ancora, molto più piccola di quella sulla quale stavamo navigando a pelo d’acqua, rischiando di rovesciarci da un momento all’altro. Molti di noi si sono rifiutati perché saremmo sicuramente affondati. “Non possiamo andare su quella barca, come facciamo a entrarci tutti?”, chiedevamo agli scafisti. A  certo punto, dopo molti minuti gli scafisti si sono arrabbiati e ci hanno speronato facendoci cadere tutti in mare”.
Molti sono annegati subito, altri hanno tentato di aggrapparsi a qualunque cosa galleggiasse. “Chiedevamo aiuto mentre stavamo per annegare e “loro” (gli scafisti, ndr) ci guardavano come se fossero al cinema. Scomparivano uno dopo l’altro, il mare ci inghiottiva velocemente, molti di noi, compreso me, non sapevamo nuotare, io prima di allora non l’avevo mai visto il mare. In sette oppure otto ci siamo aggrappati a un salvagente ma con il passare delle ore molti non ce l’hanno fatta e siamo rimasti solo in due, io e un altro ragazzo, mio connazionale che indossava un giubbotto salvagente. Poi è sparito anche lui. Altri stavano aggrappati a dei piccoli pezzi di legno e la corrente se li portava via. Per molte ore, non so quante, siamo rimasti in acqua in quelle condizioni”.
Hamed e gli altri otto sopravvissuti sono stati salvati dal mercantile Pegasus che a bordo aveva già oltre 300 naufraghi raccolti in mare durante la navigazione. “Quando ho visto quella grande nave che avanzava lentamente ho alzato una mano per chiedere aiuto, non avevo più voce né forza. Ho avuto paura perché pensavo che non mi vedessero. Invece, per fortuna, non è stato così. Hanno calato una piccola barca in mare e mi hanno salvato”.
Hamed adesso spera di lasciare Pozzallo per raggiungere alcuni parenti che si trovano in nord Europa. “Lì, in Norvegia, ho alcuni cugini che molti anni fa sono riusciti a partire dalla Palestina e vivono tranquilli e felici. Lavorano e mandano soldi a casa ed è quello che ho promesso di fare anch’io a mio padre e mia madre quando sono partito per raggiungere l’Europa. Spero di riuscirci”.