Greenwashing israeliano: piantumare il Negev per negare le terre ai beduini palestinesi

Di L.P. Arriva l’ennesima “pitturata di verde” che da anni attraversa le politiche ambientali del regime sionista: rendere fertile il deserto. Un branding che saltuariamente viene ripresentato al mondo.

Da sempre Israele, per mostrarsi come Paese Faro nello “sviluppo eco-sostenibile”, ha puntato molto sulla possibilità di creare il giardino dell’Eden sulla Terra, trasformando il deserto in una immensa serra in barba a tutto il delicato ecosistema del deserto. È da anni che il Negev vive una crisi ecologica ed idrica data dal falso mito dell’oasi verde propinato da Israele.

Secondo l’Israel Land Authority il piano, che interessa 40.000 dunum, servirebbe a “preservare gli spazi aperti e la natura dal controllo illegale”, cosa che risulta illogica dal momento che il Negev è stato tolto dal controllo delle popolazioni beduine locali già da molti anni, concentrandolo nelle mani degli occupanti israeliani.

In linea con la devastazione ambientale, con la crisi idrica che il lago di Tiberiade vive da molti anni per la “fertilizzazione” del Negeve, Israele usa strumentalmente il “progresso eco-sostenibile”, che nulla ha di ecologico, per una nuova piantumazione di una parte del Negev con il fine di negare ai residenti beduini palestinesi l’accesso alle loro terre, alcune delle quali oggetto di azioni legali riguardo la proprietà e alcune delle quali sono utilizzate per l’agricoltura. La Society for the Protection of Nature in Israel (SPNI) afferma che questa mossa avrebbe anche ripercussioni distruttive e impattanti per l’ambiente tipico del deserto.

Lunedì scorso il Comitato Interministeriale di Coordinamento ha discusso il piano che ha approvato. Israel Skop, della Israel Land Authority, dirige la commissione che Israele ha voluto per l’approvazione di tutti i progetti di “impianti agricoli”, da quando è stata presentata la petizione di SPNI all’Alta Corte di Giustizia contro le piantumazioni anti-ecologiche dell’ILA e sulla base della violazione delle procedure di pianificazione.

Recentemente è stato svolto un lavoro nelle vicinanze del villaggio beduino, non ancora riconosciuto ufficialmente, di Hirbat Al-Watan, a est di Tel Sheva, dove vivono 4.500 persone. La piantumazione del Negev è sempre stata una costante, usata dalle autorità israeliana nelle lunghe campagne di rebrandizzazione, per dare un’immagine esemplarizzata a fini di marketing dello Stato, ma ora il Comitato ha deciso di iniziare a piantare alberi solo in alcune terre.

In questo caso, i residenti si sono rivolti al Ministro dell’economia e dell’industria Amir Peretz, che è responsabile dell’Authority for Development and Settlement of the Bedouin, il quale si è attivato per fermare i lavori inutilmente dal momento che l’ILA ha l’autorizzazione per continuare i lavori.

I lavori sono stati interrotti, poi ripresi e poi successivamente interrotti dopo le proteste delle comunità beduine, ma ciò non ha fermato l’ira di Bezalel Smotrich, il legislatore di estrema destra che ha subito chiesto spiegazioni al Primo Ministro Netanyahu per l’interruzione di “un atto sionista di impareggiabile importanza”.

Ovviamente il danno ecologico dato dalla piantumazione e la negazione delle terre ai beduini palestinesi sono coperti dalla grande immagine dello sviluppo eco-sostenibile.

Non solo, perché il greenwashing israeliano vive di slogan come “Israele sensibile all’ambiente”, mentre è lo stesso Stato che oggi ha ordinato lo sradicamento di 230 ulivi, piantati su un terreno di 2 ettari nella città di Deir Istiya (Salfit). Un bulldozer delle IOF ha demolito persino una casa di 170 mq in fase di costruzione, appartenente a Radi Mere’i nel villaggio di Qarawat Bani Hassan nel Governatorato di Salfit.

Questa è la sensibilità ecologica che il sionismo conosce: distruzione ambientale, profitto e occupazione.