Hannoun (Api): “L’emergenza sanitaria in Palestina dura da 70 anni”

Ventuno.news. Di Lorenzo Poli. La questione palestinese si è aggravata con la crisi sanitaria da Covid-19 da tutti i punti di vista: medico, sanitario, politico e militare. La Palestina risulta essere ancor di più un territorio militarizzato da parte di Israele, spesso prendendo come scusanti il Covid-19 e i “motivi di sicurezza”. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Mohammad Hannoun, presidente dell’Abspp (Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese – onlus) e presidente dell’Api (Associazione dei Palestinesi in Italia).

Mohammad Hannoun. Foto da Facebook

L’emergenza sanitaria in Palestina non nasce sicuramente l’anno scorso con la pandemia da Covid-19, ma molto prima con l’assedio sanitario verso Gaza, anche durante l’operazione Piombo Fuso. Dove ha le sue origini? 

«Direi che è da 70 anni che il popolo palestinese sta pagando un prezzo carissimo a causa dell’occupazione israeliana, per le sue politiche discriminatorie contro i palestinesi e questo è avvenuto nel corso degli anni attraverso il degrado delle strutture socio-sanitarie e il divieto di cure adeguate all’estero, impedendo a tantissimi palestinesi di uscire dal territorio palestinese con un decreto militare.

Per non parlare dell’emergenza sanitaria nelle carceri israeliane, un dramma che continua ormai da decenni, vedendo moltissimi prigionieri palestinesi perdere la vita a causa delle mancate cure. Decine e decine di prigionieri palestinesi. Tuttora migliaia e migliaia di prigionieri stanno pagando a carissimo prezzo perché in carcere non vengono curati e non gli vengono garantite cure adeguate. I prigionieri politici vengono usati come topi di laboratorio, essendogli somministrati calmanti che non curano le malattie.

Dal 2006, da quando c’è l’embargo su Gaza, questo tipo di emergenza è salito alle stelle. Le guerre contro la Striscia di Gaza hanno visto la distruzione totale di alcuni ospedali e l’apparato medico paramedico ha dovuto pagare per il caos scatenato dai missili israeliani che hanno colpito decine di ambulanze con a bordo il personale medico.

L’emergenza sanitaria attraversa gli ospedali palestinesi dove scarseggiano i medicinali di prima necessità. Il 50% circa dei medicinali di prima necessità è inesistente nei vari ospedali e da quando c’è la pandemia da Covid-19 tutto si è aggravato.

Israele sta operando contro i cittadini gazawi e, l’ultima volta alcune settimane fa, ha impedito ad un cargo di vaccini anti-Covid di raggiungere Gaza. Questa punizione collettiva nei confronti della popolazione gazawi è una politica israeliana che prosegue da ormai 70 anni e ci sono tantissime persone ammalate che non possono ricevere le cure adeguate e non possono raggiungere le strutture ospedaliere in Cisgiordania, come prevedono gli accordi firmati tra autorità palestinesi e israeliane. Si impedisce in tutti i sensi alla popolazione gazawi di ribellarsi contro le autorità che gestiscono politicamente le strutture ospedaliere dei Gaza».

Queste emergenze sanitarie, nel corso degli anni, hanno permesso ad Israele di alzare il grado di repressione e militarizzazione nei Territori Occupati? 

«Certo, purtroppo questa è l’arma che Israele usa per ricattare i cittadini palestinesi sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza attraverso una politica di ricatto. Spesso gli israeliani usufruiscono delle situazioni di disperazione della popolazione a cui serve raggiungere gli ospedali a Gerusalemme o in Cisgiordania, promettono che potranno raggiungere quei luoghi solo se collaborano con le autorità israeliane, diventando in poche parole “collaborazionisti” e lavorando contro il proprio popolo. Purtroppo quando la gente è debole delle volte cede a questi ricatti, mentre gli altri palestinesi vengono arrestati ai check-point sia entrando in Cisgiordania sia rientrando nella Striscia di Gaza».

Un check-point. Foto via Pixabay

Le case farmaceutiche israeliane hanno sempre detenuto il monopolio dei farmaci in Palestina. Quale ruolo hanno esercitato a discapito della sistema sanitario palestinese? 

«Non c’è alcuna autonomia per la Palestina dal punto di vista farmaceutico. Noi palestinesi siamo un mercato per le case farmaceutiche israeliane e questo purtroppo permette loro di darci i farmaci che vogliono e quando vogliono; di fare un blocco farmaceutico, un assedio sanitario come quello che c’è a Gaza. Possono fare quello che vogliono e quando vogliono, sempre in un’ottica di punizione collettiva contro la popolazione palestinese».

Con la crisi sanitaria da Covid-19, la Palestina ha vissuto e vive sulla propria pelle l’occupazione coloniale e la mancanza di assistenza sanitaria. Cosa è successo? 

«Questo è quello che succede e si vedono i risultati nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania con i vaccini. Israele è il primo Paese al mondo che ha già finito di vaccinare la sua popolazione, mentre ai palestinesi tutto è sottoposto a ricatto. Se tu paghi un prezzo per quello che vogliono allora puoi avere benefici, altrimenti non ti fanno passare né medicine né vaccini. E nemmeno merce.

Israele non ha adempiuto ai suoi doveri di Stato occupante, calpestando, ancora una volta, il diritto internazionale: sia per l’annessione illegale di territori, sia per non aver provveduto al rifornimento di medicinali ai palestinesi sotto occupazione. Purtroppo questo diritto è calpestato tutti i giorni in Palestina e quando si tratta dei diritti del popolo palestinese questo diritto viene violato in continuazione.

Il territorio controllato dall’Autorità palestinese oggi è diviso in tre categorie (A, B e C – per ordini amministrativi) e le autorità palestinesi che dovrebbero gestirlo non lo fanno. Israele può intervenire nella gestione di tutte le risorse palestinesi: risorse idriche, agricole, logistiche e stradali che collegano le varie città in Cisgiordania.

Se un soldato israeliano mette la sua auto di traverso per non far transitare le persone, facendoci un check-point, ha tutta il diritto di farlo e tutti i cittadini gli devono obbedire. Se ti avvicini per chiedere chiarimenti lui può spararti con qualsiasi scusa. Così sei tu che diventi il “terrorista” mentre lui ha solo “svolto la sua funzione”».

Secondo lei, la militarizzazione della pandemia Covid-19 sul territorio palestinese è servita anche come scusante da parte di Israele per inasprire la repressione e l’occupazione coloniali? 

«Israele non rispetta i suoi doveri nei confronti del popolo occupato. Se Israele ha già finito di vaccinare la sua popolazione, i palestinesi hanno ricevuto solo qualche migliaia di dosi di vaccini destinati alla popolazione di Gaza, di cui non ha permesso il transito.

L’apartheid sanitaria è molto chiara, specialmente nella città di Gerusalemme in cui si vive uno stretto embargo. L’economia palestinese vive grazie ai cittadini della Cisgiordania e, se questi cittadini non possono raggiungere Gerusalemme, come si può sopravvivere? Il cittadino di Gerusalemme è quello che paga più tasse per Israele e se lui non lavora e non guadagna come può andare avanti? Il cittadino di Gerusalemme nel suo terreno di proprietà non può costruire la sua casa. E se fa domanda per una licenza possono passare anche 10, 20 o 30 anni prima che arrivi questo permesso.

Così i palestinesi vivono in modo precario anche la condizione abitativa. Israele usa questo per ricattare i gerosolimitani, per obbedire agli ordini e per farli diventare dei “collaborazionisti” del regime sionista in due forme: la forma più grave avviene quando li lasciano vivere per 50-60 anni nella loro casa facendoli firmare un documento in cui alla tua morte la tua casa e la tua terra passa di proprietà alle autorità israeliane. Oppure succede che, nei Territori Occupati Palestinesi, arrivi l’ordine militare dal Comune di Gerusalemme che afferma che la tua casa è senza licenza anche se è stata costruita 20 o 30 anni prima. Può capitare che sia il Comune a mandarti i bulldozer israeliani per demolirti la casa. Poi ti lasciano scegliere se pagare i compensi per il bulldozer, quindi circa 20-30 mila dollari, o se autodemolire l’abitazione dandoti uno o due giorni di tempo. Queste operazioni sono aumentate drasticamente in un anno di crisi sanitaria.

Non solo, attraverso il muro dell’apartheid, che ha separato una parte grande dei cittadini residenti a Gerusalemme, all’improvviso molti sono diventati “cittadini non residenti”. A Gerusalemme, per poter arrivare al posto di lavoro, i palestinesi devono fare lunghe ore di viaggio e, così facendo, hanno separato l’operaio dal suo luogo di lavoro, hanno separato gli insegnanti delle loro scuole, gli studenti dalle loro scuole, e così via. Hanno nuovamente ripulito etnicamente la popolazione palestinese e, con la scusa del Covid-19, hanno influenzato la vita delle persone e spinto verso la chiusura della moschea di Al-Aqsa.

Gerusalemme. Foto via Pixabay

Si poteva lasciare aperta con il distanziamento fisico e con tutte le regole che valgono per tutti i cittadini, ma invece l’hanno chiusa ai cittadini palestinesi musulmani, mentre i coloni sono liberi di entrare nella moschea e profanarla. Loro possono entrare e uscire con una scorta della polizia israeliana, mentre i musulmani palestinesi non possono raggiungere il loro luogo sacro.

L’apartheid sanitario in Palestina non è altro che un’aggravante di tutto ciò che i palestinesi vivono quotidianamente. Israele ha sfruttato la pandemia per occupare e militarizzare ancora di più la Palestina con opere di demolizione, pulizia etnica e mancanza di medicinali».

In questo clima d’emergenza come si svolgeranno le elezioni in Palestina annunciate dall’Autorità Nazionale Palestinese e rinviate a tempo indeterminato da Abu Mazen? 

«Spero che si facciano queste elezioni. Israele, insieme all’Autorità Nazionale Palestinese, sta facendo dei sondaggi orientati verso una vittoria assoluta della parte palestinese pro – accordo di Oslo. Si cercherà di facilitare lo svolgimento dell’elezione, però temo una ripetizione dell’esperienza del 2006. Tutta la comunità palestinese è consapevole che Abu Mazen non ha il consenso né della metà né del 30% della popolazione palestinese, per cui fare le elezioni è una “vittoria” come nel 2006: fare di tutto per escludere dallo scenario politico gli oppositori di Oslo che credono nella resistenza contro l’occupazione israeliana. Questo è quello che io prevedo da osservatore palestinese lontano dalla Palestina.

Foto via Pixabay

Al Fatah impedirà a tutti coloro che sostengono il movimento della resistenza palestinese e che si oppongono all’accordo di Oslo, come Marwan Barghouti, di candidarsi, perché la risposta dell’autorità israeliana potrebbe essere immediata: l’arresto. Hanno annunciato in parole chiare che chiunque si azzarda a candidarsi nelle liste di Hamas verrà arrestato immediatamente. Secondo me non ci saranno candidati di Hamas in Cisgiordania, perché questo vuol dire il suicidio politico: candidarsi nelle liste di Hamas vuol dire finire in carcere. Dunque, non sono ottimista su queste elezioni, perché lo scopo non è democratico, ma è cercare legittimità estera – anche con l’elezione di Biden negli Usa – con il fine di non rimanere in isolamento internazionale. Spero che queste elezioni si svolgeranno in un clima democratico e civile in modo tale che il popolo palestinese possa decidere il suo governo, ma non sono fiducioso».