I bambini palestinesi – soli e abbandonati – nel carcere israeliano di Al Jalami

child_captured_idfThe Guardian. Speciale: il sistema militare giudiziario di Israele è accusato di maltrattare i bambini palestinesi arrestati per il lancio di pietre.

La camera è poco più larga del materasso sottile e sporco che copre il pavimento. Dietro ad un muro basso di cemento si trova un gabinetto alla turca, la cui puzza non ha vie di uscita dalla camera senza finestre. Le pareti in cemento grezzo scoraggiano qualsiasi attività, la luce accesa costantemente non permette di dormire. La distribuzione del cibo attraverso una fessura situata nella parte inferiore della porta è l’unico modo per scandire il tempo, dividendo il giorno dalla notte.

Questa è la Cella 36, nel profondo del carcere di Al-Jalami, nel nord di Israele. Questa è una delle poche celle nelle quali i bambini palestinesi vengono rinchiusi in isolamento per giorni o anche per settimane. Un sedicenne ha affermato di essere stato rinchiuso nella Cella 36 per 65 giorni.

L’unico momento di fuga è in direzione della stanza per gli interrogatori nella quale i bambini vengono incatenati, mani e piedi, ad una sedia mentre vengono interrogati, a volte per ore.

La maggior parte di loro è accusata di aver lanciato pietre verso i soldati o i coloni; alcuni di aver scagliato bottiglie molotov; pochi altri, di reati più gravi come legami con organizzazioni di militanti o l’utilizzo di armi. I bambini vengono messi alle strette anche per ottenere informazioni sulle attività e le simpatie dei loro compagni di classe, parenti o vicini di casa.

All’inizio quasi tutti rigettano le accuse. Moltissimi di loro affermano di essere stati minacciati; altri denunciano violenze fisiche. Gli insulti verbali – “Sei un cane, sei un figlio di puttana” – sono comuni. Molti sono spossati dalla privazione del sonno. Giorno dopo giorno vengono incatenati alla sedia per poi ritornare ad essere confinati in isolamento. Alla fine molti firmano confessioni per poi in seguito dichiarare di esservi stati costretti.

Queste affermazioni e descrizioni provengono da dichiarazioni giurate fornite da minori ad una organizzazione internazionale per i diritti umani e da interviste condotte dal Guardian. Anche altre celle nelle carceri di Al-Jalami e Petah Tikva vengono utilizzate per il confino in isolamento, ma la Cella 36 è quella citata più spesso in queste testimonianze.

Ogni anno i militari israeliani arrestano dai 500 ai 700 bambini, la maggior parte dei quali accusati di lanciare pietre. Fin dal 2008 Defence for Children International (DCI) ha raccolto testimonianze giurate di 426 minori detenuti nel sistema giudiziario militare di Israele.

child-detainedLe loro dichiarazioni mostrano uno scenario di arresti notturni, mani legate con fascette di plastica, bende agli occhi, abusi fisici e verbali e minacce. Circa il 9% di coloro che hanno fornito testimonianze giurate dicono di essere stati tenuti in isolamento, sebbene sia stato registrato un incremento al 22% negli ultimi sei mesi.

Solo pochi genitori vengono informati su dove i loro figli sono stati portati. I minori vengono interrogati raramente alla presenza di un genitore, ed altrettanto raramente vedono un avvocato prima o durante l’interrogatorio iniziale. La maggior parte di loro vengono detenuti all’interno di Israele, rendendo quindi le visite dei familiari molto difficoltose.

Le organizzazioni per i diritti umani affermano che questi tipi di trattamento – che sono confermati in una ricerca separata, No Minor Matter, condotta da un gruppo israeliano, B’Tselem – violano la convenzione internazionale per i diritti dell’infanzia, che Israele ha ratificato, e la Quarta Convenzione di Ginevra.

Molti bambini sostengono la loro innocenza per i crimini dei quali vengono accusati, nonostante le confessioni e le dichiarazioni di colpevolezza, ha detto Gerard Horton del DCI. Ma, ha aggiunto, colpevole o innocente non è un problema che riguarda invece il loro trattamento.

“Non stiamo dicendo che i reati non sono stati commessi – stiamo dicendo che i bambini hanno diritti legali. Indipendentemente da ciò di cui sono stati accusati, non dovrebbero essere arrestati nel mezzo della notte in raid terrificanti, non dovrebbero essere dolorosamente legati e bendati a volte per ore, infine dovrebbero essere informati sul loro diritto al silenzio e dovrebbero avere il diritto che uno dei loro genitori sia presente durante gli interrogatori”.

Mohammad Shabrawi, 16 anni, della città di Tulkarem in Cisgiordania, è stato arrestato lo scorso gennaio attorno alle 2.30 di notte. “Quattro soldati sono entrati nella mia camera da letto e mi hanno detto ‘tu devi venire con noi’. Non mi hanno spiegato il perché, non hanno detto niente né a me né ai miei genitori”, ha spiegato al Guardian.

Ammanettato con una fascetta di plastica e bendato, ritiene di essere stato portato prima in un insediamento israeliano, nel quale é stato fatto inginocchiare – ancora ammanettato e bendato – per un’ora su di una strada asfaltata nel pieno del freddo notturno. Un secondo spostamento è terminato circa alle 8 del mattino nel centro di detenzione di Al-Jalami, conosciuto anche come carcere Kishon, tra i campi vicino alle strade per Nazareth ed Haifa.

111554326Dopo un controllo medico di routine, Shabrawi è stato portato nella Cella 36. Ha passato 17 giorni in isolamento qui, a parte durante gli interrogatori, ed in una cella simile, la n. 37, ha detto. “Ero solo e spaventato tutto il tempo e avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Mi sentivo soffocare per il fatto di essere solo. Avevo bisogno disperato di incontrare qualcuno, di parlare con qualcuno… Ero così annoiato che quando ero fuori [dalla cella] e vedevo la polizia, loro mi parlavano in ebraico ed io, che non lo parlo, annuivo come se avessi compreso. Sentivo un bisogno disperato di parlare”.

Durante gli interrogatori, restava incatenato. “Loro mi hanno imprecato addosso ed hanno minacciato di arrestare i miei familiari se non avessi confessato”, ha detto. Il primo avvocato lo ha incontrato dopo 20 giorni dal suo arresto, ha riferito, ed è stato accusato dopo 25. “Mi hanno accusato di parecchie cose”, ha detto, aggiungendo che nessuna di queste era vera.

Alla fine Shabrawi ha confessato di appartenere ad una organizzazione messa al bando ed è stato condannato a 45 giorni. Da quando è stato rilasciato, ha affermato, “è impaurito dall’esercito, teme di essere arrestato”. Sua madre ha dichiarato che è divenuto più introverso.

Ezz ad-Deen Ali Qadi di Ramallah, che aveva 17 anni quando è stato arrestato lo scorso gennaio, ha descritto un trattamento simile durante l’arresto e la detenzione. Ha detto di esser stato in isolamento ad Al-Jalami per 17 giorni nelle celle 36, 37 e 38.

“Ripetevo a me stesso le domande degli interrogatori, chiedendomi se quello di cui mi accusavano era vero o no”, ha detto al Guardian. “Senti la pressione della cella. Poi pensi alla tua famiglia, e ti senti come se perderai il tuo futuro. Ci si trova sotto uno stress enorme”.

IMG_8221Il modo in cui veniva trattato durante gli interrogatori dipendenva dall’umore di chi lo interrogava, ha affermato. “Se lui era di buon umore, a volte ti permetteva di sedere sulla sedia senza manette. Oppure poteva obbligarti a sedere su una piccola sedia con un cerchio di ferro dietro. Quindi attaccava le mani al cerchio e le gambe a quelle della sedia. A volte potevi stare in questo modo per quattro ore. E’ doloroso.

“A volte si prendono gioco di te. Ti chiedono se vuoi acqua, e se dici di sì te la portano, ma poi se la beve chi sta facendo gli interrogatori”.

Ali Qadi non ha potuto vedere i suoi genitori per tutti i 51 giorni in cui è stato detenuto prima del processo, ha dichiarato, e gli è stato permesso di vedere un avvocato soltanto dopo 10 giorni. E’ stato accusato di lancio di pietre e di pianificare operazioni militari, e dopo aver confessato è stato condannato a 6 mesi di carcere. Il Guardian ha raccolto testimonianze giurate da altri 5 adolescenti che hanno detto di essere stati detenuti in isolamento ad Al-Jalami e Petah Tikva. Tutti hanno confessato dopo gli interrogatori.

“L’isolamento distrugge la psicologia di un bambino”, ha detto Horton. “I bambini affermano che dopo una settimana circa di questo trattamento, confessano semplicemente per uscire fuori dalla cella”.

L’Agenzia per la Sicurezza di Israele (ISA) – conosciuta anche col nome di Shin Bet – ha dichiarato al Guardian: “Nessuno degli interrogati, compresi i minori, viene tenuto da solo in cella come misura punitiva o per ottenere una confessione”.

Il servizio penitenziario israeliano non ha risposto a domande specifiche riguardo all’isolamento, dicendo solo “la incarcerazione di prigionieri… è soggetta a controlli legali”.

I detenuti minorenni dichiarano inoltre che per gli interrogatori vengono utilizzati metodi crudeli. Il Guardian ha intervistato il padre di un minorenne che sta scontando una pena di 23 mesi per aver lanciato pietre contro alcuni veicoli. Ali Odwan, di Azzun, ha detto che al suo Yahir, che aveva 14 anni quando è stato arrestato, sono state date scosse elettrice con un Taser mentre veniva interrogato.

“Ho fatto visita a mio figlio in carcere. Ho visto i segni delle scosse elettriche su entrambe le sue braccia, si potevano vedere da dietro i vetri. Gli ho chiesto se erano dovuti alle scosse elettriche, lui ha soltanto annuito. Aveva paura che qualcuno potesse ascoltarlo”, ha detto Odwan.

97174063Il DCI ha testimonianze giurate raccolte da tre minori accusati di lanciare pietre che denunciano di aver subito scosse elettriche durante gli interrogatori nel 2010.

Un altro giovane di Azzun, Samir Saher, aveva 13 anni quando è stato arrestato alle 2 della notte. “Un soldato mi ha tenuto a testa in giù e mi ha portato vicino ad una finestra dicendo: ‘Voglio buttarti giù dalla finestra’. Mi hanno picchiato alle gambe, allo stomaco e in faccia”, ha aggiunto.

Chi lo ha interrogato lo accusava di lancio di pietre ed ha chiesto i nomi degli altri amici che avevano lanciato sassi. E’ stato rilasciato senza accuse dopo circa 17 ore dal suo arresto. Ora, ha detto, ha difficoltà a dormire per la paura “che arrivino di notte e mi arrestino”.

In risposta alle domande riguardanti i presunti maltrattamenti, comprese le scosse elettriche, l’ISA ha detto: “Le denunce che i minori palestinesi siano stati soggetti a tecniche di interrogatorio che comprendono le percosse, periodi prolungati con le manette, minacce, calci, abusi verbali, umiliazioni, isolamento e impedimento del sonno sono totalmente infondate… Gli investigatori agiscono secondo la legge e linee guida univoche che vietano queste azioni”.

Il Guardian ha visionato anche rare immagini registrate degli interrogatori di due bambini, di 14 e 15 anni, del villaggio di Nabi Saleh, fermati durante le proteste settimanali contro i vicini insediamenti. Entrambi sono visibilmente esausti dopo essere stati arrestati nel mezzo della notte. I loro interrogatori, iniziati circa alle 9 e 30 del mattino, si protraggono per quattro o cinque ore.

Non viene detto loro del diritto legale di rimanere in silenzio, e ad entrambi vengono poste ripetutamente domande tendenziose, tra le quali anche se alcune determinate persone li abbiano incitati a gettare pietre. Ad un certo punto, dato che un ragazzo appoggia la testa sul tavolo, l’investigatore gli dà un colpo, urlando: “Alza la testa”. Durante l’interrogatorio dell’altro ragazzo, un investigatore sbatte ripetutamente il pugno chiuso nel palmo della sua mano in un chiaro gesto minaccioso. Il ragazzo scoppia in lacrime, dicendo che quella mattina doveva avere un esame a scuola. “Mi bocceranno, perderò l’anno”, dice singhiozzando.

In nessuno dei casi vi era presente un avvocato durante i loro interrogatori.

La legge militare israeliana è stata applicata in Cisgiordania da quando Israele ha occupato i territori, più di 44 anni fa. Da allora, oltre 700.000 palestinesi, uomini, donne e bambini sono stati arrestati con ordinanze militari.

Secondo l’ordinanza militare 1651, l’età per la responsabilità criminale è 12 anni, ed i bambini sotto i 14 anni sono soggetti ad un massimo di 6 mesi di carcere.

Tuttavia, bambini di 14 e 15 anni potrebbero, in teoria, essere condannati fino a 20 anni per aver lanciato un oggetto ad un veicolo in movimento con l’intento di offendere. Nella pratica, la maggior parte delle sentenze va dalle due settimane ai 10 mesi, secondo il DCI.

Nel settembre 2009 è stato istituito un tribunale militare speciale per i minorenni. Si riunisce ad Ofer, un carcere militare fuori Gerusalemme, due volte alla settimana. I minorenni vengono portati al tribunale con le gambe incatenate e bendati, indossando le uniformi marroni del carcere. I procedimenti sono in ebraico con traduzioni sporadiche fornite da soldati che parlano arabo.

Il servizio penitenziario israeliano ha riferito al Guardian che l’utilizzo di misure di contenimento in pubblico è stato permesso nei casi in cui “vi sia una ragionevole preoccupazione che il prigioniero possa evadere, causare danni a proprietà o persone, o danneggiare le prove o cercare di ottenere prove”.

Il Guardian ha testimoniato un caso questo mese di due ragazzi, di 15 e 17 anni, che hanno ammesso di essere entrati illegalmente in Israele, lanciando bottiglie molotov e pietre, dando il via ad un incendio che ha causato danni estesi e vandalizzato alcune proprietà. L’accusa ha chiesto una sentenza che tenga conto dei ‘motivi nazionalistici’ degli accusati e che agisca come deterrente.

Il ragazzo più grande è stato condannato a 33 mesi di carcere; il più giovane, a 26 mesi. Entrambi sono stati condannati ad altri 24 mesi per il momento sospesi, e sono stati multati di 10.000 shekhels (£1.700). Il mancato pagamento della multa significa ulteriori 10 mesi di carcere.

Molte delegazioni parlamentari britanniche erano presenti alle udienze degli adolescenti ad Ofer durante tutto lo scorso anno. Alf Dubs ha riferito alla House of Lord lo scorso maggio, dicendo: “Abbiamo visto un quattordicenne ed un quindicenne, uno dei quali in lacrime, entrambi osservare completamente sconcertati… Non credo che questo metodo di umiliazione rappresenti la giustizia. Credo che il modo in cui questi giovani vengono trattati sia esso stesso un ostacolo alla realizzazione da parte di Israele di un rapporto di pace col popolo palestinese”.

Lisa Nandy, parlamentare di Wigan, che è stata testimone del processo di un quattordicenne incatenato ad Ofer il mese scorso, ha trovato l’esperienza angosciosa. “In cinque minuti è stato considerato colpevole di lancio di pietre ed è stato condannato a nove mesi. E’ stato scioccante vedere un bambino buttato dentro questo processo. E’ difficile pensare che una soluzione [politica] possa essere raggiunta quando i giovani vengono trattati in questo modo. Alla fine loro si trovano con poca speranza per il futuro e molto arrabbiati per il loro trattamento”.

Horton ha detto che le dichiarazioni di colpevolezza sono “la strada più veloce per uscire dal sistema”. Se i bambini affermassero che le loro confessioni sono state estorte “potrebbero avere difesa legale – ma poiché per loro la cauzione non è prevista, resterebbero in detenzione di più che se si fossero semplicemente dichiarati colpevoli”.

Una perizia scritta da Graciela Carmon, uno psichiatra per l’infanzia e membro del Physicians for Human Rights, nel maggio 2011, afferma che i bambini erano particolarmente vulnerabili per aver fornito una confessione falsa sotto coercizione.

“Sebbene alcuni detenuti comprendano che fornire una confessione, nonostante la loro innocenza, avrà ripercussioni negative in futuro, confessano in ogni caso dato che l’immediata angoscia mentale e/o psicologica che provano passa sopra alle implicazioni future, qualunque esse siano”.

Quasi tutti i  casi documentati dal DCI sono terminati con una dichiarazione di colpevolezza e circa tre quarti dei minorenni condannati sono stati trasferiti in carceri all’interno di Israele. Questo viola l’art. 76 della quarta convenzione di Ginevra, la quale richiede che i bambini e gli adulti dei territori occupati siano detenuti all’interno dei territori stessi.

I militari della difesa israeliana (IDF), responsabili degli arresti in Cisgiordania, ed il sistema giudiziario militare hanno stabilito il mese scorso che quest’ultimo sia “rafforzato dall’impegno di assicurare i diritti agli accusati, da imparzialità giuridica e che ponga l’accento sulla messa in pratica delle norme legali internazionali in situazioni incredibilmente pericolose e complesse”.

L’ISA ha detto che i propri addetti hanno sempre agito secondo la legge, e che ai detenuti sono stati riconosciuti tutti i loro diritti, compreso il diritto al consulente legale e alle visite da parte della Croce Rossa. “L’ISA respinge categoricamente tutte le accuse riguardanti gli interrogatori dei minorenni. In effetti, e’ vero invece il contrario – le linee guida dell’ISA garantiscono ai minori protezioni particolari proprio a causa della loro età”.

Mark Regev, portavoce del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato al Guardian: “Se i detenuti pensano di essere stati maltrattati, soprattutto nel caso dei minorenni… è veramente importante che queste persone, o le persone che le rappresentano, escano allo scoperto e sollevino tali questioni. Il test per una democrazia è proprio come viene trattata la gente incarcerata, la gente in prigione, e soprattutto quando si tratta di minori”.

Il lancio di pietre, ha aggiunto, è sempre stato un comportamento pericoloso che ha avuto come risultato la morte, lo scorso anno, di un padre e del suo bambino.

“Gettare pietre, gettare bottiglie molotov ed altre forme di violenza sono inaccettabili, e le autorità per la sicurezza devono porvi fine quando accadono”.

Gruppi per i diritti umani sono preoccupati per l’impatto che avrà a lungo termine la detenzione dei minorenni palestinesi. Alcuni bambini la intendono all’inizio come una prova di coraggio, credendo che sia un rito di passaggio, ha detto Horton. “Ma quando vi sedete con loro per un’ora o più, sotto questa patina di spavalderia vi sono bambini alquanto traumatizzati. Molti di loro”, ha detto, “non vogliono più vedere un soldato o andare vicino ad un posto di blocco”. Lui pensa che il sistema funzioni come deterrente? “Sì, lo penso”.

Secondo Nader Abu Amsha, il direttore del YMCA di Beit Sahour, vicino a Betlemme, che gestisce un programma di riabilitazione per i ragazzi, “le famiglie pensano che quando il bambino viene rilasciato, sia la fine del problema. Noi diciamo loro che invece è solo l’inizio”.

In seguito alla detenzione molti bambini presentano sintomi di traumi: incubi, sfiducia negli altri, paura per il futuro, sensazioni di impotenza e di viltà, comportamento ossessivo compulsivo, pipì a letto, aggressività, rinuncia e mancanza di motivazioni.

Le autorità israeliane dovrebbero prendere in considerazione gli effetti a lungo termine, ha detto Abu Amsha. “Non pongono l’attenzione su come tutto questo possa solo continuare il circolo vizioso della violenza, di come ciò possa far aumentare l’odio. Questi bambini escono fuori da questi processi con un mucchio di rabbia. Alcuni di loro sentono il bisogno di  vendicarsi”.

“Puoi vedere bambini che sono completamente distrutti. Fa male vedere il dolore di questi bambini, vedere quanto vengono oppressi dal sistema di Israele”.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi