I cittadini di Hebron vivono tra paura, omicidi e restrizioni

Betlemme- Ma’an. Di Charlie Hoyle. La risposta di Israele al susseguirsi di violenze dall’inizio di ottobre è stata una serie di restrizioni che non si erano mai viste nella città vecchia di Hebron, in cui i cittadini ora vivono costantemente nella paura, tra le uccisioni commesse dall’esercito israeliano e attacchi dei coloni ebrei.

Nelle recenti settimane a Hebron, la città più grande nella Cisgiordania occupata, si sono susseguiti molti episodi di violenza, e almeno un terzo dei 70 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano erano residenti del distretto. Nove di questi sono stati colpiti a morte nella città vecchia la scorsa settimana.

La città non è nuova alle restrizioni e alla violenza. Gli oltre 800 coloni ebrei sono protetti da oltre 1600 soldati israeliani – il doppio rispetto al numero dei coloni – che si mescolano agli oltre 30.000 palestinesi residenti.

Dal 26 ottobre, quasi tutte le uccisioni sono avvenute in uno dei 18 posti di blocco militari disseminati nella città vecchia, in posizioni strategiche in modo da proteggere i coloni ebrei, residenti abitanti nel cuore di Hebron.

“La vita nella città vecchia si è fermata” ha detto a Ma’an Issa Amro, attivista dei diritti umani per Youth Against Settlement (Gioventù Contro l’Insediamento).

“I posti di blocco si trovano fuori dalle case, quindi nessuno va a trovare più nessuno. Hanno tutti paura che i propri figli o figlie possano essere colpiti da un proiettile mortale”.

Le nuove restrizioni nella città vecchia, precisamente nell’area H2 sottoposta interamente al controllo dell’esercito israeliano, fanno parte di una massiccia operazione di controllo del centro di Hebron, potere economico che conta per un terzo del PIL della Cisgiordania.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), dal 2000 circa 1829 negozi sono stati chiusi, e il 77% dei residenti vive al di sotto della soglia di povertà.

La scorsa settimana le autorità israeliane hanno ordinato di chiudere i negozi rimanenti, e agli uomini palestinesi di età tra i 15 e i 25 anni è stato vietato il passaggio ai posti di blocco se non residenti. L’area è stata dichiarata zona militare chiusa.

“Molti palestinesi ci hanno detto che attraversare i posti di blocco israeliani nella città vecchia li rende nervosi”, ha riferito funzionario di Amnesty International dopo una visita di controllo nella zona.

“Questo accade per via dell’aumento del numero di palestinesi uccisi in queste settimane in circostanze ancora da chiarire o in cui l’uso della forza letale era totalmente ingiustificato”.

Uno dei tanti casi è quello di Saad al-Atrash, 19 anni, ucciso lo scorso 26 ottobre a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane a un posto di blocco fuori dalla moschea Ibrahimi.

Un testimone ha riportato ad Amnesty International di aver visto, dopo l’uccisione, i soldati israeliani portare un coltello e metterlo in mano al ragazzo morto.

Altri testimoni hanno riferito all’ufficio per i diritti umani che il ragazzo è stato colpito sei o sette volte, mentre cercava la carta d’identità in tasca.

Gli stessi testimoni hanno poi dichiarato che è stato lasciato dissanguare per circa 40 minuti, e i soldati non gli hanno fornito alcun tipo di assistenza medica.

Burns spiega che per poter dichiarare legittimo l’uso della forza intenzionale bisogna porre una minaccia imminente alla vita, e il solo possesso di un coltello non rappresenta un  motivo valido per uccidere.

“Nei casi in cui non accade questo, come l’uccisione di al-Atrash, di fatto si può dire che le uccisioni sembrerebbero esecuzioni stragiudiziali”.

Tre giorni dopo la morte del ragazzo un altro palestinese, identificato come Mahdi al-Muhtasib, 23 anni, è morto a colpi di arma da fuoco vicino la moschea Ibrahim.

Un video mostra un soldato che spara al ragazzo, steso per terra visibilmente ferito e incapace di reagire, dopo aver già subito un  colpo.

“In base ai video e altre prove, crediamo che il caso di Mahdi al-Muhtasib lo scorso 29 ottobre dovrebbe essere esaminato come un’esecuzione stragiudiziale”, ha detto Burns.

“I palestinesi con cui ho parlato a Hebron avevano molta paura. Avevano il presentimento che le forze israeliane stessero adottando la politica dello ‘sparare per uccidere’”.

Questo presentimento è sorto dopo la morte di Hadeelal al-Hashlamoun, 18 anni, morto a colpi di arma da fuoco lo scorso 22 Settembre.

All’epoca, Amnesty International aveva dichiarato che l’uccisione sembrava un’esecuzione stragiudiziale, e un’inchiesta interna condotta da Israele aveva definito la morte evitabile.

“Le uccisioni susseguitesi in questi mesi somigliano molto a quella di Hadeel, ma non bastano indagini postume. Le forze israeliane devono cambiare immediatamente il loro modo di agire, evitando così morti inutili e illegittime”.

“Le persone qui non riescono a dormire”

Nel mese di ottobre, oltre alle morti nella città vecchia di Hebron, sono aumentati sensibilmente anche gli episodi di violenza da parte dei coloni, tra palestinesi ostaggi ai posti di blocco, soldati israeliani ed estremisti ebrei.

“I coloni attaccano case, tirano pietre, rendono la vita sempre più difficile ai palestinesi” ha detto Amro, del Youth Against Settlement (Gioventù Contro l’Insediamento), aggiungendo inoltre che i coloni, armati, spesso minacciano i palestinesi puntandogli delle pistole.

“Mentono ai soldati, dicendo loro ‘ha un coltello, ha un coltello!’ Le persone hanno paura e non riescono a dormire. Sono imprigionati, senza alcuna protezione né sicurezza”.

In questo contesto, una falsa accusa di detenzione di armi può rappresentare una condanna a morte.

Tuttavia i coloni sono stati anche coinvolti direttamente nelle uccisioni di palestinesi, spesso sotto la protezione delle forze armate israeliane.

“Lo scorso 17 ottobre un civile israeliano, presumibilmente un colono, ha sparato a Fadel al-Qawasmeh uccidendolo mentre camminava per al-Shuhada street, nella città vecchia.

“I testimoni ci hanno raccontato che un colono lo ha seguito per strada dopo che un soldato lo aveva respinto al posto di blocco, insultandolo e poi sparandogli alle spalle” ha dichiarato Burns, da Amnesty International, ai microfoni di Ma’an.

Secondo Amnesty quel giorno funzionari della sicurezza in abiti civili avrebbero fatto irruzione a casa di alcuni testimoni dell’uccisione e cancellato le foto e i video che avevano girato sui loro cellulari.

Da allora i coloni avrebbero aggredito più volte gli inquilini, secondo Amnesty International che ha anche documentato altri episodi di violenza dopo la morte di al-Qawasmeh tra cui il ferimento di un tredicenne palestinese, colpito al petto da una bottiglia molotov lanciata dai coloni la notte del 17 ottobre.

Un cugino che cercava di aiutarlo è stato poi colpito da una pietra scagliata dai coloni da Kiryat Arba.

I testimoni hanno riferito che le forze armate israeliane erano presenti ma non sono potute intervenire, e che un’ambulanza non è riuscita a raggiungere il ragazzo per via dell’attacco in corso.

La Temporary International Presence in Hebron (Presenza Internazionale Temporanea a Hebron), missione civile di osservazione creata nel 1997 tra Israele e l’Autorità Palestinese, ha riportato di aver assistito al susseguirsi di violenze nel mese di Ottobre, e ha intensificato il controllo nei punti più caldi della città.

Un addetto stampa della missione ha riferito a Ma’an la sua preoccupazione per il numero sempre più alto di aggressioni nella città vecchia, facendo appello alle forze di sicurezza affinché prendano tutti i provvedimenti necessari a prevenire le morti.

Amro, che lavora e vive a Hebron, dice che i palestinesi si sentono senza protezione in un ambiente che diventa ogni giorno più violento.

“La situazione era già critica, ma ora l’ ordine è sparare per uccidere, e poi confermare l’uccisione. Prima uccidono e poi fanno domande”, ha detto.

“In passato i soldati miravano ai membri della resistenza, ma ora il presentimento generale è che ucciderebbero chiunque”.

Traduzione di Giovanna Niro