Il massacro della Flotilla. Prospettiva storica, conseguenze e implicazioni.

di Stephen Lendman

8 giugno 2010

Durante il periodo del Mandato e per tutta la sua esistenza, la storia d'Israele è stata sanguinaria, barbara, priva di ogni controllo, e per la maggior parte finanziata e armata con gli ultimi ritrovati della tecnologia dal suo contabile/partner di Washington perché facesse regnare il terrore in Medio Oriente e in Palestina. Prima, Israele era una minaccia per la regione. Ora, è una minaccia per il mondo e pone in serio pericolo la pace e la stabilità del pianeta.

L'attacco alla Flotilla è solo l'ultima delle sue migliaia di atrocità, grandi e piccole, che includono guerre preventive, incursioni su piccola scala, bombardamenti, omicidi e assassinii mirati, torture utilizzate come politica ufficiale e numerosi altri crimini contro l'umanità promossi dai leader storici, come ad esempio David Ben Gurion (il primo premier d'Israele) che disse:

“Dobbiamo espellere gli arabi e prenderne il posto, e se dovremo usare la forza per garantirci il diritto d'insediarci [sulle loro terre], allora [l']abbiamo già a nostra disposizione”.

O l'ex capo di Stato Maggiore Raphael Eitan (1978 – 1983):

“Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto d'insediarsi anche su un solo centimetro di Eretz Israel (…) La forza è l'unica cosa che capiscono e che capiranno sempre. Dobbiamo farne un uso estremo, finché i palestinesi non verranno da noi strisciando su tutti e quattro gli arti”.

O il rapporto segreto Koenig (pubblicato nel 1976):

“Dobbiamo fare uso del terrore, dell'assassinio, dell'intimidazione, della confisca delle terre e del taglio di tutti i servizi sociali, per sgomberare la Galilea della popolazione araba”.

O Benjamin Netanyahu, quando era vice ministro degli Esteri:

“Israele avrebbe dovuto approfittare della [strage di piazza Tiananmen del 1989], quando l'attenzione mondiale era tutta rivolta [alla Cina], per portare avanti le espulsioni di massa degli arabi dei Territori”.

Non c'è da meravigliarsi che la storia d'Israele sia così sanguinosa; eccone alcuni esempi:

·        il 22 luglio 1946, l'Irgun (noto gruppo terroristico) del futuro primo ministro Menachem Begin bombardò l'Hotel King David, massacrando 92 tra cittadini britannici, arabi ed ebrei e ferendone altri 58, in un'operazione approvata da David Ben Gurion, allora capo dell'Agenzia Ebraica;

·        sempre durante il Mandato, il gruppo terroristico Stern (tra i cui leader contava il futuro primo ministro Yitzhak Shamir) eseguì numerosi bombardamenti, rapimenti ed attentati, tra cui quello a Lord Moyne al Cairo nel 1944 – si trattava del più alto ufficiale britannico della regione;

·        il 9 aprile del 1948 (durante la “guerra d'indipendenza” israeliana), l'Irgun, la banda Stern e altri terroristi israeliani massacrarono oltre 120 palestinesi tra uomini, donne e bambini nel sanguinoso delirio di Deir Yassin; il 14 aprile, il New York Times riportò 254 morti;

·        la “guerra d'indipendenza” israeliana (per i palestinesi la Nakba, l'”Olocausto”) spopolò 531 tra città e villaggi e 11 quartieri urbani, con stragi, stupri, distruzioni su larga scala e innumerevoli altre atrocità, scacciando circa 800.000 palestinesi dalle loro case – uno dei più grandi crimini di guerra e contro l'umanità della storia;

·        una settimana dopo la fine della guerra, a metà maggio 1948, le truppe israeliane massacrarono oltre 200 abitanti del villaggio di at-Tantura, per la maggior parte giovani disarmati uccisi a sangue freddo;

·        l'11 e il 12 luglio, le forze di difesa israeliane uccisero centinaia di civili a Lydda, tra cui ottanta a colpi di mitragliarice nella moschea di Dahmash;

·        tra il 24 e il 29 ottobre 1948, i soldati israeliani uccisero cinquanta abitanti del villaggio di Hula, in Libano;

·        il 29 ottobre 1948, massacrarono circa 200 persone a ad-Dawayima;

·        il 30 ottobre fu la volta di altri venti a Majd al-Kurum, novantaquattro con l'esplosione di una casa e centinaia nel villaggio di Sa'sa';

·        il 14 ottobre 1953, la nota Unità 101 di Ariel Sharon uccise settanta degli abitanti di Qibya, Giordania;

·        il 5 aprile 1956, i bombardamenti delle forze di difesa israeliane uccisero cinquantasei persone e ne ferirono 193 a Gaza City;

·        il 29 ottobre 1956, le forze di difesa massacrarono circa cinquanta uomini, donne e bambini nel villaggio di Kafr Kassem;

·        durante la Seconda guerra arabo-israeliana del 1956, Israele giustiziò a sangue freddo almeno 273 tra soldati e civili egiziani;

·        il 12 novembre 1956, le forze di difesa massacrarono oltre cento civili rifugiati nel campo di Rafah;

·        durante la Guerra dei sei giorni del giugno 1967 – guerra preventiva lanciata da Israele -, l'esercito israeliano sterminò circa 2.000 soldati egiziani catturati durante il conflitto e 340 siriani delle Alture del Golan, e scacciò dalle loro case oltre 300.000 palestinesi, i quali fuggirono in Giordania, Libano, Egitto e Siria per scampare alla carneficina;

·        l'8 giugno 1967, le forze israeliane attaccarono preventivamente la USS Liberty (una nave dei servizi segreti Usa che riportava chiaramente il simbolo dello stato a cui apparteneva), uccidendo trentaquattro americani e ferendone altri 171 in acque internazionali; il Dipartimento della Difesa di Lyndon Johnson lo liquidò come un caso di “errore d'identificazione”, nonostante sapesse che si trattava di un assalto premeditato;

·        il 21 febbraio 1973, le forze di difesa israeliane abbatterono il volo 114 delle Libya Airlines, uccidendo 106 passeggeri, tra cui un americano;

·        il 25 febbraio 1994, Baruch Goldstein (membro del gruppo estremista della Lega di difesa ebraica, del rabbino Meir Kahane) attaccò la moschea Ibrahim di Hebron (al-Khalil), massacrando ventinove persone e ferendone altre 129;

·        durante l'invasione e l'occupazione israeliana del Libano nel 1982, le truppe d'Israele uccisero circa 18.000 tra libanesi e palestinesi, tra cui 3.000 nei campi profughi di Sabra e Shatila per mano dei loro alleati Falangisti;

·        durante la prima (1987 – 1992) e la seconda (2000 – 2005) Intifada, le incursioni israeliane uccisero migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi a sangue freddo;

·        nell'aprile 2002, le forze di difesa israeliane invasero Jenin e il suo campo profughi, troncarono ogni contatto con gli aiuti esterni, distrussero centinaia di edifici seppellendo vi
vi molti palestinesi sotto le macerie, tagliarono l'elettricità, l'acqua, i rifornimenti di cibo e di altri materiali di prima necessità, rifiutarono l'accesso agli aiuti (anche medici) e uccisero o ferirono decine (forse centinaia) di civili palestinesi; i corpi furono rimossi e sepolti per impedirne un conteggio accurato;

·        durante la guerra in Libano del luglio 2006, le forze di difesa causarono distruzioni di massa, uccisero circa 1.300 persone, ne ferirono un numero maggiore e dislocarono circa un milione di civili (un quarto della popolazione);

·        durante l'operazione Pioggia d'Estate del giugno 2006 contro Gaza, gli israeliani uccisero circa 240 persone (per la maggior parte civili) e causarono distruzioni su ampia scala – che colpirono fra l'altro tre dei più importanti ponti di comunicazione, la conduttura principale del sistema di distribuzione dell'acqua dei campi profughi di Nuseirat e al-Bureij e l'unica centrale elettrica della Striscia, che forniva alla regione circa l'80% della corrente;

·        nello stesso periodo, l'esercito condusse circa cinquanta incursioni in Cisgiordania, invadendo le case, devastando le cascine e arrestando decine di palestinesi, tra cui, il 29 giugno, l'intera leadership (legittimamente eletta) di Hamas che includeva otto ministri, venticinque membri del gruppo parlamentare “Cambiamento e riforma” e altri funzionari del movimento;

·        e infine, durante l'operazione Piombo Fuso del dicembre 2008-gennaio 2009, l'esercito israeliano massacrò oltre 1.400 persone, ne ferì circa 5.500 (molte in modo grave) e provocò la distruzione di numerose strutture in tutta Gaza, tra cui ospedali, scuole, moschee, uffici governativi, fabbriche ed altre attività, campi agricoli, case private e molti altri edifici per niente collegati alle necessità militari, violando così la legge internazionale; il risultato, dichiara la commissione Goldstone, è che:

“l'operazione militare israeliana era diretta al popolo di Gaza nel suo complesso, portando avanti una politica ininterrotta ed onnicomprensiva che punta a punire [l'intera] popolazione, e una politica deliberata di uso sproporzionato della forza che mira ai civili. La distruzione [delle infrastrutture vitali e dei bersagli non-militari] è stata il risultato di una politica deliberata e sistematica, che ha reso più difficile lo stile di vita – dignitosa – di ogni giorno”.

Ed ora il massacro della Flotilla, l'ultimo crimine israeliano contro l'umanità, che indigna milioni di persone in tutto il mondo, che induce la Turchia e il Sudafrica a richiamare i loro ambasciatori, il Nicaragua a recedere diplomaticamente a livello consolare, e diversi altri paesi a prendere in considerazione misure speciali.

Il Qatar ha annunciato che pagherà per portare Israele davanti alla Corte di Giustizia internazionale, e finanzierà una campagna mediatica su scala globale sull'episodio e sull'assedio di Gaza.

Arutz Sheva (del sito israeliano News.com) ha riportato che l'Associazione degli avvocati egiziani sta raccogliendo materiale per intentare una causa presso la suddetta Corte. Il suo presidente, Hamdi Alifa, annuncia che si tratterà di “citazioni gigantesche”, riguardanti tra le altre cose l'attacco alla Flotilla e l'assedio di Gaza.

Haaretz ha riportato che i magazzinieri dei porti svedesi avrebbero boicottato le navi israeliane dal 15 al 24 giugno. La Norvegia ha annunciato di aver cancellato un seminario militare sulle operazioni speciali perché il suo Ministero della Difesa aveva obiettato contro la partecipazione di un ufficiale israeliano. A Bournemouth, Inghilterra (paese dalla maggioranza ebraica e con un sindaco ebreo), i cittadini hanno chiesto di tagliare i rapporti con Netanyahu.

Utopia, catena francese di cinema, ha comunicato che non proietterà il film israeliano “Five hours from Paris”. Bandiere israeliane sono state bruciate in molte città. I musulmani di Nuova Delhi hanno chiesto al loro governo di troncare i rapporti con Israele. La BBC ha riportato che almeno 200 persone hanno protestato a Belfast contro la confisca della Rachel Corrie, cinque giorni dopo il massacro della Flotilla.

Y-net ha riferito che il presidente Shimon Peres avrebbe probabilmente cancellato un viaggio in Asia, poiché non sarebbe stato affatto ben accolto, e Helen Thomas, da lungo tempo corrispondente della Casa Bianca, ha affermato che gli ebrei israeliani dovrebbero tornare in Germania, Polonia e America, spingendo il vice-presidente internazionale della B'nai B'rith [si tratta della massoneria ebraica, sulla quale si legga E. Ratier, Misteri e segreti del B'nai B'rith, (trad. it.) Verrua Savoia 1999, ndr], Daniel Mariaschin, a replicare:

“Non dovrebbe esserci posto per lei in un organo d'informazione. Le sue parole vanno oltre i semplici commenti, e sono in sintonia con un manierismo che non si ferma davanti a nulla pur di delegittimare Israele”. Il B'nai B'rith sostiene da tempo i peggiori crimini israeliani, attaccando verbalmente chiunque si permetta di denunciarli.

Il 7 giugno, Haaretz ha riportato la notizia che una commissione di esperti della Knesset ha votato con 7 voti su 8 a favore della revoca dei privilegi di parlamentare di Hanin Zuabi, membro di nazionalità israeliana del partito Balad, “per la sua partecipazione alla Flotilla per Gaza”.


Indignazione globale – Echi e propagazione

Dopo il massacro, le proteste sono scoppiate anche in molte città degli Usa – tra le quali:

– New York, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Washington DC di fronte alla Casa Bianca, Philadelphia, Pittsburgh, Boston, Houston, Dallas, Cleveland, Atlanta, Tampa, Minneapolis, Oklahoma City, New Orleans, Charlotte, Raleigh, Knoxville, Fresno, Dearborn, Denver, Sioux Falls, Fort Wayne, Fayetteville, Portland, Boise, e Seattle.

I principali media del paese le hanno ignorate, mandando invece in onda la propaganda israeliana che incolpava le vittime, chiamandole terroristi, e che sosteneva che il governo Netanyahu aveva agito in modo responsabile per impedire agli “estremisti jihadisti filopalestinesi” di vendere armi al movimento di Hamas – che si trova a capo del legittimo governo palestinese, e che viene falsamente chiamato “organizzazione terrorista” per giustificare gli attentati premeditati e l'assedio soffocante come misure di autodifesa: l'ennesima scappatoia cercata da persone che sono state colte in flagrante dall'indignazione mondiale.

Lo scorso 31 maggio, Aljazeera ha esposto un titolo che esprimeva il sentimento di milioni di persone in tutto il pianeta: “Indignazione globale contro l'attacco israeliano” – dalle condanne degli alti funzionari alla rabbia nelle piazze delle città, con il leader di Hamas Ismail Haniyye che dichiarava il 31 maggio “giorno della libertà”, chiamando i palestinesi di Gaza e Cisgiordania a “proclamare uno sciopero generale per mostrare la propria solidarietà [contro] i crimini israeliani”.

Hugo Chavez, sostenitore di lunga data dei palestinesi, ha espresso le proprie condoglianze alle famiglie e agli amici degli “eroi vittime di questo crimine”, chiedendo che “i responsabili degli omicidi [siano] puniti severamente”.

In un comunicato, Chavez ha quindi condannato il “massacro brutale commesso dallo Stato d'Israele contro i membri della Freedom Flotilla [e la sua] guerra contro i civili inermi che cercavano di portare assistenza umanitaria al (…) popolo di Gaza, [sottoposto a] un embargo cri
minale (…).

“Il governo rivoluzionario del Venezuela continuerà a denunciare la natura terrorista e criminosa del governo israeliano, e ribadisce (…) il suo impegno inamovibile nella lotta del popolo palestinese per la libertà, la sovranità nazionale e la dignità”.

All'inizio del 2009, in occasione delle atrocità dell'operazione Piombo Fuso, Chavez troncò i rapporti diplomatici con Israele e non li ha ancora ristabiliti.

In Turchia, il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan ha condannato con forza l'attacco israeliano, definendolo “detestabilmente vile, sfrontato, sconsiderato e malvagio – contro la legge internazionale, contro il cuore dell'umanità, contro la pace mondiale”, e un “abominevole attentato terroristico” contro una missione umanitaria in acque internazionali.

Erdoğan ha quindi richiamato l'ambasciatore turco a Tel Aviv, cancellato tre operazioni militari che l'esercito turco avrebbe dovuto condurre congiuntamente con quello israeliano, chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza e dichiarato: “Tutto ha un prezzo. E quel governo dovrà pagar[lo].”

A parte quest'ultimo sconvolgente crimine, una litania di bugie esplicative e un gangster di strada che fa da primo ministro a Tel Aviv, Israele e gli Usa (suo contabile/partner in tutti i suoi atti belligeranti) si ritrovano tra le mani un enorme disastro di pubbliche relazioni, vista l'indignazione mondiale che riecheggia fino ai più alti funzionari, i quali devono rispondere davanti al loro elettorato.

Oltre a ciò, le giustificazioni farsesche del governo Netanyahu ne aggravano la posizione insostenibile. Questa gente, [Netanayhu e il suo governo da una parte, l'amministrazione Obama dall'altra] non sa nemmeno mentire bene, o forse conta sull'appoggio automatico di alleati affidabili di fronte a loro.


Obiettivi delle due parti

L'agenda degli organizzatori della Flotilla includeva:

·        consegnare aiuti essenziali al milione e mezzo di persone assediate a Gaza da quasi tre anni, ma soprattutto

·        rompere simbolicamente l'assedio per incoraggiarne la condanna a livello mondiale, metterne in evidenza l'ingiustizia intollerabile e compiere un ulteriore passo verso la sua fine.

Con il pretesto di bloccare l'accesso alle presunte armi, Israele ha condotto un'operazione militare premeditata, programmata e preparata accuratamente, allo scopo di commettere un omicidio di massa ai danni di civili disarmati. La mossa era stata persino annunciata con giorni d'anticipo su Ma'ariv – uno dei principali quotidiani israeliani – con un articolo dal titolo: “Verso la violenza, una delle navi è già partita”, suggerendo così un incontro all'ultimo sangue con i “terroristi”.

Il piano israeliano aveva obiettivi specifici:

·        mantenere l'embargo

·        tenere un milione e mezzo di persone intrappolate nella più grande prigione a cielo aperto del mondo

·        causare abbastanza danni da scoraggiare altri attivisti dall'intraprendere lo stesso viaggio

·        assassinare determinati attivisti tra quelli che si trovavano a bordo

Il 5 giugno, Catrina Stewart dell'Independent ha riportato un'intervista con Jamal ash-Shayyal, uno degli otto reporter di Aljazeera membri della Flotilla (sette dei quali erano sulla Mavi Marmara), il quale, riportando che i passeggeri sottrassero ai commando israeliani una lista di nomi e di foto, ha raccontato:

Gli “attivisti rovistarono tra gli oggetti dei soldati catturati, riferendo di aver scovato un documento che, a loro dire, elencava una serie di persone che Israele intendeva assassinare. Il foglio, scritto in ebraico e in inglese, conteneva alcune foto di passeggeri della Marmara, incluso il leader dell'Ihh – l'associazione di beneficenza turca che ha fornito due delle navi – , un prete ottantottenne e Ra'ed Salah, capo del Ramo nord del Movimento islamico in Israele”.

I risultati delle autopsie hanno dimostrato che i partecipanti alla Flotilla furono colpiti a distanza ravvicinata da più proiettili, di cui due o più nel cranio: questo sta a dimostrare che si trattò di omicidio, e non di autodifesa, come sostiene Israele.

Il piano israeliano produce propaganda pro-Israele, sostenendo che la propria informazione è accurata, imparziale e “indipendente da qualsiasi governo o agenzia governativa”.

Nella sua conferenza subito dopo l'attacco, il repubblicano Brad Sherman ha accusato gli attivisti sulle navi di aiutare Hamas in violazione della legge Usa, e ha quindi chiesto al procuratore generale Eric Holder di perseguire i partecipanti di nazionalità statunitense sulla base di accuse di terrorismo:

“Il decreto su Antiterrorismo ed effettiva pena di morte del 1996 rende assolutamente illegale per qualsiasi statunitense fornire cibo, denaro, materiale scolastico, graffette, cemento o armi a Hamas o a uno qualsiasi dei suoi funzionari”.

Sherman, un cosiddetto “liberal-democratico”, sostiene gli elementi più estremisti del governo israeliano, tra cui Netanyahu e il ministro degli Esteri nonché vice-primo ministro Avigdor Lieberman, noti supporter del terrorismo di Stato.

Anche l'intero Senato e la maggior parte dei membri della Casa Bianca appoggiano la belligeranza d'Israele, insieme al suo più ampio obiettivo di distruggere l'autorità dell'Anp e soggiogare tutta la Palestina per mezzo dei suoi spietati attacchi contro i civili, considerati bersagli legittimi allo scopo d'indebolirne la resistenza. Questo avviene tramite vari tipi di abusi e atrocità.

L'operazione Piombo Fuso lo dimostrò in modo orribile, e la strage della Flotilla è solo l'esempio più recente di quanto si spingerà oltre Israele – con il pieno appoggio di Washington, i suoi generosi finanziamenti, le armi e le tecnologie più moderne, le pressioni sul Consiglio di Sicurezza e l'uso del veto.


Le ricerche della Stratfor sul massacro della Flotilla

Fornendo informazioni e visioni d'insieme ai potenti del mondo, George Friedman, amministratore delegato della compagnia d'intelligence Stratfor, ha esaminato gli effetti dell'attacco d'Israele, definendo la sua portata “senza precedenti” per questo genere di offensiva e citando tre fattori che lo hanno portato a fare quest'affermazione:

·        oltre 600 cittadini non-israeliani furono coinvolti, inclusi politici e giornalisti, “alzando la posta in gioco per tutti gli attori”;

·        l'episodio ha attirato più che mai l'attenzione e la copertura dei media; immediatamente, “interviste pre-programmate riempivano i media regionali come Aljazeera” e altri (ma non negli Usa, dove furono vietate); le proteste sono esplose a livello mondiale, chiedendo di condannare e di sanzionare Israele;

·        “Cosa più importante, uno Stato non-arabo ha giocato un ruolo fondamentale in quest'episodio. La Turchia si sta interessando sempre di più alla regione”, cercando di accrescere la propria statura politica tramite “nuovi strumenti d'influenza”. Il suo governo “ha fatto tutto il possibile per trarre beneficio dalle pubbliche relazioni che g
enererebbe una violazione efficace dell'assedio”.

Oltre a ciò, a causa dell'azione d'Israele, “un'intera rete di rapporti internazionali verrà modificata”, e la Turchia potrà ora sfruttare l'accaduto “fornendo [alle] future Flotilla scorte militari di maggiori dimensioni”, e aumentare la tensione nel caso l'incuranza d'Israele proseguisse.

Intanto, l'instabilità in Medio Oriente è già cresciuta, il che è “l'ultima cosa” di cui hanno bisogno gli Stati Uniti, con tutti i grattacapi che hanno. Anche i rapporti di Tel Aviv con Washington sono stati modificati, almeno all'apparenza, e così anche quelli con l'Occidente e il Medio Oriente. Cercare di lanciare un'”azione militare contro un convoglio civile (…) rema direttamente contro le politiche degli Usa”.

Visto quel che è successo e vista l'indignazione mondiale, “il problema (…) è passato dal dominio militare a quello politico”. Resta da vedere come reagiranno Israele, Usa e Turchia, oltre alle possibili conseguenze riguardanti altri governi.

Friedman non crede all'idea che i commando abbiano fatto uso di “paintball” nell'attacco, sostenendo che si tratta di “proiettili da addestramento” il cui impiego è improbabile in una missione di questo genere, soprattutto su una nave di oltre 600 attivisti:

“Lo troviamo difficile da credere, data l'estesa esperienza d'Israele [nell'affrontare] folle di civili ostili,” magari pronti a fare resistenza.

La Shayetet 13 è un'unità d'élite delle Forze navali speciali israeliane, che si occupa d'incursioni mare-terra, attentati, antiterrorismo, sabotaggi  e altri atti belligeranti – ma non del controllo della folla, “per cui un confronto con un gruppo di civili non rientrerebbe necessariamente nella sua area di competenza”, mentre la polizia israeliana avrebbe potuto gestirlo.

Friedman ha tuttavia omesso di citare quanto ha riportato il Today's Zaman (giornale turco in lingua inglese) il 7 giugno:

“Il vice primo ministro turco Cemil Cicek [ha affermato che] gli attivisti di nazionalità turca che furono feriti o uccisi furono soggetti a gravi sofferenze, e di questo vi è ampia dimostrazione nelle tracce lasciate sui loro corpi e nei fori dei proiettili, la maggior parte dei quali è stata sparata a distanza ravvicinata”.

Il fotografo del giornale, Kursat Bayhan, era sulla Mavi Marmara e ha raccontato le sue “30 ore nella cella numero 5202” nel carcere di Beersheva. Tutti i suoi oggetti gli vennero sottratti. I detenuti furono perquisiti a fondo e ammanettati, vennero scattate le loro foto segnaletiche, li si costrinse a firmare un documento che attestava che non era stato fatto loro alcun male, e quelli che chiesero indietro i loro bagagli e passaporti furono picchiati; questo è più o meno il modo in cui Israele tratta tutti i suoi prigionieri.


Strascico del massacro della Flotilla

Joshua Landis è direttore del Centro per gli studi sul Medio Oriente e professore di Studi mediorientali all'Università dell'Oklahoma. Il 1 giugno pubblicò sul suo sito un post dal titolo “Israele paga caro l'attacco alla Flotilla turca carica di aiuti per Gaza”, specificando che i danni si stanno accumulando:

·        la Grecia “ha deciso d'interrompere le esercitazioni militari congiunte che sono attualmente in corso con Israele, e di rinviare” la visita ad Atene del capo di Stato maggiore dell'aviazione, in programma lo scorso 1 giugno;

·        la Turchia richiamò il suo ambasciatore e il suo ministro degli Esteri, dicendo che “le relazioni sono irreparabili”;

·        Netanyahu dovette cancellare la sua importante visita a Washington;

·        fu convocata una seduta d'emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, e naturalmente Washington impedì qualsiasi risoluzione significativa;

·        “Obama cercherà di far sì che gli Usa prendano le distanze da Israele, ma a tempo debito. Che altra scelta abbiamo? Israele è sempre più una pietra al collo per gli Stati Uniti”;

·        la Cina riuscì a far esentare le sue compagnie dalle misure punitive stabilite da Washington per i loro rapporti commerciali con l'Iran;

·        “I negoziati diventeranno più difficili e comporteranno un costo maggiore per gli Usa, adesso che il mondo vede chiaramente che gli sforzi americani volti a punire l'Iran sono guidati dagli interessi israeliani. L'Iran è a stento una minaccia per gli Stati Uniti,” Israele o qualunque altra nazione.

Il 31 maggio, sulla rivista Foreign Policy, il professor Stephen Walt titolò un suo articolo: “L'ultima efferata gaffe israeliana”, scrivendo:

“Che cosa avranno in mente i leader d'Israele? Come faranno mai a credere che un assalto mortale a una missione umanitaria in acque internazionali torni a loro vantaggio?” Azioni come questa incoraggiano a “delegittimare questo Paese (…) Quest'ultima uscita è tanto ottusa quanto la guerra in Libano del 2006” e la Piombo Fuso, e forniscono “ulteriori prove al costante degrado del pensiero strategico d'Israele, al quale stiamo assistendo fin dal 1967.”

Dettaglio ancora più importante, l'attacco alla Flotilla “pone una minaccia più ampia agli interessi nazionali degli Usa”, perché il mondo associa le azioni d'Israele a Washington, visti i “legami indistruttibili” tra i due Stati. È evidente che “il rapporto speciale con Israele è diventato un vincolo scomodo”. Il vittimismo di Tel Aviv è sempre più inconsistente, una sfrontata menzogna, che probabilmente finirà presto per non trovare più orecchie disposte ad ascoltarla.

Il 19 gennaio 2009, dopo la Piombo Fuso, Walt scrisse nel suo articolo “Il mito del genio strategico d'Israele”:

“I dati dimostrano il contrario. Le vittorie militari d'Israele sono spesso dei fallimenti strategici, e sono una prova che l'unica sua capacità è quella di spararsi in un piede, finora senza conseguenze – ma non si sa per quanto”.

Secondo il noto filo-israeliano Leon Wieseltier, il progetto coloniale rappresenta un'altra “cantonata morale e strategica di proporzioni storiche, (…) mai dibattuta apertamente all'interno della politica israeliana,” ma gestita a porte chiuse.

Da decenni lo Stato israeliano passa da una mossa sbagliata all'altra, non fornendo “nessuna ragione per pensare che (…) sia dotato soltanto di pianificatori eccezionali, o di uno staff per la sicurezza nazionale impegnato coerentemente a fare scelte acute e lungimiranti”.

Eppure alcuni dei suoi leader più incompetenti – ivi compresi Ehud Barak, Ehud Olmert, Ariel Sharon e Netanyahu – sono continuamente ricompensati con nuove opportunità per ripetere i loro errori, forse grazie all'appoggio incondizionato di Washington; ma per quanto tempo ancora, visto il prezzo che pagano gli Stati Uniti per i beni danneggiati, aggiungendo ai terribili precedenti d'Israele in fatto di politica estera e interna un periodo di gloria dai limiti ristretti, e una notevole abilità nell'impedirle di rimanere senza riserve finanziarie?

Forse anche la loro disponibilità a rimanere al fianco di un partner di dubbia reputazione – lo stesso problema che Washington si ritrova sempre ad
affrontare con i suoi alleati – prima o poi verrà meno, e saranno gli Stati Uniti a stancarsi e ad allontanarsi, tagliando le perdite a vantaggio del proprio futuro. Lo stesso che gli americani dovrebbero prendere in considerazione per il loro benessere, decidendo quanto vogliono spingersi oltre per difenderlo.

 
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Stephen Lendman vive a Chicago e può essere contattato all'indirizzo lendmanstephen@sbcglobal.net. Si può anche visitare il suo sito sjlendman.blogspot.com ed ascoltare discussioni su argomenti d'importanza fondamentale con ospiti d'eccezione nel programma Progressive Radio News Hour, tutti i giovedì alle 16 e il sabato e la domenica alle 18 (ora italiana) su Progressive Radio Network. Tutte le puntate vengono registrate e archiviate, per essere comodamente riascoltate.

http://www.progressiveradionetwork.com/the-progressive-news-hour/.

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