Il nuovo ruolo dell'Arabia Saudita.

 
 
Il nuovo ruolo dell’Arabia Saudita
di Dr. Abdul Ruff Colachal, Da  Middle East Online, 11 Aprile 2007
 
 
Il ruolo attivo del re saudita Abdullah è attalmente discusso come una questione scottante nell’analisi politica internazionale. Re Abudullah ha conquistato il centro della scena nel difendere la causa dell’Islam e delle nazioni arabe. Abdullah ha riconosciuto il pericolo proveniente dalle nazioni occidentali guidate dagli USA per la nazione araba nel nome della cosiddetta guerra al terrore. Ha perso le sue illusioni verso il vecchio alleato dell’Arabia Suadita, gli USA. E’ frustrato per la futilità di un mondo arabo diviso. Perché Abdullah dovrebbe dire al summit di re e presidenti arabi da lui convocato a Ryad la scorsa settimana che "in Iraq scorre sangue fraterno all’ombra di una occupazione illegittima"? Anche se i Sauditi si opposero all’invasione del 2003, essi hanno insistito che gli Stati Uniti devono restare e mettere riparo al danno da loro provocato. Ma distanziandosi da Washington, Abdullah guadagna in credibilità nella lotta vitale contro Teheran per i cuori e le menti arabe.
 
Dal presiedere un governo stagnante, Re Abdullah è sorto a nuove vette per riparare al danno fatto alle relazioni USA-saudite attraverso un gioco d’equilibrio, da una parte, e guidare il mondo arabo per sottrarlo alla minaccia globale, particolarmente le guerre USA, dal’altra. Per via delle ricchezze petrolifere del suo regno desertico, Re Abdullah ha probabilmente uno dei peggiori compiti del mondo. Le minacce interne ed esterne sono ugualmente allarmanti. Caos settario in Iraq, messianismo in Iran, ed influenza calante nel Medio Oriente del suo vecchio alleato USA sono tutti fattori che pongono minacce dall’esterno. Mentre estremismo religioso, disoccupazione giovanile e corruzione nella classe dirigente minacciano dall’interno l’ottuagenario leader, che ha ereditato il trono dinastico solo 18 mesi fa. Dato che gli USA perdono terreno nel Medio Oriente, la decisione saudita di fare un passo avanti ed affrontare le sfide è senza dubbio degna di lode.
 
Per un verso, il re sta aprendo un dialogo interno senza precedenti su questioni delicate, che spaziano dall’estremismo religioso al ruolo delle donne, per allegerire la pressione sulle classi medie saudite. Dall‘altro lato, in un regno che ha storicamente limitato il suo ruolo internazionale a muovere i fili nella penombra, si è impegnato in una diplomazia attiva sia a livello regionale che globale. Re Abdallah ha aperto il summit arabo lo scorso venerdì criticando aspramente le truppe USA in Iraq come una "illegittima forza di occupazione".
 
La diplomazia spesso fallisce a causa della delicatezza delle manovre diplomatiche. Abdullah sembra aver imparato l’arte della diplomazia in maniera notevole. A parte l’attacco alla "illegittima occupazione straniera" dell’Iraq da parte delle forze guidate dagli USA, Re Abdullah dell’Arabia Saudita nel corso del summit ha chiesto a tutti i leader arabi che prendevano parte ad un summit storico nella capitale sudita di non permettere a potenze straniere di determinare il corso futuro della regione. Abdullah ha infine detto che la radice di tutti i mali che le nazioni arabe stanno soffendo è la disunione tra gli Arabi stessi. E che gli Arabi dovrebbero assumersi le principale responsabilità per le atrocità degli occidentali guidati dagli USA in Iraq. Per l’attitudine generale autoreferenzionale di tutte le nazioni arabe verso l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, e la seria minaccia posta sulla Siria e sull’Iran, l’intero mondo musulmano è da tenersi responsabile, come anche per ciò che riguarda la ignominiosa situazione dei Musulmani nel mondo. E’ veramente una vergogna che quando l’intero occidente sta combattendo insieme i cosiddetti terroristi musulmani e le loro nazioni, i Musulmani siano ancora divisi in base alla differenza Sciti-Sunniti.
 
Le nazioni arabe esigono che Israele restituisca le terre occupate che appartengono ai Palestinesi, ma Israele non se ne dà per inteso. L’iniziativa, il piatto forte del summit, ha offerto ad Israele il riconoscimento ed una pace permanente con tutti i paesi arabi in cambio di un completo ritiro dalle terre conquistate nella guerra del 1967. Essa prevede anche lo stabilimento di uno stato palestinese con Gerusalemme Est come sua capitale ed una "giusta soluzione" per la questione dei profughi palestinesi, costretti a stare fuori dalle terre oggi chiamate Israele. In effetti, Israele rifiuta una pieno ritiro dalla West Bank e Gerusalemme Est, e si oppone con forza all’arrivo di un consistente numero di profughi palestinesi all’interno dello stato ebraico. Israele rigettò l’iniziativa araba quando essa fu avanzata per la prima volta nel 2002, ma il Primo Ministro Ehud Olmert ha detto la scorsa settimana che il suo paese era disposto ad accettarla con qualche cambiamento, particolarmente se le richieste sui rifugiati palestinesi fossero state annacquate.
 
L’Arabia Saudita ha sperato che Olmert mostrasse una più decisa disponibilità a far ripartire i colloqui di pace sulla proposta araba al fine di dare la possibilità agli Arabi di mostrare flessibilità. Al-Faisal è sembrato deluso della posizione israeliana, dicendo che Israele dovrebbe cambiare la sua mentalità da "fortezza" secondo cui "la forza permetterà di ottenere tutto ciò di cui hanno bisogno in termini di sicurezza", suggerendo che  anche Israele mostri flessibilità. "Se Israele raggiunge un accordo sul ridispiegamento dalle terre arabe", ha detto", "allora si firmerà una pace da parte di tutti i paesi arabi". Il ministro degli esteri dell’Arabia Suadita ha detto che Israele accetterebbe un’ampia offerta "terra in cambio di pace" esprimendo frustrazione per l’esitazione israeliana sull’iniziativa. L’Arabia Saudita e gli altri alleati arabi degli USA sperano che un piano di pace possa dare forza alla ripresa del processo di pace israelo-palestinese fermo da molto tempo.
 
Le nazioni a guida sunnita della Lega Araba hanno avuto profondi sospetti verso i nuovi leader sciti iraqeni, credendo che essi rappresentano gli interessi dell’Iran e biasimandoli per alimentare la violenz
a in Iraq discriminando gli Arabi sunniti. I leader arabi hanno insistito che Israele accetti il piano di pace arabo in via di principio, prima di tornare ad ogni colloquio, e di essere pronto ad ammorbidire le sue condizioni una volta che i colloqui riprendono. Diversi paesi arabi, particolarmente la Siria, si sono opposti a cambiamenti della proposta al fine di ammorbidire le condizioni relative ai profughi palestinesi. I dirigenti palestinesi hanno risposto che Israele dovrebbe prima accettare l’iniziativa araba ed allora potrebbe esserci una conferenza di pace.
 
Il piano di "ritiro unilaterale" fu proposto dal Primo Ministro israeliano Ariel Sharon, adottato dal governo e messo in pratica nell’Agosto del 2005, per rimuovere tutta la presenza permanente israeliana dalla Striscia di Gaza, e dai quattro insediamenti nel Nord della West Bank (Samaria). I civili furono evacuati (per una minoranza fu necessario ricorrere alla forza) e gli edifici furono demoliti dopo il 15 Agosto, ed i disimpegno dalla Striscia di Gaza fu completato il 12 Settembre 2005, quando l’ultimo soldato israeliano lasciò la Striscia di Gaza.
 
Ma Israele rifiuta i punti chiave del piano, come il ritiro dalla sacra Città Vecchia di Gerusalemme, e lo smantellamento di tutti gli insediamenti ebraici nella West Bank. Tuttavia, l’invito di Olmert è l’ultimo di una tempesta di mosse diplomatiche, compreso le visite del cancelliere tedesco, il segretario americano di stato e il segretario generale delle Nazioni Unite. L’accresciuto coinvolgimento di potenze mondiali ha irobustito la speranza di rimettere in moto il processo di pace.
 
A seguito del collasso del suo Piano di Convergenza nella West Bank, il Primo Ministro Israeliano Ehud Olmert ha ripetutamente espresso il suo interesse per gli "aspetti positivi" dell’iniziativa. Con le difficoltà politiche di un gradimento assai basso in patria ed i membri del suo partito al governo, Kadima, cher manovrano per migliorare la propria posizione in un futuro contesto politico, Olmert è sotto una significativa pressione a proporre una nuova agenda di politica estera. Il Primo Ministro Israeliano ha annunciato domenica che egli desidera "invitare tutti i capi di stato arabo, compreso il re dell’Arabia Saudita, ad un incontro", sul conflitto mediorientale.
 
Sia gli USA che l’Egitto hanno fatto pressione su Israele nelle ultime settimane per accettare colloqui con un gruppo di lavoro arabo, incaricato a Ryad per i negoziati diplomatici sulla base dell’Iniziativa. In uno sforzo di preservare una posizione di unità, la riaffermazione dell’iniziativa della Lega Araba è avvenuta senza sostanziali modifiche, nonostante intense pressioni degli USA. Questo fallimento e la crescente centralità della Iniziativa della Lega sono un chiaro sintomo dell’approccio scarsamente impegnato dell’Amministrazione Bush al conflitto arabo-israeliano, delle strette relazioni con Israele, e della sua sempre più evanescente influenza nella regione.
 
Ora Abdullah, prendendo l’iniziativa, deve confutare l’accusa rivolta al regno: nonostante questo nuovo realismo ed apertura, gli Arabi sono molto più bravi ad indentificare i problemi che a risolverli. L’Arabia Saudita sembra essere stata stimolata dagli USA negli ultimi anni ad assumere un ruolo più attivo bella diplomazia regionale, scrivendo l’Iniziativa della Lega Araba del 2002. E possono essere necessari più sforzi diplomatici, più contatti per saperne di più su questa mossa di pace. Il viaggio del presidente russo Putin nel regno a Febbraio ha ulteriormente rafforzato la decisione di Abdullah di andare avanti con i Piano di Pace per il Medio Oriente, comprendendo il contenimento delle forze estremistiche nella regione e bloccando l’egemonia iraniana. Abdullah pone attenzione con energia anche a questo aspetto.
 
"Lei pensa che le navi da guerra USA siano là fuori in vacanza?", ha detto Abdullah ad Ahmadinejad, quando si sono incontrati recentemente, secondo fonti vicine alla famiglia reale. I Sauditi vedono la retorica incendiaria del presidente Mahmoud Ahmadinejad contro Israele, il suo appoggio ad Hetzbollah e Hamas, come tentativi abbastanza scoperti di conquistare appoggio non solo tra gli Sciti della regione, ma anche tra i Sunniti. Allo stesso tempo, la corsa al nucleare di Teheran è trattata dall’occidente come una minaccia all’influenza saudita, se non alla sua sopravvivenza, ed una provocazione a George W. Bush. Il senso di urgenza di Abdullah sula minaccia iraniana risale almeno al Settembre 2005, quando "l’Iraq fu presentato agli Iraniani su un piatto d’argento" dalla politica USA, dice Turki al-Faisal, allora ambasciatore a Washington.
 
Dal punto di vista Saudita, l’Iraq è già ampiamente sotto dominio iraniano e niente di ciò che gli USA potrebbero fare cambierà la situazione. L’Arabia Saudita vuole conservare lo status quo regionale anche se è consapevole che le ambizioni nucleari dell’Iran e la sua influenza in Iraq lo rendono dubbio. L’Iran, nell’opinione privata dei dirigenti sauditi, è un paese impoverito, radicalizzato da estremisti sciti ed attualmente guidato da un pazzo, il presidente mahmoud Ahmadinejad, che sta intimidendo le nazioni della regione e l’Occidente.
 
In effetti, ci sono rapporti secondo cui forze all’interno del governo iraniano stanno facendo pressioni sul presidente Mahmoud Ahmadinejad per moderare i suoi toni così da non fornire agli USA e alla Gran Bretagna un pretesto per attaccare. A seguito del rilascio di 15 marinai britannici, che erano entrati illegalmente nelle acque iraniane, da parte del governo iraniano come "regalo" al popolo inglese, la richiesta ha preso una forma concreta. L’Arabia Saudita è cosciente che l’Iran può aiutare a conseguire la pace ad un costo più basso di quanto sarebbe altrimenti necessario, ma non può interferire o imporre la sua politica. Il genuino timore di Ahamadinejad è anche accompagnato da una certa gelosia, dato che l’iran sta rapidamente rimpiazzando l’Arabia Saudita come la nazione che i Palestinesi considerano essere il loro principale benefattore attraverso il suo appoggio ai violenti Hetzbollah e Hamas. I Sauditi sono amareggiati dal fatto che a dispetto della loro promessa per un miliardo di dollari ai Palestinesi, gli Iraniani possono turare il loro naso per Israele e comprare la riconoscenza palestinese per una piccola frazione di quella generosità.
 
Ci sono tentativi di cambiare la percezione che gli Stati Uniti siano in una posizione di debolezza e che siano poco disposti a lasciarsi ulteriormente coinvolgere nel conflitto. Eliminare questa percezione è di cruciale importanza per gli Americani al fine di riconquistare influenza geopoitica nel Medio Oriente. Frattanto, il leader libico Moammar Gheddafi, che ebbe un duro e pubblico scontro con il re saudita Abdullah nel meeting del 2003, ha boicottato l’incontro di questa settimana. Gheddafi ha ironizzato sui leader arabi in un’intervista ad al-Jazeera martedì, dicendo che "non hanno nessun potere e nessuna forza" e che stavano solo seguendo gli ordini di "Liza", referendosi alla Rice. "Il mondo arabo è in via di estinzione", ha detto Gheddafi.
 
Le percezioni riguardo la debolezza USA sono state recentemente confermate dal segretario alla difesa USA Robert Gates, che il 15 Gennaio, ha confermato che "gli Iraniani chiaramente credono che noi siamo vincolati all’Iraq, che essi abbiano l’iiziativa, che siano nella posizione di esercitare su di noi diversi tipi di pressione. Non stanno facendo niente per essere costruttivi in Iraq a questo punto". Gates è andato oltre, ammettendo, "Penso che le nostre difficoltà abbiano fornito loro opportunità tattiche nel breve periodo…".
 
Conclusione
 
Il regime saudita è storicamente ed inestricabilmente legato al suo alleato USA, ma sta cominciando a rendere meno chiare le premesse della sua politica migliorando i rapporti con la Russia, la Cina, l’India ed altre potenze. L’arabia Saudita vuole arrivare al punto in cui la Cina, la Russia gli USA e l’Europa hanno tutti un interesse alla stabilità del Golfo, così che esso non sia più la sfera di influenza di alcuno, e tutti hanno bisogno di lavorare insieme per garantire stabilità per proteggere la propria sicurezza economica. Le altre priorità dell’Arabia Saudita sono convincere le nazioni con influenza regionale che la guerra settaria tra Sciti e Sunniti deve essere fermata alle frontiere dell’Iraq, che la militanza iraniana deve essere contenuta, e che il mondo arabo sunnita, di cui l’Arabia Saudita è parte, deve essere sostenuto nell’interesse stesso dell’Occidente.
 
Dal momento che il mondo guarda all’Arabia Saudita per lo più come un fedele alleato USA essa deve ora rendere evidente il suo ruolo pro-attivo attraverso l’azione. Anche con l’Arabia Saudita che ricerca una posizione indipendente in questa pericolosa regione, gli USA continuano ad avere un profondo interesse nella stabilità saudita. In una parte del mondo in cui l’America ha pochi amici e molti nemici, Re Abdullah è l’ultima speranza per gli USA, così come per i Sauditi.
 
Nel contesto di una aggressiva politica estera USA e di un forte legame USA-Israele, cambiare l’immagine del regno tra il pubblico americano richiederà grandi sforzi. Non c’è modo di cambiare l’immagine dell’Arabia Saudita senza definire chiaramente gli obiettivi degli USA nella regione. Negli ultimi 18 mesi l’Arabia Saudita ha cercato di tenere insieme la relazione bilaterale con gli Stati Uniti, che diradarono i colloqui per la mancanza di democrazia dell’Arabia Saudita, anche se le osservazioni del re al summit arabo non hanno molte possibilità di trovare buona accoglienza negli USA. Dal momento che Israele non sembra voler desistere dall’attaccare la Palestina, il Libano e incoraggiare attacchi alla Somalia, Ryad deve essere estremamente cauta nel giocare un ruolo di equilibrio.
 
Inoltre Tel Aviv utilizza attacchi aerei in questi paesi per ragioni interne. Il 4 Aprile Israele ha detto di non poter accettare compromessi come quelli proposti in parti del piano di pace, compreso il diritto al ritorno dei Palestinesi e Gerusalemme Est come  capitale del nuovo stato palestinese. Il primo ministro Ehud Olmert offre di tenere un summit con tutti gli stati arabi moderati per discutere il futuro delle proposte. Al summit di Ryad, il gruppo dei membri della Lega Araba impegnati a spingere l’iniziativa fu composto da 4 degli11 stati, e cioè i 4 alleati degli USA: Emirati Arabi Uniti, Egitto, Arabia Saudita e Giordania.
 
L’occidente sembra assai interessato a vedere Israele accettato dal mondo arabo in posizione di leader, e gli USA finanziano ed assistono le aggressioni esterne alla Palestina ed al Libano. Israele gode del supporto attivo di diversi paesi non occidentali. L’occidente, come l’oriente ha pertanto fatto di Israele un grande mercante di armi nella regione. Pertanto non è sufficiente che le nazioni arabe siano finalmente arrivate a comprendere la questione nevralgica del Medio Oriente. La domanda principale rimane senza risposta: le nazioni musulmane, arabe e non arabe, si uniranno almeno ora per affrontare le sfide globali all’islam e alle nazioni musulmane provenienti da un mondo unipolare sulla base di un programma unico? Re Abdullah, che ha agito appropriatamente per riattivare il Piano di Pace per il Medio Oriente, potrebbe assumere la guida anche in questa direzione. Cosa accadrà in seguito dipende largamente dalla fermezza di Abdullah e da come gli USA reagiscono alle sue audaci iniziative, come dalla coesione e dalla azione congiunta delle nazioni arabe.
 
 
 
Dr Abdul Ruff Colachal è un ricercatore presso la Scuola di Studi Internazionali dell’Università Jawaharlal Nehru, di Nuova Delhi
 
Traduzione Gianluca Bifolchi
 
 
 
 

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