Il padre della piccola Hadil uccisa un mese fa da un missile israeliano ringrazia Haniyah per aver devoluto il suo stipendio alla sua famiglia.

Riportiamo qui di seguito, nella traduzione del dott. M. Khalil, nostro collaboratore di redazione, la commuovente storia raccolta dal nostro corrispondente da Gaza, M. Habib, della tragedia che un mese fa ha colpito i Ghaban, una tranquilla famiglia della Striscia di Gaza, uccidendo la piccola Hadil, ferendo tutti i componenti e distruggendo l’abitazione.

Il Premier palestinese, Ismail Haniyah, in una esemplare azione di generosità (ricordiamoci che il governo è senza fondi a causa del boicottaggio israeliano, statunitense e europeo), ha devoluto il suo primo stipendio a questa famiglia.

 

Dal nostro corrispondente.

Hadil Ghaban, la bimba di otto anni – la martire e la testimone della punizione collettiva israeliana.

 

Un casa semplice in mezzo alle altre abitazioni dei profughi del villaggio di Beit Lahia, a nord della Striscia di Gaza.

Ci siamo recati in visita alla famiglia della bimba Hadil Ghaban: la casa è ancora distrutta, e il disordine è presente. Il fragore delle bombe scuotono l’area e seminano paura e terrore tra i bambini e le donne. L’immagine sembra il prolungamento della vita di miseria e delle difficoltà di cui soffre ogni famiglia e ogni madre palestinese che ha perso il figlio senza aver commesso reato alcuno.  Il sorriso è sparito dalle facce, la tristezza è diventata parte integrante degli occhi.

La domanda della mamma triste è scontata: per quale peccato è stata uccisa la mia figlia? E per quale motivo vengono uccisi i nostri figli? Loro non hanno sperato più del loro diritto di vivere una vita dignitosa.

 

Ho cominciato con il rivolgere domande al padre di Hadil, Mohammad  Al-Ghaban, su ciò che sperava per sua figlia prima perderla a neanche otto anni di età, quando il missile israeliano ha devastato la loro casa, il dieci aprile scorso. E lui ha iniziato a rispondere con una voce che usciva con la stessa angoscia del rumore delle bombe che ancora continuano a cadere, l’una dopo l’altra, sui villaggi: “Prima di uscire di casa è corsa verso di me per chiedermi due shekel. Io le ho chiesto a cosa le servissero e lei mi ha risposto con innocenza: ‘voglio comprare una penna e un quaderno e tenermi il resto’. Ho replicato: ‘Quando torno te li darò’, nonostante che i due Shekel erano nella mia tasca ma avevo fretta e preferivo darle i soldi al mio ritorno. Ma lei se li è fatta prestare i soldi da suo cugino. Non sapevo di dover tornare e trovare la distruzione e la morte della una bambina, che si era accorta che quelli come lei non hanno futuro senza la penna e il quaderno”. E ha detto con amarezza che non gli passerà: “Avrei voluto averle dato io i due Shekel”.

 

I momenti della morte.

Umm Husam – la madre, nella sala della casa, appare in tutta la sua maternità infranta, mentre i suoi piccoli, intorno a lei, le chiedono di resistere insieme al bimbo che nascerà in una situazione più difficile che mai – racconta con tristezza: “Quella mattina ero andata al mercato, Hadil mi aveva chiesto di comprarle un elastico per i capelli e un paio di scarpe. Le ho comprato tutto e le ho promesso di comprarle un pigiama il venerdì successivo. Quel giorno è stata la prima volta che l’ho sentita dire ‘voglio morire martire’”.

E aggiunge: “Alle quattro del pomeriggio eravamo tutti seduti in una stanza sola, mentre Hadil giocava con la sua amica Jacklin; all’improvviso una bomba si è conficcata nella nostra vita, nella manier più brutale”. La madre sussurra meravigliata: “Tutti noi siamo stati colpiti in maniera diversa, ma Hadil è morta. La sua amica non si è fatta nulla: le hanno tolto di dosso solo la polvere”.  Umm Usama spiega che è stata colpita con tutti e otto i suoi figli: Tahrir, Iman, Bassam, Ghassan, Munir, Amneh, Rana e Rwan, e che Hadil era coraggiosa, sveglia, brava a scuola. Non si aspettava la notizia della sua morte al risveglio dal coma. E in quel momento si è fatta coraggio in Dio.

 

Il cecchino e il piccione.

Umm Husam accarezza i capelli della figlia più piccola e con un tenero sorriso dice: “Ogni settimana i suoi fratelli si recano alla sua tomba e lasciano dei fiori. Tranquillizzano le loro anime che sentono nostalgia della loro sorella. Quale colpa hanno i bambini per ucciderli? Non importa se cade la casa che mio marito ha costruito mattone per mattone con il suo sudore e con i debiti. Ciò che mi fa male è la morte di mia figlia”.

Tahrir, la sorella di Hadil sta attraversando un momento delicato: si sta preparando per gli esami di maturità, ma non sa come arrivare a scuola, perché è stata colpita alla schiena dai frammenti del missile. Racconta con calma, piena di amarezza e sofferenza: “Avevo assunto la responsabilità di insegnarle, mentre lei, nonostante la sua tenera età, mi aiutava nelle faccende di casa. Ricordo che quel giorno avevo aiutato lei e l’altra sorella, Amna, a fare il bagno, ma a Hadil non avevo pettinato i capelli perché era andata subito a giocare con le sue amiche. All’improvviso, una bomba ha colpito il tetto della casa, lo abbiamo sentito cadere sulle nostre teste. Non ho potuto vedere mia sorelle al momento della morte”. E ha sussurrato: “Abbiamo pensato di trasferirci lontano da qui, per vivere in pace, ma come facciamo a lasciare la nostra terra, che è l’unica dignità che noi abbiamo?”.

 

Un’attenzione umana profonda.

Il padre di Hadil considera la decisione del Primo Ministro Ismail Haniyah di devolvere il suo primo stipendio alla sua famiglia, un atto inaspettato, proprio a causa delle difficoltà economiche che sta attraversando il popolo palestinese e la difficile situazione in cui si trova il nuovo governo. Ha ringraziato Haniyah: “Io non voglio niente da nessuno perché conosco la situazione attuale, ma apprezzo ciò che ha fatto il Primo Ministro quando è venuto a porgerci le sue condoglianze per la morte di Hadil; Non mi aveva promesso nulla, ma il solo fatto che abbia sentito la mia sofferenza, mi ha sollevato il morale”.

 

Ricordi della sofferenza.

Abu Husam racconta di essersi salvato dal bombardamento: “Sono uscito di casa qualche minuto prima della tragedia per visitare qualche amico. Mentre ero per strada, ho ricevuto quell’odiata telefonata che mi ha informato di quanto era successo. Sono tornato subito alla mia casa, distrutta. Mi sono sentita svenire. Pensavo che non fosse rimasto vivo nessuno”. E aggiunge che dopo è andato agli ospedali di Ash-Shifa, Kamal Odwan e An-Nasr per cercare i suoi figli, sottolineando che ha fede nel destino di Allah, nella sorte e nell’accettazione della realtà.

Dal suo punto di vista il mondo deve dare al governo di Hamas la possibilità e il tempo necessario, perché è stato eletto dal popolo liberamente. Nonostante tutto ciò che sta succedendo ha speranza del successo fututo dell’attuale governo.

Abu Hussam ricorda la tenerezza di Hadil quando gli massaggiava i piedi se si sentiva stanco, oppure quando gli chiedeva qualsiasi cosa, usando la sua consueta espressione “mi raccomando papà”.

E aggiunge che lui lavora come autista e nel commercio dei piccioni e degli uccelli, ma che ora ha venduto l’auto, e che la
vita che affronta insieme alla sua famiglia è molto difficile a causa dei continui bombardamenti che influiscono negativamente sulla stabilità psicologica e sullo studio dei suoi figli che frequentano classi diverse. Ma che, nonostante tutto, ha deciso di non partire.

Vuole ricordare che un ufficiale israeliano ha chiesto scusa per quello che è successo e gli ha offerto di lavorare in Israele attraverso un permesso speciale, ma che lui ha rifiutato sia le scuse sia l’offerta ignobile. Inoltre, che l’ufficiale israeliano gli ha chiesto dove lui e la sua famiglia avrebbero dormito a seguito della distruzione della casa, e che lui gli ha risposto: “Sicuramente per la strada”. E aveva negato che i missili della resistenza fossero stati lanciati dalla sua casa, come sosteneva l’ufficiale, che lui ha denunciato in un tribunale israeliano.

 

Sensazioni particolari.

Il bambino Ghassan, con gli occhi verdi lucidi di tristezza, alla fine dell’incontro mi accompagna fino alla strada principale, perché in quelle alternative, tra i campi dove si trova la loro casa distrutta accanto a quella provvisoria dove dormono, è stato ucciso un’ altra persona, sempre per i bombardamenti. Quest’immagine lascia un senso di smarrimento e di lutto a qualsiasi visitatore. E’ un luogo che trema a causa delle bombe che cadono continuamente, e che minacciano la vita dei bambini e dei grandi. E si ha la certezza che Hadil non sarà né la prima né l’ultima.

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