Il piccolo sporco segreto di Israele: “gli esiliati residenti” cui vengono negati i diritti fondamentali

Memo. Di Daud Abdullah. Inevitabilmente, il 65esimo anniversario della Nakba, catastrofe, palestinese è stato messo in ombra dalle richieste di esercitare il diritto al Ritorno dei rifugiati. Nonostante la grande maggioranza dei palestinesi viva in esilio forzato, concentrando quindi l’attenzione sulla loro richiesta, ci sono, oggi giorno, circa 370.000 “esiliati residenti” (IDPs) dentro lo Stato di Israele. A queste persone è inoltre negato il diritto di tornare alle proprie case e villaggi. L’anniversario della Nakba non può non ricordare queste persone.

A differenza dei loro compatrioti della Diaspora mondiale, i Palestinesi esiliati in Israele godono di pochissima assistenza internazionale e sono ancora meno protetti. Da quando l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA) ha smesso di fornire loro servizi nel 1952, i Palestinesi sono rimasti rifugiati nella propria terra e cittadini di seconda classe nello stato fondato intorno a loro.

Fin dal principio, Israele non ha mai avuto l’intenzione di accordare uguali diritti ai 150.000 Palestinesi che sono rimasti sulla propria terra, mentre 750.000 compatrioti venivano spinti all’esilio, nonostante un’iniziativa presentata nella sua “dichiarazione di indipendenza” per “sostenere la totale uguaglianza sociale e politica di tutti i cittadini, senza distinzione di religione, razza o sesso”. I Palestinesi sono sempre stati considerati come una “quinta colonna” e come una minaccia alla sicurezza dello Stato. In quanto tali, sono stati soggetti al governo militare dal 1948 al 1966.

Secondo la legge di Israele, le IDPs (persone esiliate, ma residenti all’interno dello Stato) sono presenti nella misura in cui sono obbligate a pagare le tasse, ma assenti in termini di diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria, all’acqua e all’educazione. A queste persone è stata assegnata l’assurda definizione legale di “presenti assenti”, tale definizione esiste solo in Israele.

Senza alcuna considerazione per i loro diritti alla proprietà privata, lo Stato ha usato la propria Legge sulla Proprietà degli Assenti del 1950, confiscando qualcosa come il 97% delle terre palestinesi, lasciando ad 1 milione e mezzo di “cittadini” Palestinesi l’accesso al restante 3%. Questi territori vengono amministrati dallo Stato oppure vengono assegnati a Istituzioni sioniste come ad esempio il Fondo Nazionale Ebraico (JNF) ad uso esclusivo degli ebrei. Normalmente viene data priorità agli Ebrei americani, seguiti dagli europei, dai russi e da Ebrei in altri paesi

Mentre ai villaggi palestinesi, che esistevano prima dello Stato d’Israele, vengono negati i servizi di base, agli insediamenti ebraici di nuova costruzione viene garantito qualsiasi servizio. Nel 1992, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha stabilito che i villaggi palestinesi siano collegati al sistema idrico nazionale di Israele. Ciò non è ancora stato messo in atto.

Ad un altro livello, la legge sulla Regolamentazione e la Costruzione proibisce ai palestinesi di effettuare ristrutturazioni, per non parlare di costruire case su terre che Israele classifica come “terreno agricolo” o come “di zone militari chiuse”. I villaggi palestinesi, soprattutto nel Negev e nella Galilea, non sono riconosciuti dallo Stato e perciò “illegali”, per definizione. Lo scopo nascosto di tutte queste classificazioni di Israele è di forzare i suoi cittadini palestinesi ad andarsene: si tratta, in altre parole, di pulizia etnica segreta.

Se le case palestinesi in Cisgiordania, compresa Ramallah, vengono distrutte nell’impunità, con il pretesto che gli abitanti non hanno una autorizzazioni valida, ci si può solo immaginare cosa venga fatto nei “villaggi non riconosciuti” in quello che Israele considera come proprio territorio. Utilizzando la Legge di Emergenza ereditata dal Mandato Britannico, gli ufficiali spesso affiggono notifiche sulle case destinate alla demolizione, che vengono perciò distrutte entro le successive 48 ore.

Nel Negev, il Cantro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele, Adalah, ha segnalato la distruzione di 2200 case e lo spostamento forzato di più di 14.000 persone tra il 2008 e il 2011. In questi villaggi donne e bambini muoiono durante il parto, poiché non hanno accesso all’assistenza medica di base, che viene invece fornita agli immigrati ebrei nel momento in cui atterrano all’aeroporto di Tel Aviv.

Ciò nonostante, il fatto che i palestinesi in Israele, quest’anno, abbiano ricordato l’anniversario della Nakba in tutto il paese dimostra che dopo i 65 anni Israele ha fallito nel tentativo di cancellare il loro senso di identità e il legame alla loro terra. Israele non ha nemmeno avuto successo con le proprie leggi discriminatorie mirate a rompere i legami tra loro e il resto del popolo palestinese, al contrario questo legame è diventato più forte. Tutti i palestinesi a quest’oggi, condividono l’aspirazione comune di ritornare alle proprie case. Dopo tutti i sacrifici che hanno fatto negli ultimi 65 anni è inconcepibile che il Palestinesi esiliati in Israele si sottomettano ad un’ulteriore pulizia etnica.

Il problema degli esiliati residenti in Israele differisce solo marginalmente da quello degli altri rifugiati nella diaspora. Senza dubbio, tutti condividono l’esperienza comune di espropriazione e deportazione, ma il fatto che gli esiliati residenti non abbiano attraversato i confini internazionali, questi ultimi non hanno accesso agli aiuti umanitari dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e dall’ Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione, che hanno avuto una brusca interruzione nel 1952 quando Israele ha deciso di prendere la popolazione sotto la propria responsabilità. Molto semplicemente, in maniera molto cinica, il governo d’Israele voleva distoglierle la tensione dal maltrattamento dei propri cittadini palestinesi, che aveva ricevuto una sanzione ufficiale, e impedire loro di avere accesso ad una protezione legale internazionale.

L’intera storia degli esiliati residenti in Israele deve ancora essere raccontata. Dopo 65 anni il loro sogno di ritorno rimane irrealizzato. Come la generazione che fu forzatamente sfollata nel 1948, anche loro hanno il diritto di tornare alle proprie case. La loro vita, le loro lotte e i loro sacrifici negli ultimi sessant’anni sono stati tutti rivolti verso l’obiettivo di ritornare. Israele lo potrà ritardare per qualche tempo ma non potrà impedirlo nel lungo termine, perché nessun popolo nella storia ha mai accettato completamente la perdita della propria terra natia. Il giorno dei Palestinesi arriverà, con o senza l’approvazione del governo israeliano.

Traduzione a cura di Cinzia Trivini Bellini