Il tasso di crimini contro gli arabo-israeliani rivela un’intollerabile discriminazione statale

MEMO. I cittadini palestinesi di Israele – gli arabi israeliani – stanno assistendo a un costante aumento della violenza e dell’uso delle armi da fuoco contro la loro comunità. Il numero delle vittime di omicidio è aumentato in modo allarmante. Secondo i dati della polizia israeliana, 77 cittadini arabi, dei quali 11 donne, sono stati uccisi solo quest’anno. Nel 2018 la cifra è stata di 75, di cui 15 donne; nel 2017, 72, di cui 10 donne; nel 2016, 64, di cui 10 donne; e nel 2015 58, di cui 14 donne.

Ci sono un milione e mezzo di cittadini palestinesi di Israele, quasi il 20% della popolazione totale, ma il tasso di omicidi è sproporzionato rispetto al loro numero. Ciò ha portato i leader della comunità ad accusare le autorità e la polizia israeliane di non perseguire adeguatamente i criminali e di non sequestrare adeguatamente le armi illegali. Per condannare il silenzio ufficiale di Israele sul tasso di criminalità si sono tenute delle manifestazioni.

La comunità araba in Israele non è violenta per natura, sebbene ci debbano essere, ovviamente, individui violenti al suo interno. La maggior parte degli omicidi nella comunità araba sono frutto di controversie tra criminali e di violenza domestica. Si ritiene che la discriminazione del governo tra i cittadini ebrei e arabi di Israele abbia portato a una mancanza di risorse nella comunità palestinese che potrebbe aiutare ad allontanare le persone dal crimine. È anche possibile la summenzionata mancanza di un adeguato coinvolgimento della polizia.

La situazione è intollerabile e richiede l’intervento del governo in quanto questione di sicurezza di importanza nazionale. Se tali crimini fossero stati commessi tra ebrei israeliani, avrebbero costretto il Primo Ministro israeliano a saltare dalla sedia, insieme ai capi dei servizi di sicurezza interna e della polizia. Tuttavia, ciò non sta accadendo perché il governo israeliano considera il crimine nella comunità araba come una questione interna.

Vi è quindi una mancanza di fiducia nella polizia tra gli arabi israeliani. Ciò non sorprende. Nel corso del 2019 sono state presentate accuse in appena il 30% dei casi di omicidio nella comunità araba; solo 22 dei 72 crimini sono stati risolti. Al contrario, sono state presentate accuse nel 58% dei crimini simili nella comunità ebraica, dove i casi risolti sono stati 21 su 36.

Tale discriminazione ufficiale contro i palestinesi si riscontra anche nell’istruzione, nella salute e nell’occupazione. Ad esempio, lo stato spende il doppio per l’educazione ebraica rispetto a quanto spende per l’educazione dei cittadini arabi. I cittadini non ebrei semplicemente non hanno accesso alle stesse risorse dei loro vicini ebrei e mancano di parità in questioni come i referendum, anche su questioni come andare in guerra o firmare accordi di pace. Questa è un’altra prova della discriminazione razziale di Israele contro le popolazioni indigene, che sembra quasi dare ai criminali il via libera per aumentare le loro attività illegali nella consapevolezza che è probabile che i funzionari chiudano un occhio.

Il 90% degli ebrei in Israele vive separato dagli arabi in base alla separazione etnica. Molte comunità ebraiche hanno comitati che decidono se i palestinesi possono vivere nella stessa città o villaggio o se sono “socialmente inadatti” a farlo. Perfino in grandi città miste come Gerusalemme, Haifa, Acri, Lod e Jaffa vige un sistema di separazione, con ebrei e palestinesi che vivono in quartieri distinti.

Vi è un forte sostegno tra gli ebrei israeliani alla separazione in stile apartheid. Un sondaggio ha dimostrato che il 74% degli intervistati è turbato quando sente l’arabo, la lingua madre di un quinto della popolazione, che viene parlato nelle vicinanze. L’88% è preoccupato che il figlio si innamori di una ragazza araba.

Le politiche palesemente razziste di Israele contro i palestinesi con cittadinanza israeliana proibiscono loro di acquistare o affittare proprietà appartenenti all’Agenzia ebraica o al Jewish National Fund. Anche quando un tribunale consente loro di acquistare, la decisione rimane puramente teorica. Una cinquantina di rabbini ha condannato gli ebrei che affittano e vendono case ai palestinesi. Il vice sindaco di Karmiel ha attivato una linea affinché gli ebrei possano chiamare per informare se i loro vicini vendono le loro case ai palestinesi.

Un sondaggio condotto tra 1300 studenti arabi nelle università israeliane ha rivelato che il 50% di loro ha affrontato il razzismo e la discriminazione nel corso degli studi. Il 40% ha rilevato osservazioni razziste fatte dal personale accademico. Il 30% degli studenti arabi ha dichiarato di non poter fare domanda per borse di studio.

È difficile separare tali politiche discriminatorie nei confronti degli israeliani arabi da parte di fornitori di servizi come comuni, ministeri e università per l’ovvia copertura fornita loro dal governo israeliano, che su tali pratiche chiude un occhio. Alla base di tutte queste discriminazioni c’è un sistema legale che include la Legge sulla nazionalità del 2018, che stabilisce che Israele è la patria nazionale degli ebrei e che i simboli ebraici e sionisti sono alla base dell’inno nazionale e della bandiera israeliana. La preferenza è data al carattere ebraico rispetto alla democrazia.

Il parlamento israeliano, la Knesset, svolge un ruolo importante attraverso l’adozione di molte leggi razziste dirette contro i propri cittadini arabi. Sono al momento in vigore più di 65 leggi discriminatorie. Tra esse la legge sulla cittadinanza, la legge Nakba, la legge israeliana sulla cittadinanza, la legge sull’espropriazione delle terre, la legge sulla prevenzione delle chiamate alla preghiera.

E questo non succede solo a livello ufficiale. Il razzismo israeliano nei confronti degli arabi è espresso dagli ebrei che cantano “Morte agli arabi” durante le celebrazioni nazionali, durante gli eventi pubblici e negli stadi. La stessa cosa si nota sui social media, dove i post razzisti anti-arabi di solito ottengono migliaia di “Like”.

Le statistiche ufficiali rivelano che gli israeliani incitano contro gli arabi ogni 66 secondi sui social media: Facebook è la piattaforma più utilizzata da questo punto di vista, seguita da Twitter. Nel solo 2018 si sono contati 474 mila 250 post spregiativi, razzisti e provocatori rivolti ai palestinesi, su social media in gran parte israeliani. La risposta di Facebook alle lamentele al riguardo è lenta. Al contrario, se gli israeliani arabi cercano di usare i social media per mostrare solidarietà ai palestinesi nella Striscia di Gaza durante le offensive militari israeliane, essi devono affrontare aggressive campagne anti-palestinesi, che ricevono la chiara approvazione della piattaforma, non venendo tali posti aggressivi rimossi.

I social media sono un’arma a doppio taglio in questo senso. La discriminazione contro i cittadini palestinesi di Israele è in atto da decenni sotto i nostri occhi, ma ora è molto facile pubblicizzare le trasgressioni ed evidenziare la vera natura dell’auto dichiarato “stato ebraico”. Tuttavia, è necessaria un’azione molto più ampia per sradicare la discriminazione ufficiale di Israele contro i palestinesi all’interno dello stato.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice