‘Io, Ulisse italiano a Gaza’.

Da www.lastampa.it

30/8/2008 (9:47) – PERSONAGGIO

"Io, Ulisse italiano a Gaza"
E’ sbarcato con la cognata
di Blair a bordo di "Free Gaza"
e non è voluto ripartire
FRANCESCO MOSCATELLI
TORINO
Nei prossimi giorni sarò ospite di una famiglia palestinese a Rafah, ma per il momento resto a Gaza City, a fare da scudo umano per i pescatori. Ieri ci siamo spinti a 10 miglia dalla costa, sfidando tre navi della Marina israeliana. In 14 ore abbiamo pescato sei volte quello che pescano di solito, quando non possono oltrepassare le 3 miglia». Vittorio Arrigoni, l’italiano sbarcato il 23 agosto a Gaza con un gruppo di attivisti per i diritti umani, fra i quali Lauren Booth, la cognata di Tony Blair, ha la voce tranquilla. Alle avventure, lui, ci è abituato. In questi giorni è bloccato per sua stessa volontà nel cuore di una delle regioni più calde del Medio Oriente, senza preoccuparsi di come e quando potrà rientrare in Italia.

Trentatré anni, di Cantù, durante l’anno lavora come tuttofare nella ditta di famiglia: «Magazziniere, autotrasportatore, quello che capita – scherza – Sono figlio di un imprenditore, ma di quelli dal cuore rosso. Mia madre è sindaco di un piccolo comune e io sono cresciuto a pane e politica». Negli anni scorsi ha fatto il cooperante in Bosnia, l’osservatore internazionale durante le prime elezioni democratiche in Congo, ed è stato più volte in Cisgiordania. «Diciamo che oggi avrei qualche difficoltà a passare il confine israeliano – spiega -. L’ultima volta mi hanno espulso e mi considerano una persona non gradita».

A Gaza Vittorio è arrivato il 23 agosto, dopo un viaggio rocambolesco. «Sono atterrato ad Atene a fine luglio e poi mi sono trasferito su un’isoletta dell’Egeo, dove mi aspettavano altri quattro attivisti – racconta -. Abbiamo lavorato in gran segreto per 15 giorni, per sistemare un vecchio peschereccio ribattezzato “Free Gaza”. Il 13 siamo salpati alla volta di Creta, dove ci siamo ricongiunti con i ragazzi del “Liberty”». Altre 40 ore in mezzo al mare e le due barche dell’organizzazione «Free Gaza Movement» hanno raggiunto la Striscia. «Era dal 1967 che una nave internazionale non sfondava il blocco israeliano – spiega -. Abbiamo avuto mille problemi: i due capitani greci che avevamo assoldato ci hanno abbandonato dopo aver ricevuto minacce telefoniche e quando eravamo nelle acque internazionali internet e i telefoni cellulari sono saltati».

Nella mattinata di ieri, dopo i saluti in grande stile della popolazione locale, le due barche sono ripartite verso le coste cipriote con a bordo sette palestinesi. Arrigoni, invece, è rimasto a terra. Per sua libera scelta. Con lui una decina fra medici e infermieri. «Stiamo cercando di far passare il confine ad alcuni palestinesi malati, ma al valico di Eretz non ne vogliono sapere». Lui è arrivato via mare, e per gli israeliani è come se non fosse mai entrato nella Striscia. Di un visto israeliano, con il suo curriculum, non se ne parla. Il sogno proibito di «Free Gaza Movement», però, è quello di creare un vero e proprio ponte marittimo con i territori. «Il tempo di raccogliere i 10 mila euro necessari per fare rifornimento e la “Liberty” e il “Free Gaza” torneranno. Io le aspetto per rientrare a casa anche se, al momento, la mia vita italiana è congelata – spiega -. Oppure proverò alla fine del mese di Ramadan, quando riaprirà il valico egiziano di Rafah».

Nel frattempo, a Gaza, vive il suo momento di gloria: visita le famiglie, incontra i politici, si fa inseguire dai bambini che tentano di rubargli il berretto da lupo di mare. Un vezzo, per uno che è nato e cresciuto all’ombra delle Alpi. Anche le autorità palestinesi lo trattano con i guanti di velluto: hanno intitolato una piazza alle due imbarcazioni e hanno dato a tutti gli attivisti la cittadinanza onoraria. «Vogliono perfino costruire un monumento – racconta divertito -. Siamo cani sciolti, lontani dalla politica. Non neghiamo i diritti di Israele, ma vogliamo affermare con forza anche quelli dei palestinesi. Non ci facciamo tirare la giacchetta da nessuno. Quando siamo arrivati ci aspettavano due comitati di accoglienza: uno di Hamas e uno di Fatah, ma alla fine hanno organizzato una festa tutti insieme».

Merito, forse, della cognata di Blair? «No, no, assolutamente. Lauren e Blair non si possono vedere. Hanno una visione del Medio Oriente totalmente diversa: lui non è mai stato a Gaza perché gli israeliani temevano un attentato, lei è la benvenuta in ogni casa palestinese». I timori che possa succedere qualcosa, però, sono tanti. «I primi giorni, quando eravamo in gruppo, ci hanno messo dietro molti agenti di sicurezza. Adesso ognuno andrà per la sua strada. Conosciamo bene la Palestina e sappiamo che bisogna stare attenti, ma l’eventualità di un rapimento è remota». La Farnesina non è d’accordo: «Sconsigliamo fortemente la presenza a qualsiasi titolo di cittadini italiani nella Striscia di Gaza – spiegano dall’Unità di crisi – Inoltre la Marina Militare Israeliana ha ribadito che impedirà l’accesso a tutti i natanti di qualsiasi nazionalità nelle acque territoriali di Gaza. Il Consolato Generale a Gerusalemme ha fortemente raccomandato ad Arrigoni di esercitare la massima prudenza e di mantenersi in costante contatto, informandolo preventivamente delle iniziative che intenda intraprendere per lasciare Gaza». Lui però fa spallucce: «Se divento un caso ben venga, servirà per sottolineare l’assedio a un milione e mezzo di persone».

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