Israele respinge le condizioni di Abbas per la prosecuzione delle trattative di pace

Gerusalemme-Ma’an. Nella giornata di martedì 22 aprile, il presidente dell’autorità palestinese Mahmud Abbas si è dichiarato disposto a proseguire nelle trattative di pace con Tel Aviv a patto che quest’ultima accetti determinate condizioni, tra le quali la sospensione delle attività d’insediamento. Tali condizioni sono però state respinte in modo categorico.

Abbas ha elencato le richieste palestinesi durante l’incontro con i giornalisti israeliani, tenutosi al quartier generale di Ramallah, ad una settimana dalla scadenza del periodo di 9 mesi stabilito per lo svolgimento delle trattative di pace.

Mentre l’incontro del presidente palestinese con la stampa israeliana aveva luogo, l’inviato statunitense Martin Indyk si è recato ad un nuovo vertice con le autorità di Tel Aviv, al fine di rilanciare le trattative in fase di stallo.

Durante la suddetta conferenza stampa, Abbas ha dichiarato di essere disposto a posticipare la scadenza delle trattative (fissata per il 29 aprile) a patto che Israele accetti di discutere dei confini del futuro stato palestinese procedendo inoltre alla liberazione del gruppo di prigionieri che Tel Aviv si era già da tempo resa disponibile a rilasciare.

“Dovranno inoltre cessare completamente le attività d’insediamento israeliane in Cisgiordania e nella Gerusalemme occupata”, ha aggiunto il presidente dell’autorità palestinese, sottolineando che “i confini tra Israele e Palestina dovranno essere definiti nel giro di uno, due, massimo tre mesi”, qualora si decidesse di procrastinare la scadenza delle trattative.

Da molto tempo l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e la comunità internazionale considerano le attività d’insediamento israeliane come il maggior ostacolo al processo di pace nell’area.

Le trattative si sono arenate il mese scorso, nel momento in cui Israele, contravvenendo all’accordo siglato nel luglio 2013, si è rifiutata di rilasciare il quarto ed ultimo scaglione di 26 veterani palestinesi.

“Chi impone certe condizioni non desidera affatto la pace”, ha dichiarato all’agenzia di stampa AFP un esponente di spicco dell’autorità israeliana che ha chiesto di rimanere nell’anonimato.

Sempre la medesima fonte ha precisato che le attività d’insediamento nella Gerusalemme occupata non verranno affatto arrestate, negando inoltre qualsiasi possibilità che Tel Aviv accetti di intavolare trattative che riguardino solo ed esclusivamente i confini nazionali non prendendo in esame problematiche fondamentali come quelle legate ai rifugiati, al destino della città santa, alla sicurezza ed alle dinamiche di mutuo riconoscimento fra le due entità statali.

“E’ impossibile parlare di confini nazionali senza aver prima risolto tutte quelle questioni” ha aggiunto la fonte israeliana.

La fonte ha poi precisato che Tel Aviv ha intenzione di rilasciare l’ultimo gruppo di veterani nel territorio della Striscia o all’estero sottolineando che “i Palestinesi erano perfettamente al corrente di questa decisione” e che “Israele non ha mai pensato di contravvenire agli accordi rifiutandosi di liberare i prigionieri”.

Israele ha pubblicato numerosi progetti che prevedono la realizzazione di migliaia di unità d’insediamento in Cisgiordania.

Dall’inizio delle trattative, nel luglio scorso, l’occupazione ha ucciso 60 Palestinesi.

Le autorità israeliane si sono rifiutate persino di discutere del ritiro dei soldati e dei coloni dalla valle del Giordano, che rappresenta circa un terzo della Cisgiordania.

Traduzione di Giuliano Stefanoni