La condizione araba e la perseveranza palestinese a Gerusalemme

PIC. Di Abdul Samad Bin Sharif. 
E’ difficile convincere le nazioni arabe sull’inutilità della Lega degli Stati arabi e di tutte le sue infrastrutture e istituzioni. Essa è debole e inerte davanti alle tempeste, ai sussulti e alle crisi regionali, incapace di prendere una decisione efficace e di agire in base a iniziative che possano limitare le crisi o portare a un riavvicinamento dei punti di vista delle parti in conflitto.
Dall’istituzione della Lega araba essa ha agito con una logica tradizionalmente istituzionale e con una mentalità che manca di realismo e di pragmatismo politico. Invece di sviluppare un modo di lavorare e di pensare finalizzato ad adattare le sue funzioni e i suoi ruoli alle trasformazioni e ai cambiamenti avvenuti nella regione e nel mondo, essa continua ad aggrapparsi ad approcci in linea con le preferenze dei regimi dominanti. Essa è soggetta a equilibri di potere che dovrebbero servire come riferimento e strumento per assicurare un livello minimo di armonia e consenso, a spese dei maggiori interessi strategici delle società arabe e delle priorità vitali che queste società considerano fondamentali.
Quando le istituzioni invecchiano e si irrigidiscono, e diventano mere costruzioni prive di spirito e di funzioni concrete, ciò le conduce alla morte e, infine, alla scomparsa. Nessuno può credere che esse possano avere un ruolo in tali condizioni, o che possano rispondere a necessità o dare risposte positive ai problemi.
Ciò che è successo a Gerusalemme, specificamente nel sito della moschea Al-Aqsa, rappresenta una sfida forte e provocatoria alla Lega araba. Nelle diverse crisi israeliane, agli attacchi e ai progetti di cambiare lo status storico per indebolire il simbolismo e la sacralità della moschea, la Lega araba sarebbe dovuta intervenire in tutti i modi con una strategia netta di sforzo diplomatico, sia a livello regionale che internazionale, seguendo un’agenda e obiettivi specifici.
Invece, come al solito la Lega araba si distingue per la retorica e per le dichiarazioni di denuncia e condanna cariche di un linguaggio che appare, in superficie, promettente e minaccioso, ma che in realtà è sommesso e servile. Israele è ben consapevole del peso reale della Lega degli Stati arabi e della gravità dei suoi discorsi, ed è ancor più consapevole dei limiti delle azioni arabe, che si limitano a una scelta accurata dei termini per alleviare la rabbia nelle strade arabe. Può un’affermazione scritta in un linguaggio teso e abbattuto – con riferimenti alla storia, alla geografia e ai simboli sacri, alle risoluzioni dell’Onu e alle sue responsabilità, e alle sue pratiche moralmente, politicamente e storicamente inaccettabili – fare qualcosa per evitare che le autorità israeliane di occupazione continuino le loro politiche provocatorie?

E’ tutto molto chiaro. Israele non avrebbe deciso di installare i meta detector per controllare i fedeli in ingresso alla moschea di Al-Aqsa se non avesse percepito che il mondo arabo è in condizione di completa frammentazione e di crisi, cosa che torna utile allo stesso stato di Israele. Esso non avrebbe preso questa decisione se l’unità palestinese non fosse stata dissolta e se i rapporti tra arabi non avessero manifestato stanchezza. Gli scambi tra paesi arabi sono pieni di odio, amarezza e accuse di tradimento, soprattutto in assenza di istituzioni democratiche, esecutive e legislative elette in condizioni di legittimità popolare, e attive per garantire sistemi legali e costituzionali che assicurino una separazione di poteri, che definiscano i ruoli delle singole istituzioni e che garantiscano la libertà e il rispetto dei diritti umani.

Al-Quds As-Sharif (il nome del monte del tempio in arabo) occupa un posto speciale nell’immaginario degli arabi e dei musulmani. Esso rappresenta la prima delle due direzioni della preghiera, la terza moschea sacra dalla quale il profeta iniziò l’Israa wa Miraaj (l’ascesa a Dio), la città dei profeti e della tolleranza, piena di simboli storici e religiosi che Israele ambisce a controllare sostenendo che la città è parte della sua storia, che cerca di piegare ai propri interessi e alla sua interpretazione del conflitto con i palestinesi. Nonostante ciò, credere al valore di Gerusalemme e della moschea Al-Aqsa e dei suoi simbolismi non basta per controllare le ambizioni delle autorità di occupazione, né a prevenire i loro sogni di annessione di Gerusalemme est e di cancellazione della sua identità araba.

Ogni volta che Israele si arrischia in imprese poco calcolate, come la decisione di installare dei posti di blocco elettronici per verificare le intenzioni dei gerosolimitani e di altri fedeli di aree limitrofe, i paesi arabi e islamici vengono messi innanzi a una sfida che richiede loro di prendere una posizione franca e decisa. Il governo israeliano di destra, guidato da Benjamin Netanyahu cerca in tutti i modi di bloccare ogni tentativo e ogni iniziativa che possano risolvere la questione palestinese. Ogni qualvolta vi siano segnali di ripresa del processo di pace tra palestinesi e israeliani, questo governo provoca deliberatamente tensioni e crea situazioni forzate al fine di evitare qualsiasi progresso in direzione di un accordo giusto e equo, demolendo perfino gli sforzi del suo alleato strategico, gli Stati Uniti. 
C’è un’opportunità storica per le fazioni palestinesi, soprattutto per Fatah e Hamas, di superare le barriere psicologiche e mentali e terminare un conflitto assurdo che non ha valore storico, politico o strategico. La coalizione governativa di destra, diretta da Netanyahu, è in stato di confusione e incertezza. Secondo il quotidiano francese Le Monde, la decisione dei cancelli elettronici è stata presa da personalmente da Netanyahu, mentre i servizi di sicurezza interna e la classe dirigente militare erano contrari. Al contrario, l’establishment della sicurezza ha appoggiato la decisione, placando la linea dura della coalizione di Netanyahu, che tende a perseguire una politica rigida verso i palestinesi.
Il governo israeliano tende a sottovalutare il livello di rabbia palestinese, illudendosi che una situazione degenerata nel mondo arabo possa permettergli di attuare i suoi piani. Ma il calcolo è sbagliato e la rabbia dei palestinesi, e dei gerosolimitani in particolare, per la profanazione della moschea Al-Aqsa non è stata prevista. Non si tratta solo di una questione religiosa, si tratta di identità, dal momento che Gerusalemme simboleggia il posto in cui i palestinesi possono godere di sovranità. Pertanto, in questo caso il simbolismo politico è più importante del sentimento religioso.
Oltre a questo si aggiunge la crisi provocata dalle autorità israeliane con la Giordania, quando un funzionario della sicurezza presso l’ambasciata israeliana ad Amman ha ucciso due cittadini giordani ignorando completamente gli accordi firmati e i sentimenti del popolo giordano, sul cui suolo l’assassinio ha avuto luogo. Fosse successo a Tel Aviv, il fatto avrebbe causato un terremoto in Israele. Netanyahu si è trovato quindi davanti a un problema, e si è affrettato a rassicurare re Abdullah e a placare la situazione a Gerusalemme.  
Conseguentemente a queste bufere, il governo israeliano si ritrova ad affrontare la rabbia palestinese in assenza di un interlocutore o di una autorità mediatrice che possa calmare le tensioni. Secondo un indagine condotta dal Canale 2 israeliano il 25 luglio 2017, il 77% degli israeliani considera la decisione di togliere i metal detector dalla spianata delle moschee come una sconfitta del proprio governo, e una vittoria dei dimostranti palestinesi.
Si chiede ai palestinesi e ai paesi arabi e musulmani di sfruttare questi errori, per farli diventare una risorsa di forza e pressione che dimostri alle autorità israeliane che ciò che esse considerano un’opportunità per violare i diritti storici del popolo palestinese dopo la caduta di molti regimi arabi, e dopo il crollo di paesi interi, è un errore di valutazione da tutti i punti di vista. La volontà e la determinazione del popolo palestinese, e la loro fiducia nella legittimità delle loro richieste e della loro causa sono fattori chiave che modelleranno il corso degli eventi, e saranno capaci di cambiare gli equilibri di potere e di sfidare tutte le cospirazioni.

Traduzione di Stefano Di Felice