La dinastia dei Sauditi e il fantasma di Juhayman al-Otaybi

La dinastia dei Sauditi e il fantasma di Juhayman al-Otaybi

Di Ghaleb Kandil.

Il comportamento dell’Arabia Saudita nella regione è seguito con particolare attenzione. Ciò è dovuto al ruolo della dinastia Saudita quale causa principale dell’aumento della violenza esercitata negli ultimi tempi dai gruppi terroristi takfiristi che, dall’Irak al Libano, passando per la Siria, arrivano a coinvolgere alcune regioni russe.

8 gennaio 2014

L’Arabia Saudita è arrabbiata e vuole un premio di consolazione. Cerca di trarre profitto dai grandi scontri in corso e si allea alla Francia. Tenta di sabotare gli accordi embrionali tra gli Stati Uniti e la Russia, un’intesa che prevede il riconoscimento del fallimento dell’Occidente in Siria e la presa d’atto dell’Iran quale potenza regionale. Questo comportamento illustra il vicolo cieco nel quale si trova il regno wahhabita in seguito al crollo della sua influenza nella regione causato grazie alla resistenza della Siria contro la guerra universale condotta dall’Arabia Saudita, da Israele, dal Qatar e dalla Turchia.

I cambiamenti intervenuti hanno minato le fondamenta del ruolo saudita consolidato da più di mezzo secolo.

L’aumento dell’importanza dell’Iran non è solo un cambiamento strategico. Questo fattore si fa sentire all’interno dello stesso Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) che costituisce la prima sfera in cui esercita l’influenza saudita. Gli sviluppi nel Bahrein e nello Yemen posano le fondamenta per un cambiamento drammatico nelle riserve di caccia del regno. La possibile istituzione di una monarchia costituzionale nel Bahrein, la consacrazione della pluralità politica nello Yemen, o la risurrezione della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, sono sfide serie. Sono ancora più serie se si considera che avranno indubbiamente delle ripercussioni all’interno della stessa Arabia Saudita, dove la collera sociale e politica, soffocata per decenni, rischia di esplodere da un giorno all’altro. D’altronde, in questi ultimi tre anni, i movimenti di protesta si sono già espressi, e continuano a farlo con forza, attraverso i social network, dove milioni di giovani dei paesi del Golfo sfogano la loro rabbia e la loro sete di libertà. 

Nell’ambito di una campagna globale volta a minacciare il mondo con una nuova generazione di terroristi, la determinazione dei Sauditi nell’utilizzare e sostenere i gruppi takfiri presenti in tutto il territorio non si spiega soltanto con la collera e la delusione dell’Arabia Saudita per le sue sconfitte in Siria. La stessa carta terrorista era stata sfruttata per quarant’anni dagli Stati Uniti, partner del regno wahhabita, prima della ritirata dell’influenza americana.

Una delle principali cause di questo comportamento saudita si spiega guardando all’interno. Diffondere il pensiero estremista serve a sviare l’attenzione dei giovani sauditi in modo che questi non chiedano i conti ad una dinastia alleata dell’Occidente che, controllando tutte le ricchezze del paese, segue uno stile di vita caratterizzato dall’estrema opulenza e da una dissolutezza senza limiti.

Si è quasi dimenticato l’incidente del sequestro della Kaaba alla Mecca avvenuto il 20 novembre 1979. Era la prima insurrezione guidata da un gruppo di takfiri sorti dal cuore dell’istituzione wahhabita. Il movimento era condotto da Juhayman al-Otaybi, uscito dai ranghi della Guardia Nazionale, che aveva studiato, con i suoi compagni, negli istituti religiosi wahhabiti ufficiali. Si è quasi dimenticata questa ribellione soffocata nel sangue, grido di protesta contro il marciume e l’ingiustizia del sistema saudita. L’appello di al-Otaybi, che rinnegava il regime saudita, aveva trovato un’eco favorevole tra i giovani sauditi. I ribelli reclutarono centinaia di giovani pronti ad impugnare le armi per assalire la Kaaba. Le forze di sicurezza saudite non riuscirono a riprendere il controllo della situazione e Riyad dovette noleggiare le forze speciali francesi per sopprimere l’insurrezione.

Un’anno dopo il movimento di al-Otaybi, la famiglia saudita al potere, cooperando con gli Stati Uniti, lanciava la prima ondata di terrorismo takfiri in Afganistan e finanziava l’armamento dei Fratelli Musulmani in Siria, allora in lotta contro lo Stato siriano che si era risolutamente opposto all’accordo di Camp David. Riyad e Washington legittimavano così le fondamenta delle reti di al-Qaida, frutto della cooperazione tra l’Occidente e i Sauditi. Questa nebulosa terrorista fu affiancata in missioni in Cecenia, in Bosnia, in Somalia, nel Sudan, in Algeria, nello Yemen, in Irak, nel Libano, in Iran, in Siria e altrove. Tutte queste guerre, finanziate dall’Arabia Saudita, erano al servizio delle strategie americane. Al tempo stesso, hanno permesso di sviare l’attenzione di migliaia di giovani wahhabiti che furono inviati alla Jihad in territori lontani. La Palestina, ovviamente, non ne faceva parte.

Tra questi giovani figurava Majed al-Majed, capo delle Brigate Abdallah Azzam, un ramo di al-Qaida che ha rivendicato il doppio attentato suicida del 19 novembre scorso contro l’ambasciata iraniana a Beirut. Le circostanze della sua cattura e della sua morte in Libano sono molto sospette. L’esercito libanese ha aspettato nove giorni prima di confermare ufficialmente il suo arresto e il giorno seguente ha annunciato la sua morte causata dal deterioramento del suo stato di salute.

L’Arabia Saudita ha esercitato forti pressioni per ottenere l’estradizione, nella paura che rivelasse i nomi dei principi e degli sceicchi sauditi dai quali riceveva ordini e finanziamenti.

Alcuni articoli della stampa libanese avevano messo in guardia contro la probabile eliminazione di Majed al-Majed, durante il ricovero ospedaliero, allo scopo di impedirgli di fare rivelazioni imbarazzanti. Hanno avuto ragione. Dopo l’annuncio della sua morte, il deputato iraniano Mohammad Hassan Asghari ha dichiarato che le sue confessioni avrebbero puntato l’indice sull’Arabia Saudita.

I Sauditi sono perseguitati dal fantasma di Juhayman al-Otaybi, colui che ha protestato con le armi contro una dinastia che sfrutta imprudentemente la religione al fine di sottomettere e accecare i poveri in modo da poter approfittare delle immense ricchezze petrolifere del paese. 

Ghaleb Kandil

New Orient News (Libano)

Tendances de l’Orient, n° 168, 6 gennaio 2014.

Articolo originale : http://www.neworientnews.com/news/fullnews.php?news_id=123139

Traduzione di Cecilia Bianchi