La disperazione di una madre palestinese mentre il figlio assassinato viene sepolto

412904CBetlemme-Ma’an. Di Yumma Patel. Il traffico del primo mattino ha cominciato a calmarsi, quando il corteo funebre è partito dal limite della città di Betlemme, e le auto accelerano verso il vicino villaggio di Tuqu, nel sud della Cisgiordania occupata.
“Guarda, guarda”, ha detto uno degli uomini che guidano il corteo funebre, indicando un gruppo di soldati israeliani di stanza sulla collina appena sopra la strada che porta agli insediamenti, “Stanno cercando di provocarci”.
Quando il traffico rallenta per un attimo, i giovani – residenti di Tuqu, dove Qusay al-Umour, un ragazzo di 17 anni, era stato ucciso meno di 24 ore prima – balzano fuori dalle auto per afferrare delle pietre che si trovano a lato della strada e scagliarle, per quanto possono, contro i soldati, non sapendo se tra di loro ci sia l’uomo che aveva sparato quattro proiettili uccidendo il loro amico.
Donne e bambini sono riuniti sui tetti, i passanti suonano il clacson e i giovani, sporgendosi dai finestrini delle auto, sventolano bandiere palestinesi e di Fatah. Sul vetro posteriore di queste auto, capeggia la fotografia al-Umour, l’ultimo “martire” di Palestina.

Migliaia di residenti  di Tuqu, villaggio natale del ragazzo, hanno invaso la strada principale – uomini e ragazzi adolescenti – e si affollano attorno all’ambulanza che trasporta il corpo al-Umour e donne e bambini, affacciati alle finestre, si asciugano vistosamente le lacrime.

Questa marea umana si è unita alla famiglia e ai compagni di scuola della vittima nel cantare slogan  mentre questi marciavano attraverso la città con il corpo del loro figlio e amico ucciso avvolto in una bandiera palestinese, la sua testa avvolta in una kuffiyeh.

Mentre il corteo si ferma davanti alla casa del ragazzo, dove le donne della famiglia al-Umour sono in attesa di dire addio a Qusay, i canti degli uomini in strada rapidamente sbiadiscono di fronte alle grida strazianti provenienti dall’interno.
“Sono loro i terroristi. Sono i i tiranni. Non mi hanno permesso di vederlo. Non lo hanno aiutato”, ha detto tra le lacrime Fatima al-Umour, la madre di Qusay. “Ho continuato a chiedere loro di prestargli soccorso anche senza portarmi con loro, ma non lo hanno fatto. Lo hanno trascinato in una zona sconosciuta e non sapevamo dove fosse. Lo hanno caricato sulla jeep, spogliato, per poi scaricarlo e lasciarlo da solo a morire”, ha aggiunto mentre si sforzava di stare in piedi, appoggiando la testa sulla spalla di un membro della famiglia accanto a lei.

“Alza la testa, sei la madre di un martire!”, le hanno gridato alcune donne nel tentativo di confortarla, “tuo figlio è un eroe!”
I tentativi di consolazione sono stati però soffocati dalle grida di Fatima.
“Figlio mio adorato! Ti hanno torturato e trascinato via. Mi hanno distrutto. Che Dio possa renderci giustizia”, ha esclamato continuando a piangere e a fissare meglio la sua kuffiyeh, mentre la troupe televisiva, i membri della famiglia e i parenti in lutto facevano calca davanti a lei.

“I soldati israeliani lo hanno trascinato in un modo brutale verso  il veicolo militare, nonostante fosse ferito a morte. Nessun altro al mondo avrebbe fatto una cosa simile”, ha affermato un uomo della famiglia, seduto accanto a Fatima, facendo eco alla frustrazione profonda derivante dalle circostanze in cui è stato ucciso l’adolescente.

I residenti di Tuqu – quelli che erano presenti agli scontri in cui è stato ucciso al-Umour, e quelli che hanno visto il video che documenta gli eventi immediatamente successivi alla sua morte – sembrano essere sicuri di due cose, ossia che lo studente di scuola superiore è stato ingiustamente ucciso dalle forze israeliane, e che non sanno, e probabilmente non si saprà mai, se Qusay fosse già morto quando i soldati hanno sequestrato il suo corpo esamine, o se sia morto sotto la loro custodia.

Il filmato girato dal giornalista palestinese Hisham Abu Sharqah subito dopo la morte di al-Umour è diventato virale sui social media, in quanto ha chiaramente contraddetto le accuse dell’esercito israeliano, secondo il quale al-Umour era stato il “principale istigatore” degli scontri di quel giorno.
Il video mostra le forze israeliane accorrere verso il corpo immobile del ragazzo, che giaceva in un campo di ulivi ad almeno 100 metri di distanza dalla strada dove gli scontri erano in corso.

Mentre i soldati israeliani raggiungono al-Umour immobile e sdraiato a faccia in giù, si vede un soldato inciampare sulle gambe di al-Umour, mentre un altro è su di lui e lo mette supino con forza prima che altri soldati arrivino. Il video mostra poi quattro soldati trascinarlo verso una una zona circondata da soldati e jeep blindate.

Anche se i rapporti iniziali hanno affermato che al-Umour è stato colpito sei volte, una fonte medica dall’ospedale Hussein a Beit Jala, dove è stato esaminato il corpo, ha dichiarato a Ma’an che l’adolescente è stato colpito quattro volte – due volte al petto, una volta in ogni fianco.

“Uno dei proiettili ha perforato cuore. Dal punto di vista medico, questo è il proiettile fatale”, ha detto la fonte.

Nonostante le opinioni mediche sul caso, che attendono ancora di essere formalizzate, Ahmad al-Umour, un cugino del ragazzo ucciso, ha detto a Ma’an che lui – come Fatima, la sua famiglia, e il resto del paese – non sa a cosa credere.

Quando gli stato chiesto di ricordare dettagli dell’incidente, e in particolare per quanto riguarda l’affermazione che al-Umour ne sia stato il “principale istigatore”, nonostante sia stato colpito da una distanza di almeno 100 metri, Ahmad, distratto e sopraffatto dal dolore, è solo riuscito a ricordare che il cugino è stato trascinato via per i piedi e le mani, ed è stato abbandonato a sanguinare, con gli abitanti dei villaggi non in grado di raggiungerlo.

“Gli hanno sparato quattro colpi al petto ed è caduto  immediatamente. Lo hanno lasciato sanguinare senza offrirgli alcun soccorso. Dopo abbiamo cercato di correre per aiutarlo, ma i soldati lo hanno portato in una base militare alle porte della città”, ha continuato Ahmad. “Poi hanno notificato all’Ufficio di Rappresentanza palestinese del suo martirio, e la sezione palestinese della Mezzaluna Rossa è andata a raccogliere il suo corpo”.

Ahmad è riuscito a dire qualche parola su suo cugino proprio mentre il corpo di al-Umour veniva portato nella moschea, l’ultima fermata del processione prima della sepoltura.

“Qusay era molto popolare tra i giovani del paese. Ha sempre aiutato tutti, ha aiutato i suoi compagni con i compiti. Era socievole”, ha detto Ahmad, aggiungendo che al-Umour era anche “attivo nella resistenza” contro i soldati israeliani che compiono incursioni regolari nel villaggio.

Interrogati su Qusay o gli eventi di quel lunedì, Ahmad, Fatima, ogni parente e ogni abitante del villaggio con cui Ma’an ha parlato, ricorda perfettamente dell’ora in cui l’adolescente è stato preso in custodia prima che il suo corpo fosse restituito. Non ricordano tanto il fatto che egli sia stato colpito al petto, quanto che l’esercito israeliano avesse il suo corpo, e per questo motivo, non potranno mai essere sicuri di quello che gli è successo.

Ogni striscione appeso nelle strade del villaggio e il poster attaccato sul retro delle vetture riproduce  l’immagine ingrandita di quattro soldati israeliani che trascinano il corpo inerte di al-Umour  con in sovrapposizione, una foto dell’adolescente ucciso, a destra, e del defunto presidente palestinese Yasser Arafat, a sinistra.

Anche se referti medici ufficiali potrebbero chiarire se al-Umour sia morto sul colpo, o se sia morto dopo essere stato trascinato dalle forze israeliane e tenuto in custodia, il sentimento di indignazione per quanto accaduto e il dubbio sulle circostanze della morte del ragazzo resteranno sempre vivi.

Secondo Ma’an, al-Umour è stato il 251° palestinese ad essere ucciso dagli israeliani nell’ondata di disordini è scoppiata in tutta la Cisgiordania occupata, Gerusalemme Est e in Israele nel mese di ottobre 2015. Anche se la maggior parte dei palestinesi è stata uccisa da Israele dopo tentativi o presunti tentativi di compiere attacchi contro gli le forze israeliane, almeno 65 di loro, come al-Umour, sono stati uccisi durante scontri con le forze israeliane.

Al-Umour è stato il quarto palestinese ad essere ucciso dalle forze israeliane nel gennaio 2017.

In decine di casi, la versione degli eventi fornita da Israele è stata contestata da testimoni, attivisti e gruppi per i diritti umani che hanno denunciato quello che hanno definito come una “politica di sparare per uccidere” a danno dei palestinesi, anche se questi  non costituiscono una minaccia al momento della loro la morte, o anche se tale minaccia avrebbe potuto essere contenuta in un modo non letale. Tutto ciò, in un contesto di totale impunità per le forze israeliane che hanno commesso le uccisioni.

Quando è stato chiesto se le autorità israeliane avessero aperto di un’indagine sulla morte di al-Umour, come hanno fatto in una manciata di casi, un portavoce della polizia israeliana ha risposto a Ma’an di “non essere a conoscenza” di alcuna indagine.

Del resto, anche se un’indagine fosse aperta, i precedenti rappresentati da casi come quello del ragazzo di 15 anni, Khalid Bahr, ucciso dalle forze israeliane nel mese di ottobre con l’accusa di lanciare pietre contro i soldati durante un raid in un villaggio attorno ad Hebron, getterebbero seri dubbi circa la trasparenza dell’indagine stessa.

Infatti, mentre i testimoni hanno affermato che Bahr stesse tornando a casa da scuola e che non stava prendendo parte al lancio delle pietre (e una indagine interna dell’esercito israeliano ha pure rivelato che la vita dei soldati israeliani non era a rischio quando Khalid è stato ucciso), non vi sono state ripercussioni gravi contro coloro che hanno colpito e ucciso l’adolescente.

Secondo il gruppo per i diritti umani Yesh Din, di 186 indagini penali per presunti reati contro i palestinesi aperti dall’esercito israeliano nel 2015, appena quattro hanno condotto a rinvii a giudizio.

Anche la morte di al-Umour avrà ripercussioni più ampie per la responsabilità delle forze israeliane, è probabile che non cambi molto per la famiglia, gli amici di al-Umour, ed suoi compaesani.

“Lo hanno portato a circa un chilometro di distanza senza dargli alcun aiuto medico e lasciandolo sanguinare a morte”, ha dichiarato a Ma’an un parente di al-Umour  durante il funerale. “Cosa si può dire dire al mondo sull’uccisione di un adolscente in questo modo? Solo che questo è un comportamento criminale e terrorista”.

Traduzione di Maddalena Iaria

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