La disumana quotidianità delle donne palestinesi rinchiuse nelle prigioni israeliane.

Gerusalemme – Infopal. Nei giorni scorsi, il Centro Palestinese per la Difesa dei Prigionieri ha reso noto che, sabato 2 agosto, le autorità di occupazione israeliane hanno liberato la detenuta Suad ash-Shayukhi (22 anni), di Silwan, Gerusalemme.

La giovane è stata liberata dopo 18 mesi di "detenzione amministrativa", cioè una prigionia in assenza di capi di accusa e senza processo.

Il Centro ha spiegato che le autorità israeliane arrestano e imprigionano decine di cittadini palestinesi in assenza di accuse, ma solo con il pretesto si tratti di casi "top secret".

La dura vita delle prigionieri palestinesi. In un’intervista rilasciata al Centro, l’ex prigioniera Suad ha parlato delle sue compagne che "conducono una dura vita di umiliazioni nelle carceri israeliane". La ash-Shayukhi ha spiegato che, in particolare, le prigioniere trasferite al reparto 11 della prigione ad-Damun, "vivono in condizioni molto difficili".

"Piango sulla situazione disastrosa delle detenute che non trovano chi le difende – ha aggiunto -. I loro diritti vengono violati senza alcun controllo. Molte sono demoralizzate e hanno sviluppato problemi psicologici che richiederebbero cure adeguate". Anche le notizie contraddittorie sullo scambio di prigionieri tra Israele e l’Anp influisce negativamente sul morale delle donne, ha precisato Suad.

Sono 98 le donne rinchiuse nelle prigioni israeliane. Alcune di loro sono malate e richiedono visite specialistiche, ma le autorità carcerarie rifiutano categoricamente di concedere loro tale diritto.

Malate di cancro. Il Centro palestinese per la Difesa dei Prigionieri ha reso noto che una detenuta, Amal Jumma, è malata di cancro all’utero e avrebbe bisogno di cure adeguate. "Sei mesi fa – ha spiegato -, la donna ha avuto un’emorragia interna, ma le autorità di occupazione si sono rifiutate di farla curare e, addirittura, di farla visitare dai medici, finché non le è stato diagnosticato il tumore all’utero". "Quando finalmente la direzione carceraria si è decisa di farla curare – ha raccontato Suad – per spostarla da una parte all’altra, dovevamo sollevarla sulle nostre spalle, perché ormai non ha più la forza di muoversi. Sembra un corpo morto. Le autorità carcerarie aspettano che muoia. Abbiamo chiesto loro una barella per poterla spostare, ma hanno sempre rifiutato".

Bambini detenuti. Ash-Shayukhi ha aggiunto: "Quando le autorità di occupazione hanno deciso di liberarmi, il 2 agosto, ho salutato le mie compagne. Non riesco a dimenticare il momento in cui ho abbracciato il piccolo Yusef az-Zeq, nato in prigione. Il bimbo continua a vivere rinchiuso con la madre, insieme a un’altra bambina, Ghada, anche lei nata in prigione. Le mamme prigioniere sono private delle visite dei loro mariti e dei loro figli".

Appello per la liberazione delle prigioniere. Suad si è rivolta alla comunità internazionale, alle associazioni nazionali, arabe e internazionali, affinché si muovano per la liberazione delle detenute palestinesi rinchiuse nelle prigioni israeliane, e le ha invitate a visitare le prigioni sioniste per constatatare "da vicino la loro sofferenza e la loro difficile vita". E ha chiesto ai capi di Stato, agli emiri, ai re arabi di "prendere a cuore la situazione delle prigioniere e a premere sulle autorità di occupazione affinché vengano liberate".

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