La famiglia chiede ad Israele il rilascio del corpo di Sami Abu Diak

Imemc e Wafa. La famiglia del prigioniero Sami Abu Diak, recentemente morto di cancro in un carcere israeliano, ha invitato i “difensori dei diritti umani” e le istituzioni umanitarie a intervenire.

La famiglia ha fatto appello alle organizzazioni per i diritti umani e umanitarie affinché spingano le autorità israeliane a liberare il corpo del prigioniero defunto per la sepoltura e a non trattenerlo in frigoriferi o seppellirlo nei “cimiteri dei numeri”.

Il padre di Abu Diak, Ahed, ha sottolineato la necessità di agire, durante un incontro con il vice sindaco di Jenin, Kamal Abu al-Rub, prima che il tribunale israeliano prenda una decisione in merito al corpo di suo figlio. Ha detto che la sua famiglia sta attraversando un momento difficile dopo la sua morte, avvenuta a causa della negligenza medica da parte del Servizio penitenziario israeliano. Il vicesindaco ha confermato gli sforzi continui con le autorità competenti per garantire il rilascio della salma di Abu Diak.

La campagna nazionale per il recupero delle salme delle vittime detenute da Israele, lanciata attraverso una lettera aperta inviata al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il 5 settembre, ha affermato che dal 1967 Israele ha applicato una politica di rifiuto della consegna delle salme di centinaia di combattenti palestinesi alle loro famiglie.

I morti sono stati sepolti in ciò che Israele chiama “cimiteri per combattenti nemici”, in tombe clandestine di massa situate in aree designate come zone militari chiuse e denominate “cimiteri dei numeri”, in quanto i defunti vi sono sepolti in modo anonimo, con numeri incisi su cartelli di metallo attaccati ai loro resti.

Traduzione per InfoPal di L.P.