La lobby palestinese al Congresso USA e tentativi per una nuova “narrativa”

-718435785PIC. Osama Abu Ershaid, direttore politico nazionale della Fondazione islamica americana per la Palestina, che ne dirige l’ufficio di Washington, nonché uno degli organizzatori dell’Action Day per la Palestina al Congresso degli Stati Uniti, ha affermato che lo scopo di questi eventi è informare i dirigenti degli Stati Uniti dell’esistenza di una voce americana che rifiuta il cieco appoggio a Israele.

Egli ha fatto notare, in un’intervista esclusiva a PIC, che simili iniziative sono un’opportunità informativa per molti funzionari statunitensi, soprattutto al Congresso. Molti di loro non sono a conoscenza dei fatti che avvengono nella Palestina occupata, né della brutalità dell’occupazione israeliana.
Abu Ershaid fa notare che questo è il terzo anno in cui la consapevolezza sulla Palestina è cresciuta a Washington DC, nello specifico, al Congresso Usa, e che l’agenda di quest’anno è limitata a tre argomenti: gli insediamenti, il programma di trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e i diritti dei palestinesi sotto occupazione israeliana.


Qual è la vostra motivazione nell’organizzare eventi per far crescere la consapevolezza sulla Palestina negli Stati Uniti, soprattutto al Congresso?
Nell’organizzare tali eventi siamo motivati dal fatto che siamo cittadini americani che hanno diritti e doveri. Ogni cittadino americano ha il diritto di appellarsi e di fare pressioni ai propri funzionari eletti, per adottare o per rifiutare certe politiche o per avvicinare alcune questioni in modo più giusto ed equilibrato.
La narrativa sulla Palestina è assente presso i dirigenti statunitensi?
Purtroppo la gran maggioranza dei dirigenti statunitensi abbraccia quasi completamente la posizione israeliana, e cerca di soddisfare i votanti ebrei americani, i loro finanziamenti e i loro alleati piuttosto che sostenere la verità e la giustizia, anche a spese degli interessi strategici statunitensi.
Qual è il proposito di questi incontri e di questi eventi?
Organizziamo questi eventi innanzitutto per far sapere a questi dirigenti che c’è un’altra voce americana, che rifiuta questo appoggio cieco. Vogliamo utilizzare i nostri voti e il nostro denaro, per mezzo della posizione dei membri del Congresso, per i valori legati a giustizia, libertà e uguaglianza per tutti, e per preservare gli interessi americani. Secondo, lavoriamo per offrire opportunità di formazione a dirigenti, specialmente al Congresso, molti dei quali non conoscono i fatti che avvengono nella Palestina occupata e la brutalità dell’occupazione israeliana, e pertanto votano da una prospettiva limitata, ignorando i fatti sul terreno e seguendo solo i propri interessi elettorali. Terzo, questi eventi contribuiscono alla creazione di una nuova generazione: musulmani, cristiani ed ebrei che rifiutano l’occupazione e l’ingiustizia contro i palestinesi, perciò attivando la loro partecipazione civica per cambiare lo stereotipo predominante su coloro che appoggiano la Palestina visti come non votanti e non impegnati nelle elezioni, vale a dire le nostre comunità palestinesi, arabe e musulmane.
Come potete contribuire a rafforzare la narrativa palestinese affinché possa affrontare quella israeliana promossa dalla lobby sionista?
Questo è il terzo anno consecutivo in cui lavoriamo per accrescere la consapevolezza sulla Palestina a Washington Dc, e nello specifico al Congresso Usa. Prepariamo una agenda specifica che quest’anno comprende tre punti: gli insediamenti, l’intenzione di trasferire l’ambasciata Usa a Gerusalemme e i diritti umani dei palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana. Cerchiamo di mettere in evidenza gli aspetti legali, umanitari e storici di ogni questione, e come il diritto internazionale e il diritto statunitense vengono applicati a questi argomenti, e all’impatto della politica americana a questo riguardo. Esaminiamo anche fino a che punto gli Usa adottino una politica che contraddice le sue posizioni dichiarate. Facciamo notare che queste posizioni si oppongono ai valori americani che enfatizzano la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per tutti, e facciamo notare l’impatto negativo che esse hanno sugli interessi strategici statunitensi e sulla sicurezza nazionale Usa.
Come presentate la vostra visione?
Per essere chiari, facciamo emergere le nostre questioni entro i valori, la sicurezza e gli interessi nazionali della classe dirigente americana, perché capiamo che il nostro lavoro è in America, non in Medio Oriente, e che possiamo influenzare solo se parliamo entro il contesto dell’America e degli americani.
Non siamo al punto di poter liberare la Palestina o di cambiare completamente la posizione degli Stati Uniti. Questo è impossibile, almeno nel prossimo futuro. Pertanto il nostro obiettivo si limita all’appoggio americano a Israele e a ritenere Israele responsabile di violazione dei valori e delle leggi internazionali e americane. Ci impegniamo affinché Israele ponga termine all’occupazione del 1967 nei Territori palestinesi, che sono considerati dal diritto americano e internazionale Territori occupati, e affinché terminino le violazioni ai diritti umani palestinesi. Ci impegniamo per porre fine alla discriminazione razziale e religiosa messa in atto da Israele nei confronti dei cittadini palestinesi con cittadinanza israeliana, e per considerare responsabili tutte le istituzioni sioniste americane che violano il diritto statunitense, compresi coloro i quali appoggiano gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est, sul principio che essi sono territori occupati. In questo contesto distinguiamo la nostra posizione dalle nostre convinzioni sui nostri pieni diritti palestinesi e dalla posizione della politica pubblica statunitense. In altri termini, lavoriamo in quanto cittadini americani, altrimenti non avremmo alcun impatto qui, e non riusciremmo mai a servire la causa palestinese. I campi di battaglia della lotta palestinese per la giustizia, la libertà e la dignità sono molti, e i nostri stanno in America. Stiamo attenti a non impegnarci con qualsiasi parte esterna o ad essere connessi con qualsiasi agenda straniera.
Qual è il più importante risultato della Giornata palestinese al Congresso?
Oltre alle tre questioni cui mi riferivo prima, nei nostri incontri abbiamo discusso con i funzionari del Dipartimento di Stato Usa e con gli uffici dei membri della Casa dei rappresentanti e del Senato l’argomento dell’assedio della Striscia di Gaza e dello sciopero della fame dei prigionieri. Alcuni funzionari del Dipartimento di Stato ci hanno promesso di ricontattarci per cercare di trovare un meccanismo Usa che permetta alle associazioni caritatevoli americane di inviare aiuti umanitari e medici all’enclave costiera sotto assedio. Abbiamo cercato di operare pressioni su questo argomento, ma i nostri sforzi non sono stati sufficienti. Abbiamo sottolineato l’importanza di porre termine al blocco completamente, ma ci hanno risposto che Israele e l’Egitto sono Stati sovrani. Essi hanno notato che l’Autorità palestinese appoggia questi due Paesi.
La nostra risposta è stata che queste tre parti non possano lavorare contro la volontà degli Stati Uniti, sulla base del fatto che essi sono i destinatari degli aiuti americani, nonostante i funzionari Usa insistessero sulla loro posizione. Ci siamo rivolti loro per l’attivazione della legge Leahy, che obbliga ogni aiuto americano all’estero al rispetto dei diritti umani, e che bandisce l’uso di qualsiasi assistenza civile o militare nel mantenere l’occupazione o la violazione delle leggi internazionali. Ci è stato promesso di aderire a queste richieste, ma non ci aspettiamo molto a tal proposito.
Come avete trovato l’interazione americana (popolare e ufficiale) con la Giornata per la Palestina?
Quest’anno hanno partecipato più di 75 persone a questa attività, il 98% di loro giovani. Circa il 10% di loro erano ebrei e cristiani che chiedono una politica più equilibrata per la causa palestinese. I funzionari eletti hanno letto il nostro messaggio e ora sanno che abbiamo maggior potere, nella nostra comunità e con i nostri associati, nell’esercitare un ruolo influente nelle prossime elezioni, e che la Palestina sarà tra le nostre richieste. Si tratta di uno sforzo comune che richiede pazienza e una programmazione consapevole.
Quali meccanismi e quali mezzi usate per diffondere la narrativa sulla Palestina?
Forniamo materiale istruttivo sulla narrativa e sui diritti palestinesi. Siamo fortemente coinvolti nel lavoro nelle università, teniamo letture, seminari e laboratori nelle chiese e in alcune sinagoghe moderate. Abbiamo molti alleati in tutte le componenti della società americana – ebrei, cristiani, indù, buddisti, neri americani, latino americani e nativi americani. E’ un lungo percorso, lo porteremo avanti e, Dio volendo, ne raccoglieremo i frutti presto. I sondaggi dimostrano che gli americani nati dopo il 1981, ebrei compresi, hanno una maggior empatia nei confronti dei palestinesi. Il nostro lavoro va in questa direzione e notiamo una crescita del movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele e gli Usa, sia a livello economico che accademico, cosa che ha spinto Israele a fare pressioni agli Stati Uniti e al governo federale per far passare leggi che penalizzino il movimento. Ciò che provoca maggiormente Israele è il fatto che tra gli enti coinvolti nel movimento del boicottaggio ci siano i consigli di grosse chiese americane, di prestigiose università, e associazioni di docenti e studenti universitari, molti dei quali sono ebrei.

Traduzione di Stefano Di Felice