“La mia speranza è che i miei bambini un giorno possano far visita al loro padre”

clip_image003Gaza – Pchr. Ghadir Anwar Al-Aqra’a, 34enne madre di quattro bambini – Nidaa’ di 12 anni, Nisma di 15, Ra’ed di 10, Nara di 8 – vive con i figli nel quartiere di Al Sheikh Redwan, a Gaza City. Suo marito, Nahed Al-Aqra’a, 42 anni, è stato arrestato il 20 luglio 2007 dai militari israeliani, ed è tuttora incarcerato all’ospedale per i prigionieri di Ramle, nella zona centrale di Israele, e da allora non ha mai potuto ricevere visite da parte della moglie e dei bambini.

Dall’arresto del 2007 nessuno, tra i famigliari di Nahed residenti a Gaza, ha avuto il permesso di fargli visita. Ghadir spiega la situazione: “L’unica persona che ha avuto il permesso di fare visita a Nahed dal 2007 è stata sua madre. L’hanno obbligata a vederlo attraverso un vetro e a parlargli tramite un telefono interno. Non ha potuto toccare o abbracciare suo figlio”. L’ultima volta che Nahed ha visto i suoi figli è stato nel marzo 2007. Né Ghadir né nessuno dei quattro figli ha avuto il permesso di vedere Nahed dal suo arresto.

La questione è complicata dal fatto che Nahed ha affrontato problemi medici molto seri, che si sono seriamente aggravati dal suo incarceramento nel 2007. Durante gli scontri interni  nel periodo dell’acquisizione del controllo della Striscia di Gaza da parte di Hamas, nel 2007, il marito di Ghadir ha subito ferite multiple da arma da fuoco nelle gambe.

Allo scopo di ottenere cure mediche, Nahed ha attraversato il valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, per accedere alla Giordania. Durante la trasferta, a causa delle ferite subite, i medici giordani sono stati costretti ad amputargli la gamba sinistra. Al suo ritorno a Gaza dalla Giordania, il valico di Rafah era chiuso. Così, Nahed è stato costretto ad attraversare il valico di Al Karama, controllato dagli israeliani, tra la Giordania e la Cisgiordania. È stato qui che le forze israeliane lo hanno arrestato. È stato interrogato e arrestato; successivamente ha ricevuto tre condanne a vita per il suo ruolo nelle offensive palestinesi antecedenti al 2005.

La madre ha raccontato a Ghadir del terribile dolore che Nahed soffre ogni giorno a causa del deterioramento della sua salute. “Soffre terribilmente dei dolori causati dalle sue ferite e dalle complicazioni mediche dovute alla negligenza delle autorità israeliane”. Nahed è stato arrestato pochi giorni dopo che la sua gamba era stata amputata in Giordania; da allora gli sono state negate cure mediche appropriate per le sue ferite, inoltre è stato tenuto in condizioni completamente inadatte a un recupero.

Ghadir continua: “In prigione gli hanno dato solo gli antidolorifici. Non gli forniscono cure mediche adeguate. Gli antidolorifici gli danno sollievo temporaneo, ma non hanno risolto i suoi problemi medici. A causa delle condizioni in cui vive, ha sofferto più volte di infezioni alle gambe. Il dolore ormai è più di quanto possa sopportare, gli antidolorifici non funzionano più.

Nell’aprile 2013 Nahed ha dovuto essere sottoposto a una seconda operazione nell’ospedale per prigionieri, per amputare la gamba destra. Per Ghadir, “se le autorità israeliane avessero prestato la dovuta attenzione alla sua condizione, non sarebbe mai arrivato a questo punto. Nell’ospedale giordano i dottori avevano detto che ciò che gli serviva per salvare la gamba destra era un trapianto di nervi. Non glielo hanno fatto. Da quando è stato incarcerato in Israele gli hanno solo dato antidolorifici”.

Nonostante i problemi medici estremamente seri e la perdita di entrambe le gambe, Nahed non ha mai ricevuto compassione dai funzionari israeliani. Ghadir parla dei problemi concernenti la prigionia di suo marito: “Sua madre è l’unica persona che ha il permesso di fargli visita, dato che viene dalla Cisgiordania. Le famiglie cisgiordane hanno il permesso di fare visita ai loro figli, le famiglie di Gaza no. L’ospedale militare di Ramle dove Nahed è incarcerato nega il diritto di visita a tutti i famigliari dei prigionieri provenienti da Gaza. Se un prigioniero ha il permesso o meno di ricevere visite dipende solo dal capriccio dei funzionari israeliani. Non ho idea delle condizioni in cui sta vivendo Nahed al momento: mi hanno negato il diritto di fargli visita dal suo arresto nel 2007”.

Quando le chiedo perché non si trasferisce dalla famiglia di suo marito in Cisgiordania, per avere così la possibilità di fargli visita, Ghadir spiega: “Ho una carta d’identità di Gaza e per questo ho il divieto di viaggiare in Cisgiordania. Non c’è modo per me o i miei bambini di trasferirci là”.

A Ghadir non è stato permesso di parlare con Nahed da luglio 2007 a gennaio 2013. Sei mesi fa, a Nahed è stato permesso, per la prima volta da quando è stato arrestato, di fare una chiamata di 10 minuti a sua moglie e alla sua famiglia di Gaza. È stata la prima volta che si sono parlati dal 2007. Due mesi fa, Ghadir e i suoi figli hanno ricevuto da Nahed una seconda chiamata di 10 minuti.

Ghadir spiega che dal suo incarceramento lei ha tentato in molteplici occasioni di scrivere a Nahed. “Gli ho spedito molte lettere con allegate le foto dei nostri bambini. Non so se ne ha mai ricevuta una. La madre di Nahed mi ha informato che ha ricevuto alcune foto. Altrimenti non saprebbe che aspetto hanno i suoi bambini. A Nahed non è mai stato permesso di rispondere a nessuna delle mie lettere”.

Per i funzionari delle autorità isrealiane, il diritto di visita alle famiglie di Gaza dei prigionieri palestinesi viene negato per “ragioni di sicurezza”. Ghadir afferma:  “Non mi è mai stata fornita una ragione per non avere il permesso di fare visita a mio marito, ma non sono la sola ad aver avuto negato il diritto di fare visita al proprio caro. Molte altre famiglie si sono viste negare questo loro diritto”.

Ghadir ci spiega che in alcuni casi i prigionieri sono stati trasferiti in prigioni diverse, meno rigide, per un giorno, cosicchè i familiari di Gaza potessero incontrarli. L’avvocato di Nahed l’ha chiamata pochi giorni fa per informarla che anche per Nahed potrebbe esserci una possibilità. “Potrebbero trasferire Nahed alla prigione di Aishal per un giorno, per ospitare una visita tra me e mio marito. Potrebbe esserci la possibilità di fargli visita: questa è la mia speranza più grande”.

Ma, anche se Ghadir ha finalmente avuto il permesso di far visita a suo marito, la visita sarà limitata da severe regole. Solo la moglie e i figli possono far visita al marito e padre, e i bambini di più di 8 anni non hanno in nessun caso il diritto di vedere il loro genitore. “Dei miei quattro figli, solo mia figlia di 8 anni ha il diritto di far visita a Nahed. Quando compirà 9 anni, nessuno dei miei figli avrà più il permesso di vederlo”.

Quando chiedo a Ghadir quali difficoltà affronta come conseguenza del non poter comunicare con suo marito, le lacrime sgorgano dai suoi occhi. Racconta che lei, in quanto adulta, può sopportare le difficoltà dell’avere negata la possibilità di comunicare con il marito, “ma i miei figli non riescono a sopportarlo. I bambini hanno bisogno di vedere il loro padre. Non ricordano che aspetto abbia. La mia figlia più piccola aveva solo un anno l’ultima volta che ha visto suo padre. Non ha ricordi di lui e può solo associarlo alle fotografie di lui che abbiamo appeso in casa. I miei bambini non sanno cosa significhi avere un padre. La cosa più difficile è avere un padre che è vivo ma con cui non è possibilie parlare, che non si può toccare o vedere. La mia figlia più piccola spesso piange la notte a causa della tristezza di non poter vedere suo padre”. Nidaa’, la figlia dodicenne di Ghadir, spiega cosa significa non poter parlare con suo padre: “È terribile che non possa far visita a mio padre. Vedo le sue foto ogni giorno e so che è vivo, ma non posso né parlargli né vederlo”.

Per quanto riguarda le sue speranze per il futuro, Ghadir dice: “La mia speranza è che i miei figli possano un giorno avere il permesso di far visita al loro padre. È la mia unica richiesta. Spero sinceramente che un giorno possa lasciare la prigione, ma la possibilità di fargli visita è l’unica cosa che cerco. La mia unica speranza è in Dio. Faccio quello che posso e lascio ogni altra cosa a Lui”.

Le restrizioni israeliane al diritto di visita della famiglia di Nahed è in diretta violazione dell’articolo 37 delle regole minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei prigionieri: “I prigionieri hanno il diritto, sotto la necessaria supervisione, di comunicare con la famiglia e gli amici ad intervalli regolari, sia per corrispondenza che tramite visite”. Questo articolo è supportato dal principio 19 del “Corpo di principi per la protezione di tutte le persone sottoposte a qualunque forma di detenzione o restrizione”, che afferma: “un detenuto o una persona imprigionata ha il diritto di rivecere visite e corrispondenza, in particolare dai membri della propria famiglia, e avrà un’adeguata opportunità di comunicare con il mondo esterno”. Inoltre, all’articolo 9 (3) della Convenzione ONU per i Diritti dell’Infanzia, è scritto che gli Stati contraenti devono rispettare i diritti dei bambini che vengono separati da uno o da entrambi i genitori: i bambini devono mantenere regolarmente un contatto personale e diretto con entrambi i genitori, ad eccezione del caso in cui questo contatto sia contrario agli interessi del bambino.

Traduzione per InfoPal a cura di Elisa Proserpio